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Giovanni Rebora


Nostalgici, giù le mani dalla storia

iovanni Rebora, ex direttore del Dipartimento di Storia all´Università, s´indigna ancora. Su chi vorrebbe "sfruttare" occasioni politiche per fare incursioni nel mondo della cultura, per esempio, e della storia in particolare. Impresa possibile, in pratica, ma inutile. Perché, spiega, la storia è quella che è, un insieme di fatti importanti che hanno segnato il destino degli uomini. Le interpretazioni? Sono altro e non cambiano gli eventi. L´ultimo fa parte della cronaca. E´ la proposta di legge regionale, di An, per fondare un Istituto di storia contemporanea e - forse - eliminare in qualche modo l´Istituto ligure di storia della Resistenza, a cui An avrebbe preferito non destinare fondi già nel 2001. Fondi che sono arrivati perché la maggioranza di centrodestra, sul tema, non è compatta. E poi, nel novembre scorso, c´era stata la corona di fiori, a nome della Regione, mandata per ricordare i morti della repubblica sociale, dimenticando i sacrari dei partigiani. Piccoli passi per arrivare all´idea del presidente della regione Lazio, Storace, di revisione dei libri di testo? Per ora non si sa.

Professore, che ne pensa della proposta di An, su un nuovo Istituto di storia contemporanea?

I politici, così ben remunerati, molto più di uno studioso, farebbero bene a occuparsi dei problemi veri del Paese o della Regione, e lasciare libertà di espressione a tutti quelli che scrivono o studiano storia.

Si potrebbe replicare che lo scopo è proprio guardare a tutta la storia del Novecento, e non solo, o in particolare, alla Resistenza.

Che cosa vuole dire? Se noi studiamo una determinata epoca, per esempio il periodo della Resistenza, badando a ogni evento, troveremo cose positive e negative, troveremo gente che è finita sui monti perché era renitente alla leva e altri che sono stati portati ai lavori forzati in Germania. Ma i politici, ripetono, debbono occuparsi di cose diverse: la cultura, il conoscere la storia, sono mestieri di cui loro non hanno il diritto di discutere. Competono a altri.

Ma compete ai politici, in questo caso di An, presentare una proposta di legge.

Abbiamo bisogno di altre leggi, non di queste che sanno di Minculpop, che diminuiscono la libertà. Gente che esce fuori con idee del genere, cinquantacinque anni dopo, è rimasto legato al passato. E allora si ricordino anche che il loro partito ha voluto e fatto una guerra disastrosa per l´Italia. E´ ora di smetterla. Conosco gente di destra, politici di destra, che governa e sa fare bene il proprio lavoro. La cultura, però, non spetta al Governo, è patrimonio di tutti.

Professore più indignato o sconcertato?

Che cosa posso dire di più? Speravo che chi ha quelle idee e governa si limitasse a fare i propri interessi, e va bene. Un disegno così non lo seguo, mi ricorda un brutto passato, è il sillabo, è l´indice, non è più sopportabile.

Che cosa significa rileggere la storia senza "legarsi al tempo della memoria", come recita il testo di An? Un nuovo caso De Felice a livello ligure?

De Felice ha riletto la storia da storico, questi sembrano nostalgici di un antico potere.

Il centrodestra, almeno An, sostiene che il Novecento è stato troppo influenzato, nei libri di testo e non solo, dalla repubblica.

All´Università avevo professori fascisti, regolarmente iscritti al loro partito, altrimenti non avrebbero potuto insegnare. Eppure io mi sono costruito le mie idee, studiando documenti, per esempio. Perché la storia non è fatta di opinioni. In alcuni momenti può essere esaltante per gli uni e mortificante per gli altri, ma fatti sono quelli che sono. E´ un po´ come i Savoia.

Che cosa c´entrano i Savoia?

Rientrano in Italia per chiedere il rimborso dei loro beni, peccato che non siano più loro ma della Repubblica. Si accontentino di quelli che hanno già all´estero. La storia adesso è altro. E´ prendere atto che siamo in Europa e nell´orbita degli Usa, che dobbiamo essere pronti a difenderci dalla prevaricazione delle multinazionali o a studiare la globalizzazione. E sono tutti fatti, non opinioni.

Intervista di Wanda Valli – LA REPUBBLICA – 20/12/2002

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