Coinvolto
nella promozione di Romanzo criminale, il film sulla
banda della Magliana,lo scrittore e ex magistrato Giancarlo
De Cataldo, autore del romanzo che è alla base del
gangster movie di Michele Placido, ha risposto però
volentieri a alcune nostre domande on line a
proposito di alcune battute contenute nello script e di alcune
divergenze di fondo tra il manifesto e il gruppo
creativo/produttivo che ha voluto, come dichiara l'altro
sceneggiatore Sandro Petraglia rendere il senso di quello
che è accaduto in questo paese. Siamo convinti che
il film non restituisce il senso in più di quegli
anni, semmai si irrigidisce, come molto cinema civile
all'italiana, in un senso unico, consentito dalla legge.
Ma il grande cinema è fuori legge. E non nel senso
della banda della Magliana. Un grande cinema di genere,
entusiasmante e liberatorio, capace di bucare i mercati
internazionali e sovvertire come solo la finzione può
fare, il rapporto tra legalità repressiva e illegalità
democratica, insomma alla Eastwood, deve dare immagine e parola a
altri miti e pulsioni, oggi banalizzati più che
criminalizzati nell'immaginario. Un grande cinema italiano
nascerà solo quando si criticherà il `68, ma con lo
sguardo del `77. L'arco di tempo impiegato per perseguitare e
aggredire la parte migliore della società italiana.
Nessuno Straccio o Brandirali è diventato, infatti,
nonostante l'artaudiano know how criminale delle
lotte antagoniste, stragista fascista, per quanto
romanticamente demenziali fossero nel `68. Anzi, da tutti quelli
che hanno scelto la lunga marcia dentro le istituzioni, per
quanto marce siano dentro, ci aspettiamo da tempo
rivelazioni sensazionali. Se no che ci stanno a fare in quegli
orridi palazzi?
Perché è fuori dal
film il rapporto tra banda della Magliana e autorità
vaticane?
Potrei risponderle che, secondo le fonti su
cui lavorai per il romanzo, un simile rapporto diretto fra banda
della Magliana e autorità vaticane non c'è mai
stato. Va bene che in Italia tutto può succedere: anche
che qualche autorevole intellettuale sostenga che la Banda
c'entra persino con l'omicidio di Pasolini (avvenuto, sia detto
per inciso, quando nemmeno coloro che l'avrebbero fondata avevano
in mente l'idea stessa della banda), ma a parte la sepoltura di
Renatino De Pedis a Sant'Apollinare, nessuna altra seria
connection era a mia conoscenza. E dietro quella
sepoltura può persino esserci un umanissimo, per quanto
discutibile, desiderio di fede. Ma la risposta che sento più
sincera è un'altra: è fuori dal film ciò che
gli autori del film, me compreso, non hanno ritenuto essenziale
alla drammaturgia del film stesso. Per libera scelta.
Perché
è fuori dal film ogni accenno alla lotta di
massa popolare del momento, per difendere e allargare la
democrazia, e contro cui agì il quartetto banda della
Magliana - gruppi armati nazifascisti - organi deviati dello
stato - mafia?
Potrei risponderle che frenare la lotta
di massa popolare era l'ultima preoccupazione di capi e gregari
della Banda. Ciò che interessava era, in una prima fase,
arricchirsi facendo piazza pulita dei concorrenti. E
successivamente ripulirsi in modo da potersi godere i
proventi dei traffici illeciti. Potrei risponderle che le
alleanze con mafia, neofascisti e servizi deviati (ma perché
dimenticare anche certi settori della Massoneria?) furono di
alcuni componenti dell'ala testaccina e non
dell'intera banda. Ma la risposta che sento più sincera
ricalca la precedente, con qualche precisazione: a me, nel libro,
e agli autori tutti, nel film, interessava raccontare
fondamentale la storia di una fratellanza di giovani
maschi,i loro riti iniziatici, la loro scalata al cielo.
Erano criminali, e dunque il modo di essere, di agire, di
pensare, era, necessariamente, criminale. E siccome erano
criminali italiani, giocoforza si trovarono coinvolti
in un gioco paradossale di connivenze e anche di ricatti
reciproci con alleati a volte insospettabili. In definitiva, è
fuori da questo film ciò che
abbiamo scelto di non metterci dentro. Immagino, a questo punto,
che lei avesse in mente un film diverso.
Perché
il Freddo tocca livelli quasi mistici nelle scene dei soccorsi
alle vittime della strage di bologna? Chiaro che gli antieroi di
un film devono essere circondati da un'umanità peggiore di
loro, ma non si è esagerato (per non parlare del
romanticissimo suicidio d'amore che purtroppo
strumentalizza un dramma disperato nella vita carceraria?)
Il
suicidio d'amore è ricalcato, con qualche differenza, su
una storia vera da me raccolta in ambito carcerario. I criminali,
d'altronde, non si alienano dall'umanità per il solo fatto
di essere tali. Sentimenti, passioni laceranti, persino inusitati
atti di generosità appartengono a loro come a chiunque. Ma
ne sono reso conto quando facevo il giudice di sorveglianza. Mi
sono imbattuto in persone che, magari calate in un altro
contesto, messe al cospetto di altre scelte, nella vita parallela
di un universo parallelo, avrebbero potuto senz'altro essere
ottime persone. Non mi scandalizza lo sgomento del Freddo davanti
alle vittime di Bologna. Non mi scandalizza nessun atto di pietà,
da chiunque provenga. Appartiene a quella parte dell'essere umano
che è ancora in grado, persino nelle circostanze più
drammatiche ed estreme, di riconoscere l'altro, e di
entrare in empatia con lui. Non sono così ideologicamente
schierato da postulare che un simile sentimento del riconoscersi
sia patrimonio esclusivo del Movimento studentesco. Ma forse
neanche lei, Silvestri, lo è. Credo che questa
lamentazione sui banditi eroi o antieroi nasca da un sostanziale
equivoco: questo film non rende eroici dei delinquenti. Questo
film adotta il loro sguardo e, di conseguenza, quella loro
particolarissima etica che a noi appare immorale, ma
che è la sostanza fuori margine (per citare un
bel libro di Giulio Salierno, uno che se ne intende) di cui sono
fatti. C'è piuttosto da chiedersi perché nessuno si
scandalizza quando il filtro dello sguardo criminale è
applicato a Michael Corleone, a Carlito Brigante, a Bonnie and
Clyde, o ai Romanticissimi Yakuza del mio adorato (spero che
almeno su questo siamo d'accordo) Takeshi Kitano. Forse ci
facciamo meno scrupoli perché loro sono americani o hanno
gli occhi a mandorla?
Militanti del movimento
studentesco non hanno mai compiuto reati di strage, prima
durante e dopo la stagione delle lotte in Italia.
Perché chi si ribella alle ingiustizie e vuole tutto
e subito e per tutti, è moralmente votato o alla
follia criminale (non si dice nel film che il personaggio di
Tognazzi è ricattato o è un ex infiltrato nel
movimento studentesco) o alla lotta armata rivoluzionaria più
spietata (la voce delle Br che annuncia l'esecuzione di Moro),
mentre chi vuole tutto e subito, e solo per sé,
e con ogni mezzo necessario, sembra quasi il profeta dei nuovi
tempi?
Ah, la famosa battuta che trasformò il
Romanzo Criminale in Romanzo Criminalizzato... vediamola
un po': Carenza... un passato nel movimento studentesco...poi per
cinque nani più nulla...poi ricompare come trafficante di
armi in Sudafrica... beh, la chiave di tutto sta in quei cinque
anni. Carenza non è descritto come uno che dal movimento
studentesco passa direttamente al traffico d'armi. Questo per
amor di precisione. Così come nessuno ha mai inteso
sostenere che il movimento studentesco abbia commesso stragi. Ci
mancherebbe altro! Ma, insomma, Carenza... Ripensandoci mi sembra
che il personaggio abbia qualche ascendenza letteraria
(Arrivederci amore ciao) o addirittura cinematografica
(Hotel Colonial).Dobbiamo considerarlo necessariamente un
infiltrato o un ricattato perché ci ripugna l'idea che un
idealista (l'idealismo pare dato per statuto al militante di
sinistra, anche armato) possa cambiare bandiera? Trovarsi più
a suo agio dall'altra parte della barricata? Questo implica un
giudizio storico definitivamente, assolutamente negativo
sull'intero movimento studentesco? Ma andiamo! Credo che ciascuno
possa costruirsela come meglio crede, questa biografia possibile
di un figlio di (quei) tempi. Quello che mi pare discutibile è
ricostruire o decostruire un intero film intorno a una singola
battuta. Ma sia pure! Ancora una volta, mi sento trascinato a
parlare di due film : quello di Silvestri e il nostro. La sua
delusione, o la sua indignazione, come preferisce, nascono dalla
non corrispondenza fra la sua pellicola virtuale e quella che
abbiamo realizzato, e che è sotto gli occhi di tutti. Un
film dove i cattivi, tutt'altro che profeti dei nuovi tempi,
pagano con la vita la loro ybris e la loro umana
meschinità.
Non crede che il movimento
studentesco, universitario e liceale, per la sua insubordinazione
sociale, che aveva ottime ragioni di lotta nella scuola, nella
società, in famiglia e contro le aggressioni in Vietnam e
Santo Domingo, sia stato oggetto di aggressione ripetuta,
continuata e vigliacca da parte di organizzazioni fasciste
protette dalla polizia, dalla magistratura e dal governo? Insomma
non di guerra civile si parlò, ma di incivile aggressione
contro la parte migliore della società italiana?
Ragioni
anagrafiche mi hanno escluso dal movimento del Sessantotto. Ero
troppo giovane persino per il Liceo! Certo, il celerino
si sentiva molto più solidale con la Destra e con le sue
parole d'ordine, ci mancherebbe,ma... ma perché
dimenticare, ad esempio, che il primo ad intuire la pista nera di
Piazza Fontana fu il commissario Pasquale Iuliano, certo non una
divisa rossa... o che proprio in quegli anni nasceva
Magistratura Democratica... questa visione dello Stato come
entità granitica volta alla repressione. È, mi
perdoni la franchezza, a mio avviso obsoleta e sostanzialmente
semplicistica. Uno Stato vive, ha sempre vissuto, al suo interno,
di una pluralità di articolazioni che mal tollerano la
reductio ad unum che lei propone.
Ho
apprezzato la sua premessa, alla conferenza stampa: un libro è
altra cosa rispetto al film da cui viene tratto, i linguaggi sono
differenti e l'infedeltà è vera fedeltà. Ma
non pensa che una costituzione d'oggetto credibile
sia l'ingrediente base di ogni film popolare d'azione ispirata
alla Storia?
Certo. A patto d'intendersi sull'oggetto.
Che in questo film non è la storia del movimento
studentesco e dei suoi rapporti con gli apparati repressivi. Ma
la storia di una banda di criminali di strada legati da una
brotherhood tribale e dei loro rapporti con la strada,
appunto, e con il Palazzo.
Intervista di Roberto Silvestri
IL MANIFESTO 06/10/2005
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