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Ustica. Perché? |
Ore 20 e 08 del 27 giugno 1980. C'è un aereo, un DC9 della compagnia aerea privata Itavia che ha sulla carlinga la sigla di riconoscimento I-TIGI, che parte dall'aeroporto Marconi di Bologna diretto a quello di Punta Raisi di Palermo. Settantasette passeggeri, più quattro uomini d'equipaggio, undici bambini e due neonati. Nel suo volo il DC9 I-TIGI dell'Itavia, viene seguito dal radar di Ciampino, vicino a Roma. Ogni volo ha una specie di numero di targa elettronico che si chiama trasponder. Quello dell'I-TIGI è 1136. Alle 20 e 26 il radar di Ciampino e anche un altro che sta a Ferrara e che appartiene alla difesa aerea, chiedono all'I-TIGI di identificarsi. Perché? Non c'è il trasponder, con il numero di targa, a farlo automaticamente? No, il segnale risulta confuso, le tracce non sono chiare. Richiesta ripetuta poco dopo, alle 20 e 30. Tracce non chiare, segnale confuso. Ciampino chiede all'I-TIGI di squoccare, premere di nuovo il dispositivo che aziona il trasponder, e il segnale arriva. 1136. Alle 20 e 57 l'I-TIGI stabilisce il contatto con Punta Raisi. Mancano venticinque minuti all'atterraggio. In cabina, registrate dalla scatola nera, le voci del pilota e dell'equipaggio. Poi, all'improvviso, qualcuno dell'equipaggio dice una sillaba, una mezza parola, dice Gua.., niente di più, perché la registrazione si tronca. Ore 20,50 e 45 secondi. Dal radar di Ciampino il DC 9 I-TIGI dell'Itavia, il volo IH 870, è sparito in un tratto di mare vicino ad un isoletta siciliana che si chiama Ustica. Alle 21 e 22 il comando di Martina Franca inizia le procedure di soccorso. Soltanto verso le 5 e 05 della mattina dopo un elicottero segnala alcuni detriti in affioramento. Alle prime luci dell'alba avvista sull'acqua una chiazza di cherosene. Prima è soltanto una chiazza oleosa, poi, verso le sette e mezzo, cominciano ad affiorare cose, cuscini, sedili, salvagente sgonfi. Verso le nove, comincia ad affiorare qualcos'altro. Affiorano i corpi. Le salme recuperate sono 38, e ci sono anche altri resti umani che appartengono a corpi non identificati, per un totale di 42. Altri 38 sono rimasti in fondo al mare. Secondo le prime autopsie, i passeggeri sono morti per gravissime lesioni polmonari da decompressione e molti presentano lesioni traumatiche. Vuol dire che sono morti quando la cabina pressurizzata dell'aereo si è spaccata, in aria, e l'aereo è venuto giù. Il giorno dopo il disastro il Ministro dei Trasporti Rino formica forma una commissione tecnica d'inchiesta e ne affida la presidenza all'ingegner Carlo Luzzati. Contemporaneamente si muove la magistratura, prima con il sostituto procuratore di Palermo Aldo Guarino e poi con il sostituto procuratore di Roma Giorgio Santacroce. Cos'è successo nel cielo di Ustica? Oltre al radar di Roma Ciampino che ha seguito il volo fino al limite della sua portata, ci sono i radar della difesa aerea, che potevano vederlo meglio: uno a Licola, vicino a Napoli e uno a Marsala. I sostituti procuratori Guarino prima e Santacroce poi chiedono la consegna dei dati forniti dai radar di Ciampino, di Licola e di Marsala. Il radar di Licola non ha visto niente di strano. Ha annotato tutte le osservazioni su un registro, che però manca, è scomparso. Anche il radar di marsala non ha visto niente di strano. Era spento, impegnato in una esercitazione. C'è qualcun altro che potrebbe aver visto qualcosa, la portaerei Saratoga, della Seconda Flotta americana, che stava ferma nel porto di Napoli. Ma la Saratoga non ha visto niente, perché aveva i radar spenti per non disturbare le radio locali. L'ipotesi di un cedimento strutturale dell'aereo viene scartata quasi subito. In compenso girano delle voci. Che a far cadere l'I-TIGI sia stato un missile. Lo dicono i militari impegnati nei comandi radar, a Palermo, gli stessi dipendenti dell'aeroporto che parlano con le famiglie, lo dicono controllori di voli ai giornalisti, lo dice il generale Rana, che comanda il Registro Aeronautico Italiano al ministro dei trasporti Formica. Ci sono i tracciati del radar di Ciampino che fanno intravedere qualcosa di strano. Il sostituto procuratore Santacroce li manda a Washington, dove sono in grado di leggerli. Gli esperti americani mettono in evidenza nel tracciato di Ciampino tre echi, tre plot che non appartengono al DC9. Per l'ingegnere Macidull, che fa parte del gruppo di esperti americani, appartengono ad un oggetto non identificato che prima viaggia parallelamente alla rotta dell'aereo e poi l'attraversava ad alta velocità quando questo era già scomparso dal radar. Per l'ingegnere quella è la classica procedura d'attacco di un caccia da guerra. E' una falsa eco, dicono gli esperti dell'Aeronautica Militare. E' il radar che funziona male e restituisce dei plot che non esistono. Non c'era nessuna esercitazione in corso, almeno in quella zona. Non solo, nel raggio di 50 miglia non c'era nessuna attività aerea nel momento in cui il DC9 dell'Itavia è caduto vicino ad Ustica. Lo dice anche il ministro della Difesa Lelio Lagorio, che sulla base di queste informazioni il 10 luglio 1980 riferisce al Senato. Niente collisione e niente missile. Intanto, il 18 luglio 1980 sui monti della Sila, in Calabria, viene trovata la carcassa di un MIG libico, un aereo da guerra. Ma che ci fa sui monti della Sila? Un volo di addestramento che si è perduto per un malore del pilota, dice l'aeronautica libica. Un aereo che andava a far rifornimento e revisione in Yugoslavia, come succedeva spesso, dicono altri, magari usando piste della seconda guerra mondiale in disuso, in Sicilia, con la tacita connivenza, dice qualcun altro, dei nostri servizi segreti. La prima inchiesta sulla caduta del MIG libico si conclude in fretta. Dopo pochi giorni, il 31 luglio, viene archiviata dalla magistratura di Crotone, i resti del pilota vengono restituiti alla Libia come pure parte dell'aereo. E l'I-TIGI? E' difficile dire cos'è successo. Ci vorrebbero più dati, ci vorrebbero i resti dell'aereo, ma il DC9 I-TIGI è in fondo al mare, a 3700 metri e tirarlo fuori da lì costa troppo. Così, piano piano, l'inchiesta rallenta e praticamente si ferma. Ma oltre ai parenti delle vittime, che vorrebbero sapere cosa è successo, ci sono anche alcuni giornalisti che non ci vedono chiaro e che fino da subito si prendono a cuore la vicenda, indagano, cercano, riflettono, con tenacia e con passione. E' in quegli anni che nasce un'espressione coniata da Andrea Purgatori , del Corriere della Sera, che entra nel linguaggio comune e diventa anche il titolo di un film di Marco Risi che racconta questa brutta storia. Il Muro di Gomma. Nel marzo del 1982 la commissione Luzzati finisce la sua perizia. Niente cedimento strutturale. L'aereo è esploso in volo quindi o una bomba, la bomba di un terrorista, o un missile. Nel gennaio del 1984 il sostituto procuratore Santacroce passa l'inchiesta al sostituto procuratore Bucarelli. Che aspetta undici mesi e a novembre nomina un'altra commissione di periti e l'affida al professor Massimo Blasi. Che darà una risposta solo quattro anni dopo. Perché così tanti? Perché mancano i resti dell'aereo, dicono tutti, e senza quelli non si può fare molto. Il 27 giugno del 1986, nel sesto anniversario della caduta del DC9 Itavia, i familiari delle vittime, che si costituiranno in associazione con presidenza di Daria Bonfietti, rivolgono un appello al Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. E' un appello che smuove qualcosa. Il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giuliano Amato, frugando tra le pieghe del bilancio, trova i soldi per iniziare il recupero. Nel maggio 1988, l'Infremer, una ditta francese specializzata in recuperi riporta a galla tutti i resti del DC9, compresa la scatola nera. Tutti i resti? C'è qualcuno che se lo chiede. Ci sono voci che dicono che l'Infremer sia una società legata ai servizi segreti francesi, e proprio di un missile francese si era parlato nei primi tempi. Una nuova campagna di recupero viene affidata ad una ditta inglese, che nel 1990 riporta a galla altri reperti rimasti in fondo al mare. Tra questi c'è anche il serbatoio supplementare di un caccia. Sono davvero tutti, si chiede qualcuno? Intanto, anche nel muro di gomma si smuove qualcosa. Il 6 maggio del 1988, durante una puntata di Telefono giallo dedicata al disastro arriva la telefonata di una maresciallo in servizio al radar di Marsala che racconta come fosse stato ordinato a tutti di stare zitti. C'è un altro militare di Marsala che parla, il maresciallo Luciano Carico, che contraddice i suoi superiori e dice che invece sì, ha visto qualcosa sul radar. Tra le 20 e 50 e le 20 e 59, due tracce, all'altezza di Ponza, che scendevano assieme. A lui si aggiunge un alto ufficiale dei carabinieri, il generale Bozzo, che si trova in vacanza in Corsica e che dice che quella sera ha visto parecchi aerei francesi alzarsi in volo, diretti verso il mare. Non sono le uniche novità che saltano fuori in quegli anni. Salta fuori che a poter vedere il volo del DC9 Itavia, nelle varie fasi, non erano soltanto i radar di Ciampino, Licola e Marsala, ma anche quelli di Poggio Ballone e Grosseto, Poggio Renatico a Bologna, quello di Potenza Picena, quello di Siracusa, Nessuno, però, ha visto niente. Saltano fuori anche altre cose. Aerei in volo, quattro italiani che partono da Grosseto, uno americano da Sigonella, un AWAKS sull'Appennino e due caccia F104 italiani, di cui uno, alle 20 e 26 lancia un segnale di pericolo che significa emergenza generale. Sette minuti dopo, alle 20 e 35, il segnale si ripete. Cosa significa? Cos'hanno visto i due piloti? Non si sa. Allora non gli è stato chiesto e al momento dell'indagine non si può più, perché nel frattempo sono morti a Ramstein, in Germania, in un incidente durante un'esibizione delle Frecce Tricolori. Sono cose nuove? L'aeronautica disse allora e lo dice anche adesso, che la magistratura le aveva sempre avute a disposizione, e che comunque non significano niente. Nuove o vecchie che siano saltano fuori anche altre cose. Conversazioni tra le torri di controllo, i centri radar e i comandi militari, che sono state registrate, a volte in automatico. Diciotto ore di registrazione audio, che si aggiungono ai due nastri dei radr sequestrati a Marsala, al nostro radar di Ciampino e ai quattro tabulati di Poggio Ballone, più qualcos'altro. Tutto disponibile fin dall'inizio dice l'aeronautica. Non è un'inchiesta facile, quella sul disastro di Ustica. Non lo è per il giudice Rosario Priore, che assume l'inchiesta nel 1990 e si trova alla prese con un'altra serie di perizie e controperizie. La commissione Blasi prima dice che che è stato un missile, esploso probabilmente nella parte anteriore del Dc9 e l'ha fatto cadere. Anche l'Aeronautica nomina le sue commissioni che propendono tutte per l'ipotesi della bomba. Secondo il giudice istruttore Rosario Priore non è vero che il cielo fosse sgombro quella sera. Ci sarebbero stati molti aerei, militari, e ce ne sarebbe uno che ad un certo punto si accoda all'I-TIGI e quasi ci si mette sotto, appena visto dai radar. Un aereo sconosciuto che il DC9 Itavia, molto da vicino e di nascosto. Un altro che procede parallelamente a lui, poi vira, secondo una tipica manovra d'attacco. L'aereo nascosto, che accelera per scappare, poi il Dc9 esplode. Perché? Perché l'altro aereo, quello che attacca, avrebbe lanciato un missile contro l'aereo nascosto, che ha colpito o è esploso vicino al DC9. O perché l'aereo sarebbe passato così vicino all'I-TIGI da farlo cadere. Una vera e propria battaglia nei cieli di Ustica, in cui il DC9 dell'Itavia sarebbe rimasto coinvolto, perché si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma una battaglia tra chi? E perché? Per i generali dell'Aeronautica Militare chiamati in causa dall'inchiesta, l'ipotesi invece è diversa. Il DC9 non è più caduto per cedimento strutturale, ma è esploso in volo. Non per un missile, però, per una bomba. La bomba di un terrorista caricata sicuramente a Bologna, lasciata nella toilette anteriore dell'aereo ed esplosa, volontariamente e per errore. Ventidue anni, un milione e ottocento pagine di atti giudiziari, cinquemila pagine di sintesi, più un centinaio di perizie. Il processo sul disastro di Ustica non è un processo pee stragi, ma per depistaggio. Il 31 agosto 1999, il giudice Rosario Priore chiede il rinvio a giudizio dei generali Bartolucci, Tascio, Melillo e Ferri, per attentato contro gli organi costituzionali con l'aggravante dell'alto tradimento, a cui si aggiungono altri cinque ufficiali e quaranta militari. No, dicono i generali messi sotto accusa. Non è vero, Semmai la colpa è dei magistrati che avevano condotto le prime inchieste. Il processo è in corso e spetta alla magistratura stabilire la verità, se ci siano dei colpevoli oppure no. Sono passati ventidue anni da quando il DC9 Itavia è partito da Bologna quel 27 giugno del 1980. Sono troppi. La gente non dimentica, ci sono libri, ci sono articoli e servizi televisivi, c'è l'Associazione dei parenti, c'è un bellissimo spettacolo scritto da Marco Paolini e Daniele del giudice, ma quello che manca è la verità. Perché quello che è successo, è troppo grosso. Qui ci sono 81 persone, che se stanno tranquille, sedute al loro posto, lo schienale alzato, il tavolino chiuso, le cinture allacciate, stanno per atterrare, e all'improvviso, il pilota ha solo il tempo di dire gua e il motore destro si strappa, si stacca la fiancata con tutti i finestrini, si spengono le luci, l'aereo si depressurizza e muoiono tutti passeggeri, poi si blocca l'altro motore, l'aereo si spezza in due tronconi, si apre sopra, l'ala si stacca, l'aereo cade, si sbriciola contro l'acqua e finiscono tutti in fondo al mare e là restano, sotto 3600 metri d'acqua. Perché? Non si può lasciare senza risposta. Perché? Carlo Lucarelli L'UNITA' 23/02/2003 |
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