Si
sta in una malaugurata guerra quando si ha un nemico. E per averlo
bisogna provare un duro sentimento di avversione fisica, un prurito
alle mani al solo sentirlo nominare, un'asprezza nel sangue. Bisogna
fabbricarsi una caparra di odio per combattere contro un nemico.
Mussolini
ce la mise tutta per montare gli italiani contro gli inglesi, i
francesi, gli americani, i russi, ma ottenne poco. Non si affibbiano
a un popolo dei nemici che non sente. Noi poi siamo affezionati a
vecchie ruggini e siamo ancora a disagio con l'Austria!
Guardo
perciò con un po' d'ironia gli sforzi dei quartieri generali
dell'informazione di aizzare il nostro sentimento contro il popolo
serbo. È un'opera triste e inutile. Per quanto se ne possa
deplorare il capo, Milosevic, non si riuscirà a scatenare
sentimenti di ostilità verso un popolo che da settimane sta
sotto le nostre martellate. Non ci facciamo regalare nemici, non ne
sentiamo il bisogno. Siamo un vecchio popolo di un vecchio
continente e abbiamo una riserva di saggezza e di buonsenso in
faccende di guerre. Negli anni della Bosnia noi italiani abbiamo
sviluppato il più vasto movimento di solidarietà
dell'intera Europa, con decine di migliaia di volontari e di loro
soccorsi verso tutte le parti lese, verso tutti gli scacciati, che
fossero musulmani, croati e serbi. Siamo stati amici e vicini a
tutti i dolori. Questo sappiamo fare, la fraternità che
sgombera trincee.
Gli
americani che combattono guerre in trasferta, migliaia di miglia al
largo dalle loro case sono un popolo giovane e giovanotto. Cambia
alla svelta nemici: in un solo secolo sono passati dai pellerossa,
ai tedeschi, ai giapponesi, ai nord coreani, ai russi, agli arabi
con varie sfumature dai palestinesi agli irakeni e ora ai serbi.
Hanno una fresca disinvoltura sentimentale nelle avversioni, sono
dei Casanova dell'inimicizia e ci mettono poco ad appendere nel
saloon la foto di un Saddam Hussein con la scritta: wanted.
Ma
noi siamo Europa, carne e suolo di questa vecchia ciabatta della
storia e abbiamo tombe di nostri caduti in tutti i campi e i monti
del continente e abbiamo un'invincibile resistenza a farci nemici di
un altro popolo d'Europa. Noi non manderemo a morire la nostra
gioventù sui monti del Kosovo, è bene che se lo
mettano in testa i governi delle sinistre d'Europa. Perché
non siamo e non diventeremo nemici di nessun popolo.
Questa
non è una partita di calcio Serbia-Resto del mondo e non
finirà zero a dieci. Per ora è una spedizione che
appesta il cielo di un popolo e lo costringe a notti di ricovero.
Non potendo contare su una nostra collaborazione all'odio, ci si
convince che sono bombardamenti a fin di bene. Sarò ingrato
alle bombe, ma oggi non ne conosco di amiche e non conosco feriti
nemici. Nostro impegno è solo uno: i profughi albanesi devono
tornare a casa loro. Ma non si creda che sia faccenda di quattro e
quattr'otto. Gli accordi di Dayton sulla Bosnia vertono su questo
punto, ma ancora oggi l'applicazione, il ritorno dei profughi è
lento, sgocciolato. Sarà lunga anche questa via di ritorno e
non è giusto obbligare gli albanesi del Kosovo a farsi
terremotati dell'Irpinia e attendere nei container i tempi delle
ricostruzioni. Quelli che lo desiderano devono essere ospiti e
ospiti di prima classe nei paesi del mondo. L'unica urgenza è
smettere la guerra da tutte e due le parti contemporaneamente. E gli
uomini di buona volontà devono stare con tutte e due le parti