BIBLIOTECA | | EDICOLA | | TEATRO | | CINEMA | | IL MUSEO | | Il BAR DI MOE | | LA CASA DELLA MUSICA | | LA STANZA DELLE MANIFESTAZIONI | | | NOSTRI LUOGHI | | ARSENALE | | L'OSTERIA | | LA GATTERIA | | IL PORTO DEI RAGAZZI |


Alessandro Luciani

"IL CAPPOTTO" di N. V. Gogol'



Parole chiave: cappotto; coesione del sé; contenitore mentale; Gogol; oggetto-sé idealizzato; pelle; pelle psichica; rispecchiamento; sviluppo del sé; vero-sé. 

Nikolaj Vasil'evic Gogol' (1809-1852) pubblica il racconto "Il cappotto" nel 1842. Vasilij Rozanov (1) cita una testimonianza di P. Annenkov riguardo un fatto che sarebbe accaduto nell'appartamento di Gogol' tra il 1833 e il 1836 circa; egli dice che un giorno venne raccontato in presenza di Gogol' un aneddoto su un povero impiegato, grande appassionato di caccia. Questo personaggio, attraverso straordinarie fatiche ed enormi sforzi per risparmiare, riuscì finalmente a mettere insieme la somma occorrente per acquistare un bel fucile. Ma la prima volta che uscì a caccia sulla sua barchetta, dopo aver poggiato il prezioso fucile accanto a sé sulla prua, fu preso da un improvviso stordimento, e, quando rinvenne, non vide più accanto a sé il suo fucile. Il fucile era caduto in acqua, e l'impiegato non poté più trovarlo nonostante tutti i tentativi fatti.

Egli tornò allora a casa, si mise a letto con un gran febbrone e non si alzò più. Fu riportato in vita solo dal gesto dei suoi colleghi, i quali, fatta una colletta, gli comprarono un nuovo fucile. Ma da allora in poi l'impiegato non poté più ricordare l'accaduto senza che si manifestasse sul suo viso un mortale pallore. Annenkov raccontava che quella sera tutti risero di quell' aneddoto, fondato su di un fatto realmente accaduto, eccetto Gogol', che lo ascoltò pensieroso chinando la testa (2).

Questo episodio, molto simile a quella che vedremo essere la trama del Cappotto, rappresenta lo stimolo-chiave psicologico che mette in moto nell'Autore una serie di emozioni, di ricordi, di pensieri, che lo porteranno a dar forma e a sviluppare, nel tempo, ciò che probabilmente si agitava in lui in modo forse del tutto inconscio ed informe. L'aneddoto ha colpito, nel mondo interno dell'Autore, un qualcosa che è entrato immediatamente in risonanza emotiva, e la prova di ciò è data dalla risposta emotiva di Gogol', il quale, a differenza di tutti gli altri che ridono, reagisce in maniera pensierosa e forse cupa. Probabilmente Gogol' si era identificato con lo sventurato impiegato e con la sua angoscia senza nome.

Ovviamente sarebbe riduttivo riportare l'ispirazione e la nascita di un seppur breve racconto solamente ad un evento scatenante isolato, anche se di fondamentale importanza. Tuttavia noi sappiamo che anche Gogol', come l'impiegato dell'aneddoto, aveva lavorato come impiegato in un dipartimento, e che lo stipendio lì percepito non gli consentiva che una vita di notevoli sacrifici e privazioni. Alla luce di ciò la base dell'identificazione sembra allora diventare più ampia. L'impiegato dell'aneddoto rappresenta quindi una parte del Sé di Gogol', così come una parte del Sé dell'Autore viene rappresentata indubbiamente, come avremo modo di vedere, dall'impiegato Akakij Akakievic protagonista del Cappotto.

Naturalmente la lettura in chiave psicoanalitica di un'opera letteraria è qualcosa di molto unico e al contempo qualcosa di parziale. Essa non può essere disgiunta, per la natura stessa della conoscenza psicoanalitica, dall'acquisizione di una certa comprensione psicologica dell'autore dell'opera, anche se questa operazione dovrebbe rimanere sullo sfondo e tra le righe, e lasciar spazio più all'intuizione e alla fantasia, che alla tentazione di analizzare un autore a distanza attraverso le sue opere. Purtuttavia qualcosa si può comunque arguire. Nondimeno, altrettanto importante dell'identificazione dell'autore con il protagonista del suo romanzo, è una qual sorta di identificazione empatica del lettore/interprete con il protagonista del racconto e con la situazione che vi si sviluppa.

E’ probabile che sia proprio questa specie di catena identificatoria ed empatica che permette al lettore di aprirsi al testo, al personaggio e all'autore, permettendo a questi di essere tutt'uno e fusi con parti di se stesso, in modo che sentendoli dentro se stesso, e sentendosi, li capisca.

Anche fuori dall'ottica specificamente psicoanalitica può esserci qualcuno che abbia intuizioni che potremmo benissimo ascrivere ad una mente psicoanalitica. E. Bazzarelli, per esempio, nota che A.A. "è una persona la cui esistenza reale non è accettata da nessuno, poiché priva di qualsiasi segno di potere, una persona che diventa individuo attivo solo nel momento in cui gli appare quell’ "ospite luminoso sotto forma di cappotto", che rianima "per un attimo una povera vita" ". (3).

L. De Nardis (4), invece, nota il fatto che in russo la parola cappotto è di genere femminile, mentre la parola "vestaglia" ("kapot", che compare nel racconto in riferimento al vecchio cappotto) è di genere maschile. L. De Nardis, traduttrice e curatrice dell'edizione del racconto su cui io mi sono basato, nota inoltre che tra A.A. e il cappotto si instaura un vero e proprio rapporto amoroso che riporta in vita un essere fino ad allora non esistente, e che Belyj osservava che nelle "Anime morte" di Gogol' la cassetta da viaggio era la moglie del personaggio Cicikov. Ella nota inoltre che "come il protagonista del racconto "Nevskij prospect", Piskarev, muore al pensiero che la donna amata sia una prostituta, Akakij Akakievic muore una volta separato dall'oggetto amoroso; e in questo senso si può interpretare romanticamente la sua apparizione sotto forma di fantasma come una strana caricatura dell'amante risorto (Cizevskij)." (5). Sempre De Nardis ritiene che "Non può perciò essere ritenuto un caso l'uso abnorme (sottolineato anche da Nabokov) nel Cappotto della parola "perfino" (daze), che Cizevskij conta ben 73 volte lungo tutto il racconto. ... Per altro verso, nel parziale tentativo di Gogol' di mostrarci il mondo filtrato attraverso gli occhi di Akakij Akakievic, l'introduzione in punti chiave di "perfino", accentua la posizione di sudditanza e sottomissione rispetto a tutto ciò che lo circonda." (6).

E. Lo Gatto dice che "... il possesso del cappotto era per Akakij Akakievic quello che per il povero Popriscin, delle "Memorie di un pazzo", era il diventar re di Spagna, e non solo e non tanto per sposar la figlia del suo superiore, quanto, e soprattutto, per aver la sua posizione nella società, sollevandosi dalla propria "umiltà" ...... (7); ed ancora: "... se il contrasto tra realtà e sogno può portare al suicidio o all'indifferenza, può portare con non minor ragione alla pazzia, come nel caso del piccolo impiegato Popriscin delle "Memorie di un pazzo", in cui il sogno di grandezza non è che il momento di evasione da una vita vuota e meschina, o alla morte per disperazione come nel caso dello scrivano Akakij Akakievic del "Cappotto", il cui sogno assai più modesto di possedere un cappotto nuovo, è un fine che vale il sacrificio di anni di piccole economie." (8). E inoltre: "... non è strano che a più di un lettore o critico, che dietro il diario del pazzo Popriscin vide la tragicità della vita quotidiana di Akakij Akakievic e nel ritorno dello spettro di questi il riflesso della pazzia di quegli, venisse alla mente il piccolo impiegato Evgénij che, nel "Cavaliere di bronzo" di Puskin, diventa pazzo perché gli è stata tolta l'unica speranza di illuminare di un sogno ideale la meschina realtà della vita quotidiana." (9).

Molte altre osservazioni interessanti potrebbero essere riportate, con riferimenti, come abbiamo visto, a nessi particolari che possono essere stabiliti tra i vari personaggi che Gogol' ha disseminato nelle sue opere, costruendo così una sorta di mosaico psicologico-letterario in cui vengono rappresentate particolari dimensioni psicologiche che consentono di accrescere la comprensione di ogni singolo protagonista gogoliano, arricchendo allo stesso tempo la nostra conoscenza delle parti della propria personalità che l'autore proiettò nei suoi personaggi. Per un altro celebre racconto di Gogol', "Il naso", si è infatti anche tentato di dare un'interpretazione di tipo psicoanalitico, con riferimento alla personalità dell'autore (10), assumendo la perdita del naso come legata ad un'angoscia di castrazione; infatti "Kovalev si guarda continuamente allo specchio (così anche molti altri personaggi gogoliani) per "provare la sua esistenza fallica, perché esiste in quanto ha il naso"." (11).

A questo proposito, degna di rilevanza è l'osservazione che "Notevole è anche il legame psicologico tra "Il naso" e "Il sosia" di Dostoevski ....", e che "... intenzione di Gogol' fosse l'analisi del subcosciente, un procedimento cioè che andava oltre il significato letterario dei racconti e anche oltre quello eventuale moral-sociale..." (12).

Ora noi cercheremo di entrare in dettaglio nel testo de "Il cappotto", per tentare di effettuarne una lettura che renda merito dello spessore psicologico del protagonista e della storia, e che si ponga come obiettivo il reperimento di significati e di nessi che abbiano una coerenza psicoanalitica. Nel far ciò siamo confortati dalle intuizioni e dalle osservazioni, riportate in precedenza, che costituiscono dei temi-guida all'approfondimento interpretativo del testo.

Il racconto inizia con la descrizione di un impiegato di un dipartimento: "... non si può dire fosse un impiegato molto importante, di bassa statura, un pò butterato, un pò rossiccio, perfino un pò corto di vista all'apparenza, con una piccola calvizie sulla fronte, con delle rughe da ambedue i lati delle guance e quel color di viso che si dice emorroidale." (p. 23). Possiamo notare che l'Autore ci dà subito l'idea di questa persona come di una nullità. Nullità per il ruolo sociale e lavorativo poco importante, per le proporzioni fisiche modeste, per l'aspetto fisico poco piacevole e mediocre, per chiari elementi di indegnità ed inadeguatezza espressi dall'acne, dalla calvizie sulla fronte e dalle rughe, per elementi di inferiorità e di difetto espressi dalla debolezza della vista. E, per finire, il colore "emorroidale" del viso rimanda direttamente a contenuti di carattere anale, a rappresentazioni di svalorizzazione, di indegnità, di miserabilità.

Questo impiegato non è quindi semplicemente una nullità, ma è addirittura un rifiuto, una cacca priva di qualsiasi valore. Vedremo ora come l'interpretazione di questa descrizione iniziale sia confermata e precisata nelle descrizioni successive.

"Il cognome dell'impiegato era Basmackin. E già dal nome si vede che esso, in tempi remoti, aveva avuto origine da una scarpa." (p. 24). In russo basmack significa scarpa (13), e dunque questo cognome non fa altro che rafforzare la svalutazione di quest'uomo. Il cognome dell'impiegato, nella stesura provvisoria, era Tiskevic, dall'avverbio tiskom, che significa "piano, senza far rumore, senza farsi notare." (14). Ciò dà l'idea di una persona estremamente dimessa, timida, che tende a mettersi in disparte, che tende a considerarsi di impaccio e di impedimento agli altri, che tende a considerarsi come un abusivo nel mondo, che tende in definitiva a sentirsi in colpa per il solo fatto di esserci, poiché si percepisce come uno che non ha il diritto di esistere. Il nome dell'impiegato è Akakij Akakievic, e l'etimologia di questo nome può essere ricondotta al greco a-kakos, e cioè "innocente, ignaro del male". (15).

Il racconto prosegue con la descrizione del battesimo di A.A.. Questo episodio è molto significativo poiché è alla base dell'esistenza del nostro protagonista. Alla mamma di A.A. vengono proposti per ben tre volte alcuni nomi diversi, che la donna ogni volta rifiuta perché non le piacciono. Alla fine la donna si rassegna, e per ripiego sceglie per il figlio il nome del papà. "Battezzarono il bambino; durante il rito si mise a piangere e fece una smorfia tale come se presentisse che sarebbe diventato un consigliere titolare." (p. 25). L'episodio del battesimo è privo di gioia, come se nella mamma di A.A. non ci fosse stato molto amore o molta fiducia nel destino del figlio, anche perché l'attribuzione al bambino, da parte di un adulto, di un presentimento circa il mediocre futuro del bambino stesso, è probabilmente dovuta ad una proiezione delle aspettative dell'adulto su questo bambino. Allora si ha la sensazione che è come se questa donna non abbia investito positivamente di aspettative fiduciose il proprio bambino, cosicché egli non viene adeguatamente idealizzato dalla madre.

La ulteriore svalorizzazione di A.A. e la sua ridicolizzazione proseguono nelle descrizioni successive. Infatti A.A. è da sempre li, nello stesso ufficio, nella stessa posizione, tanto che si pensava che lui "... era venuto al mondo proprio così, già bello pronto, con la divisa e la calvizie sulla testa." (p. 25). "Nel dipartimento non gli portavano alcun rispetto. I custodi non solo non si alzavano dal posto quando lui passava, ma non lo guardavano nemmeno, come se attraverso l'anticamera fosse passata in volo una semplice mosca." (p. 25). Addirittura i colleghi di ufficio "... gli rovesciavano sulla testa dei pezzetti di carta chiamandola neve." (p. 25). La remissività di A.A. è evidente anche nell'episodio in cui egli non riesce a svolgere un semplice lavoro che si discostava dalla solita copiatura. Il lavoro di copiatura, infatti, e l'incapacità a fare altro che richieda un seppur minimo contributo personale, testimoniano che A.A. si sente come un essere che non ha il diritto di esprimersi e di pensare, e che mai potrebbe occupare con la sua misera presenza, fisica e mentale, un posto tra le cose nel mondo. Ciò lo porta quindi a vivere, nel suo lavoro, un'esistenza vicaria, vissuta attraverso quella degli altri, poiché non può permettersi di viverne una in prima persona come soggetto.

A.A. è noncurante della sua divisa, è trasandato. "E c'era sempre qualcosa che si appiccicava alla sua divisa: o un pezzettino di fieno, o qualche filetto; inoltre egli aveva la particolare abilità, camminando per la strada, di arrivare sotto una finestra proprio nel momento in cui ne gettavano fuori porcherie di ogni tipo, e perciò portava eternamente sul cappello scorze di anguria e melone e altre sciocchezze del genere." (p. 27). Vediamo qui come l'immagine di sé che A.A. possiede sia chiaramente mortificata e svalutata. A.A. è depresso, si percepisce come una discarica ambulante di spazzatura, un cesso; egli ha una bassa .stima di sé. "Arrivando a casa, si sedeva subito a tavola, trangugiava alla svelta la sua minestra di cavoli e mangiava un pezzo di carne di manzo con la cipolla, non notandone affatto il sapore; mangiava tutto questo con le mosche e con tutto ciò che Dio gli mandava in quel momento." (p. 28). A.A. si isola, non ha svaghi, ha interesse solo per la sua calligrafia ed il lavoro di copiatura. "Se invece capitava che non ne avesse, ne faceva apposta una copia per sé, per suo piacere personale, in particolare se la carta era notevole non per la bellezza dello stile, ma per essere indirizzata a un qualche personaggio nuovo o impor- tante." (p. 28). Qui diventa più chiaro il fatto che A.A. si limiti a vivere un'esistenza riflessa, vicaria, come se il copiare o il possedere una copia di un documento indirizzato ad un personaggio importante potesse renderlo soddisfatto. E’ come se l'identità di A.A., completamente svalutata e mortificata, potesse essere compensata, riparata e rivitalizzata, assumendo un qualcosa di valorizzato, di idealizzato, di importante. Abbiamo ipotizzato, sulla base dell'episodio del battesimo, che A.A. non avesse potuto essere idealizzato nella mente della madre. La compensazione al suo narcisismo ferito e svalutato verrebbe così effettuata attraverso l'assunzione o il contatto con oggetti idealizzati fonte di ammirazione, quell'ammirazione che presumibilmente A.A. non aveva potuto ottenere dalla mamma, e che non ottiene ora nella vita.

Accade che il nostro impiegato inizi un bel giorno ad avvertire in modo particolarmente pungente il freddo di Pietroburgo, avvertendo contemporaneamente dei dolori alla schiena e alle spalle. Noi sappiamo che frequentemente le sensazioni di freddo possono rappresentare la testimonianza somatica di una mancanza di contatto affettivo, di esistenza di un'antica carenza affettiva, di sensazioni di accantonamento e di abbandono. "Si chiese, alla fine, se non dipendesse da qualche difetto del suo cappotto. Esaminatolo per bene, a casa sua, scoprì che in due-tre punti, precisamente sulla schiena e sulle spalle, si era fatto proprio un velo: il panno era talmente logoro che traspariva, e la fodera era ridotta in brandelli. E’ necessario sapere che anche il cappotto di Akakij Akakievic costituiva oggetto di scherno da parte degli impiegati: gli avevano perfino tolto il nobile nome di cappotto e lo chiamavano vestaglia." (p. 30). Viene qui introdotto il tema del cappotto logoro e pieno di rattoppi. Ma quale significato può avere il cappotto?

Come capo d'abbigliamento, in quanto oggetto di protezione della superficie corporea, ed in quanto connesso all'immagine e all'identità della persona nell'ambiente, il cappotto è un pò come una pelle, che ha la duplice funzione di contenitore che delimita il corpo rispetto all'esterno, e di organo che permette il contatto e lo scambio con l'ambiente. Noi sappiamo che la natura e la qualità del contatto cutaneo con la madre sono di primaria importanza per il bambino, ed influenzano sin dall'inizio lo stato di salute della sua pelle. La pelle è anche un contenitore delle parti primitive frammentarie e non integrate del Sé, che vengono coese e tenute insieme dall'involucro cutaneo.

Sappiamo che il bambino ha bisogno di un contenitore mentale, interno, che è alla base dell'unificazione, della costituzione e dello sviluppo del Sé; e questo contenitore mentale non è altro che l'interiorizzazione dell'esperienza cutanea contenitiva, che trova nell'utero materno il prototipo arcaico. La pelle esterna diventa così una pelle interna, una pelle psichica. Il nucleo profondo della personalità, così costituito, è alla base dell'identità, della sicurezza in se stessi, della fiducia primaria, della propria salute mentale. Ma la pelle psichica può anche essere "bucherellata", "assottigliata" o "sfondata", con il rischio che non riesca più a contenere adeguatamente le parti della personalità. A ciò si accompagna uno stato di angoscia di frammentazione, di annichilimento, un'angoscia senza nome. Questo stato di cose può avvenire per un difetto o una carenza dell'accudimento che la mamma presta al bambino, e che determinano una costituzione inadeguata del Sé. Questa fragilità biologica e psichica che si determina, può far sì che, da adulti, una banale ferita cutanea o una frustrazione profonda possano mettere in crisi la fragile e precaria stabilità interna, e che la lesione o la frustrazione esterna possano essere vissute come una aggressione persecutoria interna. Ciò può far riemergere un'antica angoscia di frammentazione, che dà adito a disturbi sia sul piano psichico (confusione, depersonalizzazione, ecc.) che sul piano somatico, e a tentativi di compensazione, a reazioni di aggressività.

Alla luce di ciò sembra quindi esserci una profonda relazione psicologica tra il vecchio e logoro cappotto di A.A. (ridotto ad un velo e con la fodera in brandelli), e il carattere e la personalità di A.A. così come li abbiamo conosciuti. Vedremo come tutto ciò acquisterà in seguito una corrispondenza maggiore.

Non senza esitazioni, A.A. si reca allora dal sarto Petrovic per farsi riparare il cappotto, ma questi gli comunica purtroppo che non c'è nulla da fare perché il cappotto è marcio ed irrecuperabile: "Ma non c'è dove metterli i rammendini, non possono far presa, l'usura è troppo grande. Questo è un panno solo di nome, ma se soffia il vento vola via." (p. 33). Viene qui messa in risalto la fragilità e l'inconsistenza del cappotto di A.A., che è un cappotto solo nominalmente, non in sostanza. Si manifesta quindi l'estrema precarietà del Sé di A.A. ("se soffia il vento vola via"), e la fragilità della sua identità ("è un panno solo di nome"). A questo punto Petrovic dice ad A.A. che deve necessariamente farsi un cappotto nuovo. "Alla parola "nuovo", ad Akakij Akakievic si velarono gli occhi di nebbia, e tutto quello che c'era nella stanza iniziò a confonderglisi davanti." (p. 34). A.A. sembra dunque avere una reazione di angoscia che si esprime attraverso un episodio di disorientamento, di confusione mentale e di derealizzazione: " "come nuovo?", disse, sempre come se si trovasse in un sogno." (p. 34). Qui abbiamo la riprova di come una ferita o frustrazione possano mettere in crisi una precaria stabilità interna, facendo riemergere le angosce di frammentazione. Le reali difficoltà economiche di A.A. rendono ancora più acuta la sua sensazione di catastrofe ineluttabile. Allorché Petrovic ebbe dato definitivamente il suo parere, "... Akakij Akakievic dopo queste parole uscì totalmente annientato." (p. 35). Il senso di spersonalizzazione accompagna A.A. uscendo dalla casa del sarto: "Uscito in strada, Akakij Akakievic era come in sogno." (p. 35). "Detto questo, invece di andare a casa, si avviò nella direzione totalmente opposta, senza lui stesso sospettarlo. Per la strada lo urtò con il suo fianco tutto sporco uno spazzacamino e gli annerì tutta una spalla; un'intera cappellata di calce gli si versò addosso dall'alto di una casa in costruzione". (p. 35). Ecco che il senso di catastrofe che A.A. sta sperimentando fa emergere, in tutta evidenza, il suo sentimento di essere un rifiuto, una cacca, un cesso, i suoi sentimenti di indegnità ed inadeguatezza. Dopo essersi perso completamente d'animo, A.A. sembra tuttavia rassegnarsi all'idea di doversi far cucire da Petrovic un cappotto nuovo, e così dà inizio ad una lunga serie di enormi e grotteschi sacrifici per risparmiare i soldi necessari al cappotto; "imparò perfino a digiunare completamente la sera; ma in cambio si nutriva spiritualmente, avendo fissa nei propri pensieri l'idea del futuro cappotto." (p. 38). Da qui ha inizio una trasformazione psicologica in A.A., e quindi una svolta nel racconto. "Da allora fu come se la sua stessa esistenza si fosse fatta in qualche modo più piena, come se si fosse sposato, come se un'altra persona fosse presente insieme a lui, come se non fosse solo, ma una piacevole compagna di vita avesse acconsentito a percorrere insieme a lui la strada della vita, e questa amica altri non era se non quello stesso cappotto imbottito di ovatta spessa, con una fodera forte e resistente all'usura. Egli era diventato in qualche modo più vivace, perfino più forte di carattere, come una persona che ha già deciso e si è fissata uno scopo. Dal suo viso e dai suoi comportamenti scomparve da solo il dubbio, l'indecisione, in una parola tutti i tratti oscillanti ed incerti. Alle volte appariva un fuoco nei suoi occhi, nella testa balenavano perfino i pensieri più audaci e temerari: non si doveva magari mettere la martora sul colletto?" (p. 38). L'ipotesi che avevamo fatto sul significato inconscio del cappotto per A.A., è qui suffragata dal fatto che il cappotto nuovo viene messo, nel testo, in relazione ad una donna oggetto d'amore. A.A. idealizza il nuovo cappotto e ciò che inconsciamente rappresenta, e si unisce nella fantasia ad esso, in una fusione o simbiosi protettiva e rassicurante, che è la rappresentazione della fusione originaria con l'oggetto primario materno.

Questa unione trasforma la personalità di A.A. in modo sorprendente, tanto che sembra addirittura un'altra persona. Egli diventa infatti più solido, più deciso, scompaiono in lui i tratti di oscillazione ed incertezza indicativi di una fragilità ed instabilità del Sé e dell'identità. Non solo, ma sembra rafforzare talmente il suo narcisismo e la sua autostima, che affiora addirittura in lui, pur se timorosamente ("i pensieri più audaci e temerari"), un barlume di esibizionismo, di grandiosità e potenza ("un fuoco nei suoi occhi"), attraverso il pensiero della martora sul colletto. Sembrerebbe allora che A.A. sia riuscito a compensare, attraverso la fusione con l'oggetto-Sé idealizzato che il cappotto nuovo rappresenta, il suo vero-Sé rifiutato e mostruoso che minacciava di riemergere traumaticamente in tutta la sua angoscia disgregante, attraverso il tentativo di costituzione di un falso-Sé (di superficie, di facciata, sociale), che può garantire la conservazione e la sopravvivenza del vero-Sé nascosto, fragile e minacciato. Tutto ciò rappresenta l'illusione che permette ad A.A. di difendersi dal rischio di annientamento e di minaccia per la coesione del Sé. La fantasia della martora sul colletto rappresenta anche il bisogno di riscatto di fronte al mondo e alla vita.

Finalmente A.A. indossa il nuovo cappotto ottenendo le congratulazioni dei colleghi del dipartimento. Così egli riesce ad ottenere le risposte di rispecchiamento, di ammirazione, di approvazione e conferma al proprio Sé, che lo risarciscono dell'assenza di queste nel passato e delle ferite narcisistiche, rappresentate dai difetti del vecchio cappotto, che ciò gli ha procurato. Ma purtroppo ciò ha breve durata, perché di notte A.A. incontra dei malviventi che lo minacciano e lo derubano del cappotto. Il giorno successivo A.A. torna in ufficio tutto pallido e con il suo vecchio cappotto divenuto ancora più pietoso. Il furto del cappotto ha fatto dunque riemergere la parte del Sé di A.A. che egli aveva tentato di allontanare. Qualcuno consiglia ad A.A. di rivolgersi ad un personaggio importante per il ritrovamento del cappotto.

E’ significativo che il personaggio importante, che compare a questo punto del racconto, presenti delle dimensioni psicologiche che si contrappongono a quelle della personalità di A.A.. La descrizione della distanza gerarchica rispetto ai subalterni, e degli stratagemmi per mantenerla e rafforzarla, sembrerebbero testimoniare la volontà di questo personaggio di elevarsi al di sopra degli altri, che oltretutto terrorizza, in modo tale da veder confermati il proprio narcisismo e i propri aspetti di grandiosità e onnipotenza agli occhi di se stesso e degli altri. I suoi metodi e le sue abitudini solide e maestose sono l'espressione di ciò, oltre all'esercizio e all'ostentazione della sua autorità, della sua importanza e del suo potere, attraverso la sottomissione e la severità. La preoccupazione del personaggio importante di sminuire la propria importanza e di dare troppa confidenza, testimonia una preoccupazione circa il mantenimento di difese narcisistiche, e quindi di una fragile organizzazione della personalità, tesa alla difesa e alla copertura, invece, di sensi di inadeguatezza, di inferiorità, di scarsa autostima e di insicurezza. Il suo grado di generale, che dopo averlo ottenuto gli aveva fatto perdere la testa, e il fatto che prima egli era stato un personaggio per niente importante ed una persona buona e servizievole, potrebbero stare a conferma di ciò. Questo personaggio rappresenta quindi psicologicamente un'autorità paterna, anche se, come vedremo meglio, dotata di caratteristiche negative e distanzianti. C'è tuttavia anche un'altra dimensione, che forse è anche più importante, ed è quella narcisistica. Orbene, potremmo interpretare il personaggio importante come un oggetto-Sé idealizzabile, ma avente al contempo caratteristiche rifiutanti e persecutorie; oppure come l'esteriorizzazione di una parte del Sé grandioso, esibizionistico e onnipotente di A.A., scissa dal resto della personalità, la stessa che avrebbe fatto capolino nella fantasia della martora sul colletto.

Il personaggio importante riceve A.A. dopo averlo fatto aspettare a lungo, e si rivolge a lui in maniera brusca e dura, trattandolo con sufficienza, infantilizzandolo ed intimorendolo. "Akakij Akakievic rimase di stucco, barcollò, iniziando a sussultare con tutto il corpo e non poté in nessun modo rimanere in piedi: se non fossero subito accorsi i custodi a sostenerlo, sarebbe stramazzato al suolo; lo portarono fuori che quasi non dava segni di vita." (p. 51). "Come avesse sceso le scale, come fosse uscito in strada, Akakij Akekievic non ricordava più nulla di tutto ciò. Non sentiva né braccia, né gambe. Nella sua vita non era ancora mai stato strigliato così violentemente da un generale, e in più anche di un'altra divisione. Camminava nella burrasca che fischiava per le strade, la bocca spalancata, deviando dai marciapiedi; il vento, secondo l'abitudine pietroburghese, soffiava su di lui da tutti e quattro i lati, da tutti i vicoli. In men che non si dica gli venne un'angina, ed arrivò a stento a casa senza la forza di dire neanche una parola: si era tutto gonfiato e si mise a letto. Così violenta è delle volte una strigliata in piena regola! Il giorno dopo gli si manifestò una forte febbre." (p. 52).

Il povero A.A. è dunque annichilito. Il personaggio importante, in cui riponeva le aspettative circa la riparazione ed il ristabilimento del suo equilibrio narcisistico rotto con la perdita del cappotto nuovo, infligge del tutto ingiustamente ed arbitrariamente una ulteriore, violenta e decisiva ferita al suo fragile Sé già duramente provato. La burrasca che soffia su A.A. da tutti i lati è la rappresentazione della condizione psichica di A.A., il quale si sente del tutto annientato, senza alcun sostegno a cui aggrapparsi che consentirebbe al suo Sé il mantenimento di un minimo di coesione.

A.A. è nel delirio febbrile. "Delle apparizioni, una più strana dell'altra, gli si presentavano senza sosta ( ... ). Indi diceva cose del tutto prive di senso, tanto che non si poteva capire niente; si poteva solo vedere che parole e pensieri disordinati ruotavano solo ed unicamente intorno al cappotto. Alla fine, il povero Akakij Akakievic esalò l'anima." (pp. 52-53). Il trauma della perdita del cappotto nuovo e dell'umiliazione narcisistica inflittagli, determina un crollo ed una frantumazione del sistema narcisistico del Sé, un trauma inelaborabile per A.A., che lo conduce alla morte. "Scomparve e sparì un essere mai difeso da nessuno, che non era stato caro a nessuno, né aveva interessato nessuno, che non aveva mai attirato su di sé neanche l'attenzione di un naturalista, che non tralascia di metter su di uno spillo una normale mosca e di esaminarla al microscopio; un essere che aveva sopportato mansueto gli scherzi cancellereschi ed era sceso nella tomba senza nessuna impresa straordinaria, ma per il quale, comunque, sebbene poco prima della fine della vita, era balenato un ospite luminoso sotto forma di cappotto, che aveva rianimato per un attimo una povera vita, e al quale poi era piombata addosso un'intollerabile sventura allo stesso modo di come piomba addosso agli zar e ai sovrani del mondo." (p. 53).

L'allusione a questa intollerabile sventura, alla stregua degli zar e dei sovrani del mondo, rimanda alla perdita della grandiosità e dell'onnipotenza arcaiche del Sé, determinata dalla perdita o rottura della fantasia fusionale che conduce alla catastrofe.

A questo punto il racconto prende una direzione inaspettata: abbandona il piano della realtà trasponendosi in una dimensione fantastica. Interpretiamo questo spostamento come una proiezione, come un'esternalizzazione dei sentimenti inconsci più profondi e scissi del nostro protagonista, di ciò che non poteva essere pensabile ed esprimibile sul piano della realtà. All'improvviso, infatti, presso il ponte Kalinkin, inizia ad apparire ogni notte il fantasma di A.A., che, con il pretesto di cercare il cappotto rubatogli, strappa di dosso a tutti i passanti i loro cappotti. All'improvviso, mentre il personaggio importante sta andando di notte dalla sua amica, si sente afferrare per il colletto, e, terrorizzato, riconosce il fantasma di A.A.: il fantasma gli porta via il cappotto e scompare per sempre. Da ora in poi il personaggio importante diventa molto più mite e comprensivo con i suoi subalterni. Il racconto si conclude con l'episodio di una guardia che avvista un fantasma: "il fantasma all'improvviso si voltò indietro e, fermandosi, chiese: "Che vuoi?", e mostrò un tale pugno come non se ne possono trovare nei vivi. La guardia disse: "Niente", e in più tornò subito indietro. Il fantasma, tuttavia, era ormai molto più alto di statura, portava degli enormi baffi e, indirizzati i passi a quanto pare verso il ponte Obuchov, scomparve completamente nell'oscurità notturna." (p. 59). E’ significativo che il fantasma di A.A. non si vendichi sui ladri che gli hanno rubato il cappotto, né cerchi di recuperare il cappotto rubato, bensì si vendichi invece del personaggio importante e si plachi prendendo il cappotto di lui. Questo può significare che il fantasma di A.A. rappresenta l'esternalizzazione della rabbia narcisistica scissa di A.A., che nasce dallo squilibrio narcisistico determinato dalla ferita della perdita del cappotto, e dall'umiliazione narcisistica e dal rifiuto traumatico inflitti dal personaggio importante. A questo proposito possiamo anche considerare il fatto che, essendo l'oggetto-Sé onnipotente, esso viene percepito come sadico quando non fornisce l'appoggio richiesto. La conclusione del racconto, con l'episodio del fantasma "oramai" più alto di statura, aggressivo e deciso, con enormi baffi, ci lascia capire che questo fantasma non è un altro fantasma qualunque, che tra l'altro non avrebbe nulla a che fare con il racconto e per giunta in conclusione, ma è in realtà la trasfigurazione della personalità del fantasma di A.A. dopo che ha avuto il cappotto del personaggio importante. In questa chiave interpretativa, il fantasma di A.A., fondendosi con l'oggetto-Sé idealizzato grandioso ed onnipotente, attraverso il cappotto, ha finalmente annullato le caratteristiche nullificate della personalità e ha ricostituito la propria integrità narcisistica, acquistando caratteristiche opposte di personalità relative a grandezza, potenza, virilità, autorità e sicurezza (statura, baffi, forza): il racconto infatti si apre e si chiude con queste due descrizioni complementari di personalità.

Possiamo anche pensare che A.A. abbia acquistato le caratteristiche narcisistiche del personaggio importante, che ora questi sembra aver perso o ridimensionato. E’ allora anche possibile pensare ad A.A. e al personaggio importante come alla rappresentazione di due dimensioni o aspetti del narcisismo e del Sé, in cui la grandiosità, l'esibizionismo e l'onnipotenza arcaici, fanno da contraltare al senso di nullificazione, di inferiorità ed inadeguatezza, rimandando alle rispettive identità. In questa luce potremmo considerare dunque il finale fantastico come la naturale prosecuzione di una fantasia, di un qualcosa cioè che già si svolge, sotto l'apparente realismo, su di un piano fantasmatico e psicologico. Potremmo allora supporre che la personalità di A.A. non fosse altro che la rappresentazione di un falso-Sé accettato e condiviso, aderente alle aspettative materne, come garanzia di poter ottenere amore; mentre nella parte più profonda della sua personalità, nel suo vero-Sé nascosto, mostruoso e rifiutato, giacesse non sopito un bisogno di fusionalità, di rispecchiamento empatico mai soddisfatto, di ammirazione, di approvazione, di conferma, di riconoscimento, di considerazione e apprezzamento di parti arcaiche del Sé grandioso e onnipotente, che non avevano mai avuto modo di essere normalmente gratificate e idealizzate, ma anzi sottoposte a svalutazione precoce, come testimonierebbe l'episodio del battesimo. Quando queste parti non vengono adeguatamente rispecchiate ed ammirate nel bambino, si crea uno squilibrio narcisistico ed una vulnerabilità del Sé, che testimoniano appunto che le esigenze narscisistiche adeguate al periodo di sviluppo sono state frustrate, che c'è stato un deficit di accudimento che non ha permesso al nucleo del Sé di trasformarsi e stabilizzarsi adeguatamente nel corso dello sviluppo. Il mantenimento dell'autostima e della coesione del Sé dipendono infatti dalla disponibilità di un oggetto-Sé speculare che conferma ed approva, o di un oggetto-Sé idealizzato che consente la fusione; in altre parole, di una madre sufficientemente buona che è in grado di lasciarsi utilizzare dal bambino per ciò di cui lui ha bisogno. I momenti di catastrofe di A.A. sono infatti legati principalmente alle risposte umane, e cioè quando Petrovic gli dice che il suo cappotto vecchio non si può più riparare, e quando il personaggio importante lo rifiuta e lo umilia, piuttosto che quando il cappotto gli viene rubato. In ambedue le situazioni A.A. chiede aiuto, in due momenti in cui sente il suo Sé in pericolo di disintegrarsi, e in entrambe gli viene fornita una risposta per lui annichilente, priva di empatia, lì dove invece A.A. chiedeva che gli venisse rimandata e rispecchiata un'immagine di sé che gli consentisse di mantenere la coesione e l'integrità narcisistica minacciate. Ma mentre nell'episodio del sarto Petrovic A.A. trova, in un secondo momento, possibilità di coesione nel rispecchiamento fornito dalla possibilità del meraviglioso cappotto nuovo, nel secondo caso l'assenza di questa possibilità lo porterà alla catastrofe, che risolverà solamente da fantasma appropriandosi del cappotto del personaggio importante.

L'importanza della tematica narcisistica e del rispecchiamento per la coesione del Sé ed il mantenimento dell'identità, è testimoniata anche dal fatto che molti personaggi Gogoliani si guardano allo specchio. Il tema dello specchio rimanda infatti direttamente alla tematica narcisistica, poiché il guardarsi insistentemente allo specchio può essere un tentativo di unificare e tenere coeso il Sé corporeo, che viene sentito in via di frammentazione, attraverso lo sguardo. Anche ne "Il naso" abbiamo questa tematica del narcisismo in primo piano, poiché il mag- giore Kovalev si guarda continuamente allo specchio, ed il naso che si è staccato dal suo viso viene visto in giro per la città, in uniforme da alto funzionario.

"Voi temete lo sguardo che s'affissa profondo; voi avete paura di affissare voi stessi su qualche cosa uno sguardo profondo; voi preferite toccar tutto di sfioro con occhi spensierati..." (N.V. GOGOL) (16)

 

 

NOTE

 

* Le citazioni sono tratte da: N. V. Gogol'- Il cappotto e Il naso (T. E. Newton. Roma 1993)

Una prima versione di questo articolo è stato pubblicato in: Alessandro Luciani (1996) L’alloro e la rosa: Vicissitudini del Sé ne "Il cappotto" di Gogol’ e nel "Cyrano de Bergerac" di Rostand. Editrice Pair 2000 srl, Latina.

 

| MOTORI DI RICERCA | UFFICIO INFORMAZIONI | LA POSTA | CHAT | SMS gratis | LINK TO LINK!
| LA CAPITANERIA DEL PORTO | Mailing List | Forum | Newsletter | Il libro degli ospiti | ARCHIVIO |
LA POESIA DEL FARO|