Sebbene
sostenga di lavorare non più di tre, quattro ore al
giorno, Joe Lansdale ha prodotto una quantità di romanzi e
di racconti che non è nemmeno lontanamente proporzionale
ai suoi cinquantaquattro anni: forse elaborare trame è per
lui una attitudine così naturale da non conoscere il
panico della pagina bianca, e scriverle una attività che
svolge in velocità senza troppi crucci a tormentarlo. E si
vede. Ha ormai una schiera di fan invidiabile distribuiti lungo
tutti i cataloghi dei generi che ha frequentato, dall'horror al
pulp, alla crime story, al noir più crudele, alla
avventura godibile anche dai ragazzi; e di lui si sa quasi tutto
- si conosce la sua passione per le arti marziali, si è
letto della devozione per la famiglia e di quella ancora più
insistita per il Texas orientale, che fa da sfondo a tutte le sue
storie. E si sa quanto detesti che si parli di lui come di uno
scrittore di genere, però sono molti i libri che gli
meritano questa fama, anche se la convenzione modaiola vieta il
fatto stesso di concepire simili classificazioni. Costruisce
trame tutto sommato assai tradizionali, dunque funzionano, e a
seconda del pubblico che vuole raggiungere le svolge pacatamente,
concentrando la tensione nei passaggi cruciali, o le fa vibrare
al suono di dialoghi innervati da uno slang al limite della
traducibilità: come succede nell'ultimo libro pubblicato
in questi giorni da Fanucci e titolato Il lato oscuro
dell'anima. Molto più riusciti di questo horror,
scritto nell'87, sono altri suoi romanzi usciti di recente in
italiano, In fondo alla palude del 2000, pubblicato nel
2004 da Fanucci e La sottile linea scura del 2003,
guadagnato al catalogo di Stile libero l'anno dopo, entrambi
condotti lungo l'apprendistato alla vita dei due ragazzi che ne
sono protagonisti. Poco più grandi di loro, i teppisti che
percorrono le pagine e le strade del Lato oscuro dell'anima
si divertono in un crescendo di efferatezze alle spese di
innocenti cittadini texani, fatti oggetto di una persecuzione
finalizzata a nient'altro se non saziare la loro compulsione alla
crudeltà. Viaggiano su una Chevrolet Impala nera che
travolge al suo passaggio tutto quanto le è di ostacolo,
sono comandati col terrore da Brian, uno psicopatico già
fuori di cervello quando affida la sua iniziazione a Clyde, il
compagno di scuola che, di lì a poco, si ucciderà
nel carcere in cui viene rinchiuso: la sua colpa è uno
stupro ai danni della sua insegnante. La donna è appena
reduce dallo shock della violenza patita, quando il libro ce la
presenta mettendo in scena i suoi tentativi di tornare alla
quotidianità domestica insieme al marito che non ce la fa.
Non ce la fa a convivere con una immagine di sé che gli
appare vigliacca, né con gli incubi della sua donna, con
le sue apparizioni, con le paure che dal giorno dello stupro non
la abbandonano più. E le ragioni della insegnante non sono
iscritte soltanto nel passato che la perseguita, perché il
suo futuro prevede la vendetta di Brian, che la sa responsabile
della denuncia dell'amico. Per Clyde aveva una autentica
venerazione, dalla sua stima dipendeva la costruzione di una
identità altrimenti vacillante, e ora non gli resta altro
se non rabbia e fantasmi di riscatto. Le pagine migliori sono
quelle in cui Brian parla alternando alla sua voce quella di
Clyde, i suoi gesti a quelli che immagina essere dell'altro. La
personalità dell'amico lo possiede più di quanto
non lo abbia influenzato quando era in vita, perché tra
loro non c'è più alcuna distanza: Brian è se
stesso quando la ragione lo soccorre, ma quando lo assale la
voglia del sangue allora è Clyde, la forza di due
criminali in un corpo solo.
A Lansdale, che è a
Mantova per incontrare i suoi lettori, domani alle 14.30, non fa
difetto l'ironia: della sua narrativa più trash ha scritto
prendendola per quel che è: primitiva e per
molti nostalgica, una produzione che misura la sua
riuscita sui quattrini che è in grado di ricavarne.
Prima
di partire per l'Italia ha avuto il tempo di leggere la lettera
con la quale Michael Moore accusa l'amministrazione Bush di
razzismo per avere condotto in modo indecente i soccorsi in
Louisiana? Il fatto è - dice - che gli abitanti di New
Orleans sono in maggioranza neri, per di più poveri.
Il
colore non c'entra, c'entra invece la povertà e il fatto
che queste persone non sono state adeguatamente informate, così
l'evacuazione non è riuscita. Per non parlare delle unità
militari che avrebbero dovuto provvedere ai soccorsi, molte delle
quali sono bloccate in Iraq. Gli autobus che avrebbero dovuto
trasferire i sopravvissuti non erano disponibili, e l'indigenza
di moltissime persone che vivono alla giornata è tale da
non consentire loro nemmeno l'acquisto della benzina per fuggire
da una zona sinistrata. Credo che il disastro sia dovuto
all'inefficienza e all'incompetenza più che a una vera e
propria volontà discriminatoria. Mi considero un uomo di
sinistra ma non amo gli estremismi, perciò sebbene
condivida buona parte di quanto dice Michael Moore, mi sembra che
sia un po' troppo manicheo. Con questo non intendo dire che abbia
torto, né intendo sottovalutare il livello di sfruttamento
e la povertà nella quale sono tenuti i neri in certi stati
americani come la Louisiana, però penso che il vero
problema, in questa circostanza, sia stato, oltre alla
impreparazione, l'accecamento con il quale le risorse del paese
vengono dirottate verso la guerra al terrorismo islamico invece
di venire mobilitate per fare fronte alle esigenze
interne.
Possiamo considerare autobiografico quel che
ha scritto nel testo titolato Eccitarsi per l'horror ? Lì
lei ironizza sul fatto che l'ispirazione per i suoi romanzi più
neri e sanguinari l'ha tratta principalmente dalla Bibbia, e
descrive la funzione formativa che su di lei hanno esercitato i
film di serie b, divorati durante la sua adolescenza nei cinema
all'aperto.
Sì, molto di quanto ho scritto in
quel testo corrisponde al vero. Da quando ero un ragazzino, per
esempio, mi sono sentito particolarmente attratto da quelle
pellicole a basso costo prodotte appositamente per il circuito
dei drive-in, dove c'è molta violenza e scorre tanto
sangue. Forse allora avevo bisogno di quel tipo di emozioni, ero
un adolescente ribelle, al limite della legge. Poi arrivarono i
video, spesso di bassissima qualità, concepiti e
proiettati solo nei cinema all'aperto, e anch'essi mi
interessavano perché non obbedivano a alcun canone e non
erano soggetti alle limitazioni imposte al cinema hollywoodiano.
Quanto al Vecchio testamento, mi ha ispirato, certo, perché
l'ho sempre pensato come il libro più terrificante che sia
mai stato scritto.
Da dove le viene la naturalezza con
la quale riesce a adottare il punto di vista di un ragazzo e a
affidargli la narrazione, come fa per esempio nei suoi romanzi In
fondo alla palude e in La sottile linea scura?
Forse
mi viene dal fatto che, come mi è stato detto, tengo il
mio cuore di bambino in un contenitore di vetro sulla mia
scrivania. Tutti gli scrittori hanno particolarmente sviluppata
la nostalgia per il tempo in cui erano ragazzi, ma tanto più
attingeranno all'infanzia se sono autori di storie gotiche o
horror, perché l'infanzia è sì l'età
della innocenza ma anche quella della crudeltà, in cui si
fanno le prime scoperte sui lati oscuri della vita.
Il
ruolo dell'uomo-capra nella trama di In fondo alla palude
è particolarmente ben giocato. È una figura
approdata alle sue pagine da racconti realmente ascoltati, da una
tradizione narrativa che conta figure simili, o le viene dalla
sua immaginazione?
Mi viene da una vecchia leggenda
del sud. Quando ero piccolo mi sentivo dire continuamente che se
mi fossi avvicinato troppo al fiume sarebbe saltato su
l'uomo-capra e mi avrebbe portato via. Mi sono reso conto che
questa figura avrebbe funzionato bene come allegoria di tutto ciò
che ci spaventa perché non lo conosciamo, anche se poi ci
prendiamo la briga di giudicarlo.
Sembra che nei suoi
ultimi romanzi lei si stia proponendo di rivisitare la storia
recente dell'America: lo fa, per esempio, in Tramonto e
polvere, ambientato nella grande Depressione, e nella Sottile
linea scura, che si svolge negli anni `50...
E
anche nel mio ultimo romanzo, che se manterrò i miei
intenti sarà ambientato negli anni `60, più o meno
quando è stato assassinato Kennedy. Ho cominciato con
L'anno dell'uragano, che si svolgeva nel 1900, poi ho
rivisitato il passato dei mei genitori, e dopo ancora i tempi in
cui ero un ragazzo.
Come giudica, a distanza di quasi
vent'anni, il suo romanzo Il lato oscuro dell'anima, che a
noi arriva solo in questi giorni, nella traduzione edita da
Fanucci?
Lo trovo ancora molto potente, molto intenso,
c'è chi mi ha detto che lo considera uno tra i migliori
romanzi di suspence di tutti i tempi: non so se sia vero ma mi
piace pensarlo. Certo, è un libro molto semplice, ancorato
a pochi elementi fondamentali, oggi i temi toccati dalla mia
narrativa si sono certamente ampliati. Tutto sommato, anche
allora toccavo problemi politici; senza indicare una soluzione,
però, perché non amo distinguere troppo nettamente
il bianco dal nero, il giusto da ciò che non lo è
.
Le sarebbe possibile scrivere un romanzo horror in un
linguaggio sobrio?
Certo, è sempre possibile
usare linguaggi che non aderiscono a ciò che ci si
aspetta. Mi basta pensare a quei film di Hitchock in cui nei
momenti di massima tensione scorre in sottofondo una musichetta
ridicola, che fa un effetto quasi grottesco.
Riesce a
concepire la possibilità di ambientare un prossimo romanzo
fuori dal Texas? Questo suo Texas così diverso da quello
descritto nei libri di Cormac McCarthy?
Credo che
sarei in grado di cambiare ambientazione ma in questo momento non
mi interessa farlo. Il Texas è un paese enorme, l'est e
l'ovest sono due mondi diversissimi dal punto di vista naturale,
e questo ha una grande influenza sugli stili di vita. Io sono del
Texas orientale, che somiglia alla Louisiana, è pieno di
alberi e fiumi, dunque di acque e di foreste, vi si respira una
atmosfera simile a quella del sud degli Stati Uniti, determinata
da importanti commistioni culturali tra neri, bianchi e indiani
pellerossa. Il Texas di Cormac McCarthy, invece, è
l'opposto, poca acqua e molta polvere, distese aride dove lo
sguardo si perde per miglia e miglia senza incontrare alcun
ostacolo. Sono caratteristiche ambientali che si riflettono anche
nelle cadenze della lingua parlata. Per quel che riguarda i
nostri romanzi, direi che Cormac McCarthy scrive nella posizione
di un uccello che si innalza a alte quote per potere osservare
meglio il paesaggio, io invece mi metto come un cane sdraiato
sotto un portico ad ascoltare.
Da cosa dipende il fatto
che lei un giorno si siede davanti al computer e comincia a
scrivere una crime-story, un altro giorno decide di dedicarsi a
un romanzo di formazione e un altro giorno ancora pensa di
inventare un fumetto: dipende da una qualche strategia o
dall'umore del momento?
Da entrambi, ma soprattutto
dal mio stato d'animo. Di solito mi diverto, scrivo con piacere
ed è come se ogni storia trovasse le sue parole e queste
formassero il loro contesto. Io stesso non mi rendo conto di
quale direzione stia prendendo il romanzo che sto scrivendo se
non quando sono circa a metà.
Sia tra le pagine
di In fondo alla palude che in quelle di Tramonto e
polvere compare più volte il Ku Klux Klan. Le è
mai capitato di essere testimone delle loro azioni?
Qualcosa
ho visto, anche se non è detto che il Klan fosse coinvolto
direttamente. Negli anni in cui sono cresciuto l'atmosfera era
satura di rigurgiti razzisti, che hanno avuto su di me un impatto
molte forte; certo, nulla di paragonabile a quanto accadeva negli
anni `30.
A cosa allude la sottile linea scura dalla
quale prende il titolo il suo romanzo?
Il libro è
pieno di contenuti metaforici, così la linea scura divide,
innanzi tutto e banalmente, il bene dal male, poi segna la
separazione tra la cultura dei neri e quella dei bianchi e allude
anche alla necessità di non vivere a metà, perché
spesso bisogna prendere una decisione, aderire a un versante o
all'altro delle cose.
Intervista
di Francesca Borrelli IL MANIFESTO 09/09/2005
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