Gli
interessi di Erri De Luca
Non
finì la scuola e lasciò la famiglia: uno strappo,
una vera rottura. Era il '68; in casa, per una questione di
(sottile) igiene mentale, il rito del tocco era bandito. Non si
osava neppure sfiorare un familiare. "Quando me ne andai -
racconta Erri De Luca - iniziai a toccare tutte le cose", a
rendere finalmente fisica una interiore sete di conoscenza intima
e totale del mondo.
Pur
conoscendo i libri di De Luca dal primo "Non qui, non ora"
(1989), fu un suo volumetto scritto con Angelo Bolaffi, dieci
anni dopo, a farmelo amare: il titolo è a dir poco
wertmulleriano: "Come noi coi Fantasmi - Lettere sull'anno
sessantottesimo del secolo tra due che erano giovani in tempo",
ma serve da sé a identificare non pochi messaggi del
testo. Si tratta di un epistolario. Perché proprio questa
formula di scrittura?. "Perché l'epistolario postula
la distanza - risponde -. La lettera ci mette giorni ad arrivare
e poi ci sono i tempi morti (vivissimi) per la risposta. La
lettera stacca", eppure unisce, almeno nella scrittura, che
nel libro diventa più che mai fluida, fino a raggiungere,
benché gli scrittori siano due, una perfetta omogeneità
e una "pulizia" stilistica invidiabili. "Ho
annusato le pagine di Bolaffi - racconta - e ho capito che
avevamo calcato appigli in comune, avevamo avuto avventure
parallele". In questo, come in tutti gli altri (diversi)
libri che ha scritto, Erri De Luca narra comunque storie. Ma non
si definisce un romanziere. " Le storie si impongono da sé.
Per storia, o novella, o racconto, intendo la voce di uno che mi
parla, che racconta la sua vicenda e le sue emozioni, di cui
scrivo ispirandomi anche ai miei ricordi". Qual'è
l'ultima, quella che vedremo prossimamente pubblicata? "E'
la storia di un tredicenne napoletano che esce dalla scuola per
cominciare a lavorare. Incontra un falegname e un calzolaio
polacco, gobbo e rosso di capelli, rimasto in Italia dopo la
guerra. Il ragazzo narra principalmente di quest'ultimo che
finisce per diventare il protagonista del libro". Ma il
falegname e il polacco sono solo due dei tanti volti che il
ragazzo conosce, che "ascolta" e di cui racconta. Ed è
felice di questa molteplicità di incontri, proprio perché
può leggere negli occhi e nella mente di tante persone
diverse. La voce che De Luca ascolta e poi trasporta nelle sue
righe ha una precisa caratteristica: "Deve essere intonata -
sottolinea lo scrittore napoletano -. Deve avere una gradevole
cadenza". Forse per questo anche la sua scrittura è
sempre rigorosamente musicale, benché puntigliosa e mai
banale. "A Napoli - aggiunge sorridendo con gli occhi - una
voce deve essere intonata". Nella vita di Erri De Luca,
parallelamente alla scrittura ci fu per oltre vent'anni il
lavoro. Fece il muratore e l'operaio "per necessità";
nel contempo scriveva e studiava. "Mi alzavo prima del
tempo per leggere e tradurre testi dell'Antico Testamento
dall'ebraico. Era una specie di regola mattutina che mi
assicurava comunque qualcosa di positivo, qualcosa che mi
arricchiva nonostante le giornate che sarebbero seguite". E
precisa che proprio il lavoro operaio gli insegnò quella
disciplina che lo guidò, in seguito, anche nello studio.
Il piacere dell'ebraico per De Luca è addirittura
"fisico", "Attualmente sto traducendo la Vita di
Sansone dal libro dei Giudici", anche se, precisa, ci vorrà
ancora (il suo) tempo". Per i Classici Feltrinelli ha già
tradotto e curato Esodo, Giona, Ecclesiaste e il Libro di Rut.
A Mantova,
per Festivaletteratura, Erri De Luca incontra Mauro
Corona (scrittore, scultore e appassionato di alpinismo), per discorrere
di montagna, di scalate, di scrittura. In gioventù la passione
di De Luca era il mare, oggi è la montagna, e anche in questo caso
si tratta di un rapporto basato sul tocco, sulla fisicità: "E'
un'attrazione minerale - dice -. In fin dei conti, tranne una certa percentuale
d'acqua, i nostri corpi sono minerali, come la roccia". (Stefano
Iori sta in Mantovaoggi)

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