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Giovanni Rebora
IL SECOLO XIX –

Revisionismo da quattro soldi


Siamo alle solite pezzenti note del revisionismo. Speriamo che non lo chiamino Storico. Il fascismo aveva dichiarato il fallimento del suo duce e lo aveva “dimesso”, era il 25 luglio del 1943. Si trattava di un fascismo che aveva eletto duce Mussolini sull'onda della retorica dei suoi discorsi. Mussolini aveva dato al re tutto quanto il piccolo re poteva sperare: due corone (una d'Albania), un impero che non sarebbe durato più di cinque anni.

E finalmente aveva scelto la Germania nazista per alleato, sperando nella guerra lampo. Dopo l'otto settembre del 1943, liberato dai tedeschi, il duce tornò alla testa di alcuni fedeli e di molti rimasti intrappolati nel territorio della Repubblica Sociale; se il duce non fu direttamente responsabile della condanna a morte, pronunciata dai giudici del processo di Verona nei confronti dei membri del gran consiglio, compreso suo genero Ciano, forse non fece nulla per evitare la fucilazione di chi lo aveva “dimesso”. Sua figlia Edda pare ne fosse convinta.

Quando qualcuno si opponeva al regime era tacciato di comunismo. I cosiddetti “comunisti” venivano internati in Germania e trattati come ebrei: ne sono tornati pochi. Facilissimo capire che per giustificare una strage come quella di Marzabotto si ricorra alla colpa fondamentale dei comunisti, alla loro massiccia presenza nella chiesa di Marzabotto travestiti da vecchi, donne e bambini. La colonna Reder andava in giro per comunisti e quando incendiò Boves fu certo per l'erronea informazione dei servizi, visto che a Boves c'erano di sicuro gli oppositori del regime e dell'invasore tedesco, ma la provincia di Cuneo, a parte qualche eccellente presenza, fu quasi sempre “bianca” e socialdemocratica.

Insomma, la guerra non fu un grave errore del duce, tanto grave da turbare anche le coscienze dei fascisti del Pnf; la guerra fu una colpa dei comunisti e la sconfitta non ci venne dalla preponderante potenza militare degli alleati, macché, venne dal tradimento della marina e di altri non meglio identificati. Finiamola di scrivere stupidaggini, la megalomania del reuccio, assecondata dal duce che sentiva il bisogno del suo consenso e la scarsissima cultura degli uomini di governo (salvo due o tre, sia chiaro Ciano e Volpi di Misurata e forse Grandi erano persone d'ingegno) condussero il Paese alla rovina. Questa guerra è finita, sono passati quasi sessant'anni e non ci si è ancora convinti che fu un crimine, che non c'erano possibilità di vincere e che, tutto sommato, è andata bene così. I morti di El Alamein non hanno insegnato nulla, sarebbero potuti essere riportati in Italia e impiegati per “difendere il suolo della Patria”. Invece li abbiamo lasciati là, nessuno ha intuito che gli alleati sarebbero sbarcati in Italia. Bravi strateghi.

Ma torniamo ai comunisti. Chi erano costoro nel 1944? Alcuni fuoriusciti rientrati, alcuni intellettuali in grado di leggere cose che noi abbiamo trovato nelle edizioni Rinascita del 1947, davvero pochi seppur preparati, gli altri erano giovani che non volevano combattere accanto ai tedeschi, altri avevano prestato giuramento al re ed ora si trovavano ad avere come nemico e invasore l'antico alleato, ma decisero di combattere contro il nuovo nemico pur essendo fascisti (ne ho conosciuti), e tanti altri, compresi quei gruppi di sbandati che non vollero scegliere e si trasformarono in spie e banditi. I comunisti, che nell'immaginario collettivo dei giovani che avevano appena frequentato le scuole medie, erano considerati démoni e ciò veniva loro confermato da buona parte dei preti con l'aggiunta loro confermato da buona parte dei preti con l'aggiunta del fatto che mangiavano i bambini (prima i mangiavano gli ebrei, poi i massoni, ora i comunisti). Quelli lì insomma erano “cattivi”. Siccome tedeschi e repubblichini non si comportavano da gentiluomini, alla gente venne in mente che, per essere davvero nemico dei tedeschi e dei loro collaboratori, si dovesse “essere comunisti”.

Insomma, si ha la sensazione che la maggior parte dei comunisti se li siano inventati i fascisti prima di tutti e poi coloro che avevano interesse a dare del comunista all'avversario politico. Accade ancora e ancora non abbiamo capito che le atrocità delle guerre non sono casi dovuti alla naturale indole criminale dei vinti: sono conseguenze della guerra. E' la guerra che è un crimine, ciò che avviene durante la guerra è triste conseguenza. Il 25 aprile del 1945 ha segnato una data da non dimenticare, è finita un'epoca di violenza e, grazie a sessant'anni di pace, siamo ora uno dei Paesi dalla migliore qualità della vita. Il 25 aprile dovrebbe essere una festa anche per chi si è sentito sconfitto: non è detto che non si debbono trarre insegnamenti dagli errori.

Giovanni Rebora – IL SECOLO XIX – 24/04/2003

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