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Aldo G.B. Rossi |
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ANTOLOGIA POETICA
(da La Luce di Émmaus, Torino, Editrice Genesi, 1999)
DEDICATE AL PADRE
L'ATTESA
Nelle sere d'inverno
non so quale perfido vento soffiava
sul ponte di Cornigliano,
da portarti a casa
così tardi,
così livido e sfatto.
E noi ad attenderti muti,
aggrappati ai ritti della ringhiera
- più alta di noi -, in agguato
del primo cigolio del portone
per dare la voce.
Ora sei tu che ci attendi
da dilatate sbarre di silenzio.
FU LA PRIMA MENZOGNA
Non mi moristi, babbo, il giorno estremo
ma allora quando,
non presagendo, seppi.
Tu mi guardasti con lo sguardo mesto
di un cerbiatto ferito
a morte
e a me chiedevi.
Fu forza
dissimulare col sorriso l'urlo
di pietra e il vuoto nelle vene,
e tacqui il vero.
Fu la prima menzogna, pietosa
e pur la più crudele.
Tu mi moristi allora.
LO SCHIOCCO DELLA PORTIERA
Verso un buio gorgo d'asfalto
scendesti lo scosceso sentiero
alto, fiero, solenne
come una statua antica.
Il male limitava il tuo passo
la contratta mascella
dissimulava il dolore, nascondeva il cilicio
che ti mordeva le carni.
Tuttavia rifiutasti il sostegno
del braccio amico.
Lento, ieratico
continuavi a scendere.
Sapevi che più non avresti
risalita quell'erta,
come gli altri anni
alla stagione delle primule
ascose nei fossi
e delle viole pallenti
sulle prode solari.
(E come
ti era caro coglierle e in mazzi gentili
offrirle alla compagna di sempre!)
Sapevi che più non avresti guardato
l'aia ove noi bimbi,
scarruffati i capelli
e le ginocchia sporche di terra
giocavamo ridenti,
ove adesso giocano ignari
i tuoi nipotini.
Frattanto
eri sceso, donando un ultimo sguardo all'intorno,
prima che lo schiocco
di una portiera
ti portasse lontano.
Il grido
delle rondini lacera il cielo.
Piangerò dopo,
silenziosamente,
solo.
ALTRO NON VI SO OFFRIRE - AFFETTI
LULTIMA VESTE
a mia madre
Ora che la pupilla dei giorni
salita è al vertice, allo zenith
dell'umana vicenda e quel che fosti,
sei stata e ora sei
si addensa in un sol punto
remoto ed invisibile, al di là
di ogni sensibile antenna,
un punto che soltanto
il laser di Dio può illuminare,
io che talvolta
ho lacerato il filo che ci unisce - e i due capi,
esili bave di ragno,
levitano nell'aria, uno
ondeggia verso l'alto
vince la gravità
cerca soltanto di saldarsi ancora
ricreare la trama
ritessere l'immagine
dei giochi e delle febbri,
di un grembo
maternamente aperto -
io nei momenti di mite confidenza
ti accarezzo e sfioro
i capelli leggeri, sottilissimi
come di bimba, e tu mi chiedi,
come di bimba, candida
l'ultima veste.
NATALE DI ADOLESCENTE
a mia figlia
Ancora rivesti
il tuo fresco Natale
della cometa sull'albero,
ancora intoni al tuo casto presepe
pastorali d'infanzia,
ancora inserti di nuova ghirlanda
il «vischio» dorato dei vergini anni
e ti sfiora
la fronte
la brezza gioiosa dei doni
avuti e donati.
Ma già io ti scorgo negli occhi le rondini
dei primi natali
che volano via.
Così si aggiunge
alla mia la tua melanconia
come neve che cada
più soffice
su neve caduta.
A MIA FIGLIA
e a Federica
Il tuo volo migrante - la «nuziale
per organo» di Bach -
fu il segno del Settembre
della dolce ferita dell'autunno,
- quella sera rinchiusi l'universo
nella tua stanza vuota, nelle note
di «Legata a un granello di sabbia»
tua acerba adolescenza.
Ora con Federica
con l'ammicco innocente
di vivide scaglie di cielo,
con zampilli di riso
nella piccola gola di neve,
il frullo dei passettini ondeggianti,
la malìa dei braccini protesi,
ecco torna il tuo volo.
Quietamente
canta e ride nel chiaro il mio Settembre.
ANNIVERSARIO DI MATURITÀ
Ci siamo rivisti.
Giunti uno ad uno
come
per un giorno di scuola.
Ci siamo guardati esitanti,
abbozzando un discorso, sentendoci
divenuti l'un l'altro un po' estranei
ravvisando a stento talvolta
le mutate sembianze.
Poi insensibilmente le api
di una dolce memoria
ricompongono, quasi in mosaico,
lineamenti e fattezze di un tempo
ed ecco affiorare di nuovo
(sortilegio) dalla nebbia degli anni
giovinetti volti.
Più puri
nel ricordo
ardono i visi di quelli
di cui già artiglia il rimpianto.
ALTRO NON VI SO OFFRIRE - ORIZZONTI SPIRITUALI
IL SASSO DELL'INFANZIA
Ancora cerco qui su questa spiaggia
il sasso tondo e piatto dell'infanzia.
Lanciato da mano sbarazzina
si librava sull'onda senza peso
in fuga di rimbalzi tra le spume.
E nella fiaba non scendeva al fondo.
IL GUADO
I ciottoli bianchi in mezzo al guado,
nitidi li contavi ad uno ad uno
nel mulinello argenteo dell'infanzia.
I calzoni a raddoppio su al ginocchio,
le scarpe unite a laccio cinte in vita,
sotto i sassi rimossi, nell'indugio
si catturava il gambero nascosto
- gioco crudele - preda e predatori
dentro e fuori del tempo
nell'immobile luce meridiana.
Le lunghissime estati, il lungo guado,
i muscoli di diaspro,
pirata e bucaniere
gettavo il cuore oltre la sponda
in fionda d'avventura.
Ora che il sole sfrangia obliquo
le cimase degli alberi e vi accende
estenuati pulviscoli di luce
ed io mi affretto
a passi un po' affannosi verso riva,
silente il bosco illividisce cupo.
ALTRO NON VI SO OFFRIRE - VERSI CIVILI
CRISTO DI SARJEVO
Da tre ferite sanguina il costato
del Cristo di Sarajevo trafitto
da una una perversa trinità di etnie.
Odio di religione, odio di razza,
odio di odio.
Si scagli allora l'anatema
contro l'infame girone dell'orrore.
Delirio di baionette
contro la vita ancora nascente,
follia di granate sugli inermi
alla coda del pane,
strazio di ogni sevizia,
spasimi della fame e del gelo.
Qui tre gauleiter
- lutto di tutti i lutti -
orchestrano sempre il massacro,
ma qui ancora l'uomo,
filo d'erba assetato,
attende la rugiada di Dio.
Inverno 93/94
ALTRO NON VI SO OFFRIRE - BAGLIORI DARTE
AUTORITRATTO DI VAN GOGH
Parigi 1887
Sotto un inerme cappelluccio stinto
vivida e cupa riluce la pupilla,
- riflette
i lunghi bui turni di miniera
e i miseri antri
de «Les mangeurs de pommes de terre»
ed è virgulto di fuoco
l'iride verde, ove già si svela
un bruno sillogismo di follia.
Luce-colore, luce-movimento,
con poche touches portasti sulla tela
campi di grano e corvi,
iris e girasoli, interni
del Restaurant de la Sirène,
e questo autoritratto, ricorrente
rivalsa, forse,
di una infantile gelosia.
Cercasti il sole al Sud, nella Provenza,
per un colore sempre più abbagliante.
Forse il rantolo estremo del suicida
fu luce-Dio, colore nella luce.
I COLLETTI BLU
VECCHIO SCALPELLINO
La bustina di carta a sghimbescio
sotto l'assillo del sole,
marmittone
senza libera uscita, né congedo.
Scheggia dopo scheggia, saggiandone la vena,
tu carpisci alla pietra i suoi segreti.
Balda squadra un tempo
tra i canti ed il berciare,
il minuetto di punte e di scalpelli
ed il tam-tam dei «mazzabecchi».
Ora sei solo, accosciato
in questo ritaglio di piazzetta.
E canuto il petto villoso
sotto la canottiera stinta.
Con lo scalpello che un poco ti trema
incidi sulla selce il tuo patire.
VECCHIO MURATORE
Mattone su mattone
appilando,
da quanti
anni non sai,
intessi muri per le case altrui,
o in silenzio
strolli calcina a scialbatura,
mentre il più giovane compagno alterna
sonori canti e lazzi
alle belle che passano.
Tu in silenzio.
Non sai
le refezioni consumate
nella gavetta sbilenca e affumicata
(fuoco di quattro stecchi!),
le brevi sieste
sul duro tavolato di un ponteggio.
(Troppo presto risuona la campana
e di nuovo
appilare mattone su mattone.
In silenzio.)
Il treno a sera.
Stilla dietro stilla
rimargini le forze.
Arrotoli mezza sigaretta
e con occhi arrossati
dai troppi sbruffi di calcina
tra spirali di fumo
sogni mattoni a pila su mattoni
e intessi i muri della casa tua.
GUARDIANO DEL CANTIERE
Spenzola inerte il gancio della gru.
Tu misuri il cantiere a lenti passi,
illudi solitario
l'estenuare del tempo che non scorre,
riacconciando una tavola schiodata,
ramazzando.
Con grinta simulata
un rimbrotto ai monelli sulla cinta.
Degli operai il francescano.
Solo.
Ti scodinzola grato il tuo bastardo
se gli porgi la ciotola. Compagno del tuo pasto.
Un sorso di calore.
Poi con un gesto impacciato tiri fuori
un foglio unto e aggricciato e leggi forse
la ventesima volta.
Ancora un sorso.
Approdi a miti lidi
ove la palizzata del cantiere
si cangia in siepe
di biancospino in fiore
ed un vento leggero la dilata
a verdi spazi
e le piantane del ponteggio
sono alti pioppi con foglie tremolanti;
la gru una scala verso il cielo
ove tu solo puoi salire
e intorno
un carosello garrulo di rondini
ed echi di campane e nuvole
ti sfiorano leggere.
Ti lambisce la mano
l'ansimante carezza del tuo cane.
PESCATORE
Al tramonto son d'oro scalmi e remi
e la tua nenia è canto di speranza.
Poi, calati i velari delle reti,
le lampare son lucciole sul mare
e inizia il lungo giuoco delle attese.
Nuota in cielo una luna di calcina,
il vento soffia nero
contro la prua sciabordan le anime dei morti,
passan nell'aria voli di agonie.
Nel silenzio salmastro
tu filtri le memorie;
prigione in breve chiglia
respiri ventate d'infinito.
L'albore madreperla
ti coglie intento a ripassar le reti
smagliando
rade
monete argentee a far scarsa mercede.
Ma non imprechi contro il mare avaro,
guardi lontano, fisso all'orizzonte
già nell'attesa della nuova sera
con remi e scalmi d'oro.
NEL CRUCIVERBA DEI «CARUGGI»
Nel cruciverba dei «caruggi»
la litania del limonaio.
«Cinque limoni cento lire»
rimbalza sul muschio dei muri
- spigoli in pietra squadra -
scivola sull'unta arenaria.
Nel volto giallo come i suoi limoni
- ogni grinza è un giorno di fame -
i carboni degli occhi saraceni.
Indifferenti. Insistono
su un ritaglio di cielo tra le ardesie.
«Cinque limoni cento lire»
il suo grido arrochito svicola nel vento.
LA VOCE DELLA TERRA
ULIVO DI LIGURIA
Questo tronco contorto ove si aggruma
in muschi verde-rame
una pazienza antica
- il maestrale inarca il suo vessillo
impallidente
sull'azzurra vertigine del mare
questo tronco rugoso
strinato dal salino, onde risboccia
un mite ramoscello
questo tronco che sugge dalla terra
petrigna
la linfa che fa ardere
le lucerne delle vergini savie
che nelle notti senza lume
protende le sue braccia verso un cielo
muto di astri:
figura disperatamente umana
che inutilmente fugge il suo Getsemani.
I FALO' DI SAN ROCCO
Lo stupore dei fuochi nella notte.
Accendevano una ad una le colline
di antichissimi riti: ecco il segnale
per noi mozzi-pirati di appiccare
il fuoco alle fascine
con le torce di carta.
Si scatena
nella fiamma crepitante
l'arrembaggio dei sogni adolescenti,
tra i trepidi richiami delle madri
e i mugugni dei vecchi.
Gli ultimi colpi di forcone
sopra le braci che si fanno cenere;
poi verso casa
con le palpebre pese e il bruciaticcio
nei capelli arruffati,
cavalcando il silenzio della notte.
DALLE DOLOMITI DEL BRENTA
QUANDO MUORE UNA GUIDA
a Fino Serafini
Quando muore una guida su al Crozzon
e l'elicottero singulta
e lacera il silenzio delle valli
con un rombo di lutto
- nel mattino beffardamente terso
gli edelweiss, le roride genziane
schiudono le stupite corolle, intensamente
le nigritelle odorano di incenso,
bramisce sgomento il camoscio
in bilico sul più alto spuntone -
un chiuso grumo di dolore scende
giù nel paese, si diffonde
da casa a casa, si scheggiano
i grani di un martoriato rosario, la mano
che forte teneva l'appiglio, la mano
a tutti amica e gentile
segna livida e inerte
corde e piccozza. Gli uomini di valle
si uniscono nel segno della Croce,
poi alla baita, insieme
bevono vino rosso, viatico e speranza
per chi va, per chi resta
nel perenne irrisolto di ogni uomo.
VIAGGIANDO LINEFFABILE
MASCHERA DI AGAMENNONE
Quella possente maschera di Atrìde,
sbalzata in lamina d'oro
con il bulino,
dilatata a sovraumana misura
dai lobi delle orecchie e dalla barba,
con il naso sottile, i forti zigomi
e le labbra serrate
dopo l'estremo comando,
e una stretta fessura tra le palpebre,
appena aperte come valve
di un'arcana conchiglia,
- e pare un guizzo filtri ancora
di luce e vita, un ultimo spiraglio
di gloria, lutti e pianto -
quella maschera,
viva e vibrante nei riflessi d'oro,
ti conquista e soggioga
ti dà fede
che non omnis morietur
chi fu Re nella vita e Semidio.
POESIA COME PREGHIERA
SULLA STRADA DI ÉMMAUS
Per la morte immatura di Giancarlo
Ti avevo per fratello, compagno di brigata
nelle albe di caccia, ove il zirlo
del primo tordo incrina
il cristallo dellaria
e annuncia il vanire delle stelle,
nella cerca dei funghi, quando zingari
del mistero del bosco
ci era era compagno il guizzo della lepre
tra erica e ginestra,
ti avevo per fratello
ne1 mite colloquiare di ogni giorno,
ne1 tuo lenire ogni ferita
nel pazzo amore
per quattro pietre colore dell'infanzia
e un sagrato di alberi parlanti.
Ora che la conchiglia del tempo
dilata la tua voce
a rive d'infinito
e il tuo sentiero si impollina d'eterno,
ora conosco quello che celava
il lampo azzurro dei tuoi occhi,
la fiamma del roveto
che ti bruciava dentro,
il «sì» di Abramo che è stata la tua vita.
Ora lo so
sulla strada di Émmaus polverosa
fiorisce ancora la luce tuo giorno.
PREGHIERA VESPERTINA
Ora che il vespro accende la lucerna
e ormai le ombre incalzano ogni luce,
ecco, Signore, ho speso un altro giorno.
Corrono brusii d'api nella sera
forse ho portato anch'io
una goccia di miele nei tuoi favi,
forse fu solo desiderio.
Così si appiombano
le elitre iridate del mio giorno,
così sfarina tra le dita,
non più colore,
lo spolverio di un'ala di farfalla.
Ho incespicato
ove scorgevo soffici tappeti
di erba prima, verde-smeraldina.
Ma ecco il colibrì volerà ancora
con ali di speranza. Io ti rinnovo
in questa ora,
mentre spettrale vaga il caprimulgo,
di Émmaus la parola:
Resta, Signore, pascola il tuo gregge,
ancora alimenta questo lume.
VERSI PER IRENE
RITROVARSI
Incontrarsi così all'improvviso
trasalendo. Di colpo il mondo attorno
uno schermo spento e fatto muto.
Soltanto la tua fronte
- una nuvola bianca - e nei tuoi occhi
un qualcosa che trema e non vien detto.
QUESTO SENSO
a Irene
Questo senso di perderci,
che ci attanaglia con un cappio stretto,
a pensare domani uno di noi
solo,
e in questo struggimento si sdipana
nitido il film di tutto ciò che è stato,
i segni zodiacali dell'incontro,
solitudine, eclissi, arcobaleni,
la guerra e il tempo del riscatto,
le lunghe attese, gli anni incoronati,
i figli,
albe e tramonti nei natii profili,
il rarefarsi delle presenze care
e questo lento ingrigire di ogni giorno.
Questo senso di perderci... Ma ancora
lieve un sussurro c'è di brezza amica.
Vedo al risveglio nella prima luce
il tuo sorriso e sempre mi innamora.