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Questo è l'Islam che non conoscete |
Abasse Ndione si siede e, con calma, tira fuori da una tasca delle cartine Rizla. Poi, dall'altra estrae un piccolo involucro di cellophan, che depone, come le cartine, sul tavolo. Siamo sulla terrazza di un albergo romano: saprà che, da noi, la legge Fini sulle droghe ha vietato pure la modica quantità? Lo sconcerto ci si deve leggere in faccia, perché Ndione ride e ride pure sua moglie Faïmouna: Tabacco spiegano. Perché avevamo pensato che fosse altro? Perché Abasse Ndione è uno scrittore che viene sa un paese, il Senegal, dove fuma l'erba la maggioranza della popolazione; l'erba è stata protagonista del suo primo, dissacrante romanzo, Vita a spirale, edito in Italia da e/o, col quale ha vinto il premio Léopold Sedar Senghor; e, nell'incipit del suo nuovo libro, il terzo, che domani sera leggerà alla Basilica di Massenzio, ritroviamo Amuyaakar Ndooy, già protagonista del primo, invecchiato ma di nuovo intento a rollare, appena messi giù i piedi dal letto, il primo degli infini tispinelli della giornata.
Ndione non è ne giovane né freak: lui e la moglie sono, anzi, una coppia dal passo solenne (Faïmouna Ndione Sané giudica, e non si può darle torto, che camminare con lentezza sia più elegante), abbigliati lui in bianco, in boubou, la lunga tunica con i pantaloni sotto stretti alla vita, e marrakis, le ciabatte di pelle, con il fas, lo zucchetto, nero, occhiali con una montatura di ferro lavorato che avrebbe potuto portare Voltaire e barba bianca e nera; lei in una preziosa abbaya, l'ampio abito ricamato, e foulard attorcigliato come una corona, per coincidenza proprio nei colori di Roma, rosso e amaranto, orecchini d'oro lucente che pendono ai due lati di un viso che, nella sua bellezza, richiama quello della protagonista del secondo romanzo del marito, Ramata. Ramata, la donna alla quale nessun uomo resiste.
Come spesso succede, incontrare uno scrittore africano (così come leggere i suoi libri) significa entrare in comunicazione con un mondo che spiazza perché è sia coincidente col nostro, sia misteriosamente diverso. Già i dati biografici: Ndione, musulmano come il 95% dei senegalesi, ha, laicamente, un'unica moglie, ma dice di avere solo sette figli, perché lui, di fratelli di sangue per parte di padre, ne ha ben diciassette; oggi cinquantacinquenne, ha fatto l'infermiere in ospedale per trentacinque anni (ambiente superbamente ritratto in Ramata), mestiere scelto perché il corso di studi durava poco e lui voleva scrivere, anziché studiare; ha impiegato dieci anni per pubblicare la prima parte di Vita a spirale, nel 1984, poi, benché sia un romanzo che esplora una società tutt'altro che tradizionale, il mondo, appunto, dello spaccio e del consumo della marijuana, l'ha visto adottare come libro di testo nei licei senegalesi; e, con l'edizione Gallimard, dal '98 ha conosciuto il successo internazionale (a Roma ha ricevuto il premio narrativa Sud del mondo).
Cominciamo col versante magico della sua esistenza. E' vero, come abbiamo letto, che la sua vita si è svolta esattamente come gliel'aveva prevista, negli anni Settanta, una marabutto?
Sì, in ogni dettaglio. Avrei avuto successo e fatto un certo viaggio, solo quando la mia barba sarebbe diventata bianca, e un giorno mi sono accorto che la barba mi s'era imbiancata, mentre i capelli erano ancora neri...Non è magia, quella dei marabutti, è vera scienza, scienza occulta, mistica. In Africa tutti, musulmani e cristiani, politi, intellettuali e gente qualunque, non fanno niente senza consultarne uno. Mia moglie ha interrogato due veggenti prima di questo viaggio e tutt'e due ci hanno predetto il bene se, alla vigilia, avessimo donato a dei bambini latte di miglio. Ci sono marabutti che, ora, cominciano a fare tournées in Europa a scadenze fisse. Certo, è un ambiente pieno di imbroglioni.
Sotto questo aspetto, tutto il mondo è paese. Lei ha scritto due libri in wolof, lingua materna, e due in francese, lingua dei colonizzatori. Cosa racconta meglio, nell'una e nell'altra lingua?
Io penso in wolof, sogno in wolof. E in wolof ho scritto storie intime della mia infanzia. Quando scrivo in francese, lingua che ho imparato a scuola, mentalmente faccio un doppio lavoro, traduco cioè quello che penso.
Erba in Vita a spirale, alcol, fiumi di alcol, e tanto sesso, in Ramata: i suoi romanzi hanno scandalizzato i lettori senegalesi?
Un po' ho scandalizzato. Ma ora il primo romanzo è libro di testo nei licei. Ogni anno vado a discutere nelle scuole e dico ai ragazzi: Eccomi qui a capire il mio libro. Ora è vostro, non mi appartiene più. Avevo 27 anni quando l'ho scritto.
Jackson, uno dei personaggi di Ramata, è appena rientrato dal pellegrinaggio alla Mecca quando ruba in casa dell'amico una bottiglia di Vodka Smirnoff. E' un comportamento comune, rendere omaggio ad Allah e poi sbronzarsi?
Ci sono musulmani che bevono più dei cristiani. C'è un Islam non rigoroso. D'altronde il vero Islam è tollerante, del tutto diverso da quello che raccontano i vostri giornali: la nostra preghiera si conclude con la parola salam, pace. Io, per esempio, vengo da una famiglia per metà musulmana e per metà cristiana.
In Vita a spirale il fumo è continuo, è come se sostituisse l'aria. In Ramata si beve appunto enormemente. Al di là del realismo, le due droghe sono anche due chiavi d'accesso a due mondi diversi, uno povero, l'altro, quello dei ministri e capi di polizia e primari d'ospedale che si ubriacano, ricco?
I liquori sono solo per i ricchi, ma in Ramata ci sono anche i poveri che si stordiscono con birra e vino di palma. Sì, sono chiavi d'ingresso in certi mondi. Quello dell'alcol esplicito, non proibito, quello dell'erba clandestino e col suo gergo: krado, il filtro, sviluppare il rollare. L'erba mi è servita per entrare nella Dakar che è un crocevia, tra il porto, l'aeroporto, la frontiera col Gambia, la ferrovia: tutti si trovano lì.
Nel nuovo romanzo quali vicende affronta Amukyaar Ndoony?
L'avevamo lasciato con tre donne e una moltitudine di figli, e ha continuato l'opera. Soprattutto, attraverso di lui racconto la guerra per l'indipendenza del Casamas, il Sud che il Gambia separa dal resto del Senegal. Una guerra nazionalistica, non etnica, perché in Casamas ci sono tutte le etnie, Diolas, Mandringues, Wolofs, Maujacks, Balantes. Una guerra lunga, sanguinosa e che non ha portato a niente. Ora che sta concludendosi i membri del Fronte che l'ha condotta, l'Mfdc, hanno cominciato a sbranarsi tra loro. Da trafficante, il personaggio Amuyakaar entra in contatto con i combattenti che, non avendo soldi, coltivano erba per armarsi. Comprano armi nella vicina Guinea Bissau, un paese dove si trova di tutto, perché i portoghesi quando se ne andarono di gran corsa nel '74 lasciarono lì tutti i loto armamenti, e l'Urss lo rifornì per anni di kalashnikov.
Lei scrive per un Islam tollerante e dotato, anche, di autoironia. Questo Islam come reagisce alla guerra di civiltà di Bush?
Cresce l'odio. La confraternita musulmana Khadrya, che ha molti adepti in Senegal, è nata in Iraq. Perciò, la guerra viene vissuta come guerra ai fratelli musulmani. C'è stato perfino un tipo, all'inizio, che ha lanciato un appello alla radio, poi caduto nel vuoto, per mettere su un battaglione per andare in loro sostegno. Saddam era il più orribile degli individui, ma gli iracheni gli avevano dato credito e lo avevano fatto diventare dittatore ed erano gli iracheni da solo che dovevano cacciarlo via.
Intervista di Maria Serena Palieri L'UNITA' 31/05/2004
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