"Quando
sono nato ero già un fuggitivo, un latitante. Mia madre
era ancora minorenne, e mio padre, di pochi anni più
grande, era stato denunciato dal 'suocero'. Così sono
stato partorito in un albergo, durante una pausa forzata di
quella fuga d'amore con tanto di mandato di cattura. Sarà
anche per questo, che ho sempre avuto la sensazione di non essere
di alcun posto..."
Luis
Sepúlveda, cileno errante, scrittore tradotto in almeno
una quindicina di paesi, si è da poco trasferito in una
casetta ai margini della Foresta Nera, pur conservando la vaga
residenza "tra Amburgo e Parigi", come si legge sulle
copertine dei suoi libri. Oggi potrebbe rientrare in Cile,
che lasciò nel 1977 per l'esilio, ma non ne sente alcun
bisogno, e se l'intervistatore di turno gli chiede: "Quando
pensa di tornarci?", lui risponde immancabilmente: "Perché
mi volete rispedire lì, vi ho già stufato?". I
primi passi da scrittore li ha mossi al liceo di Santiago, dove
pubblicò qualche poesia sul giornalino dell'istituto. Ma
decise subito di mettersi in proprio, scrivendo e ciclostilando
racconti pornografici che poi vendeva ai compagni di scuola.
"Quelli sono stati i primi soldi che mi sono guadagnato
con il mestiere di narratore. Sono certo di aver contribuito non
poco all'equilibrio ormonale dei miei compagni di liceo..." Di
lì a poco, si sarebbe dedicato a ben altro genere di
narrativa.
Nel 1964 entrò nella Gioventù
comunista cilena, e i suoi racconti e poesie divennero celebri
nelle riunioni sindacali, in scioperi e manifestazioni. Gli
scrittori seri lo snobbarono, per poi attaccarlo con
disprezzo. Ci rimasero molto male quando Luis, nel 1969,
vinse il Premio Casa de Las Américas con la raccolta di
racconti Crónicas
de Pedro Nadie.
"E' stato un mio amico a metterli assieme e a mandarli a
L'Avana. Io non ci credevo, ma poi, una volta vinto il premio...
be', gli scrittori cileni affermati decisero di odiarmi
apertamente. Tutti, meno uno: Francisco Coloane, che mi difese
pubblicamente." Luis aveva appena vent'anni, e stimava
Coloane come il più grande narratore d'avventure che mai
avesse letto, e che lui mette al pari, se non al di sopra, di
London, Melville e Conrad.
"Dal settembre del 1970 al
giugno del 1971 fu il periodo della mia vita in cui dormii di
meno. C'erano troppe cose da fare. Mi ero appena diplomato come
regista teatrale, e con Víctor Jara allestimmo Sei
personaggi in cerca d'autore,
di Pirandello. La militanza era in qualsiasi cosa facessimo, e
nessuno si dedicava a una sola attività in esclusiva. Per
esempio, oltre al teatro, ai programmi della radio e a qualche
racconto che scrissi, divenni anche responsabile di una
cooperativa agricola... Ma presto cominciarono a manifestarsi i
primi sintomi di cannibalismo.
Le divisioni politiche si
acuirono, e fra una disputa e l'altra non ci si rendeva conto che
la destra si preparava a sferrare il colpo decisivo. "Dal
1973, Luis era entrato nella struttura militare del Partito
socialista, diventando anche membro della guardia personale di
Allende. Il giorno del colpo di stato stava sorvegliando un
acquedotto che si temeva potesse essere fatto saltare con la
dinamite. Finalmente in Ecuador, a Quito, Luis conobbe un
mondo che tanta influenza avrebbe avuto nei suoi destini di
scrittore, oltre che di militante totale ed estremo in favore di
una natura saccheggiata. Per sette mesi visse nella selva
amazzonica con gli indios shuar, di cui ha imparato la lingua e
il rispetto per i delicati equilibri della Madre Terra. "Sette
mesi in cui ho scoperto l'essenza della vera libertà, il
comunismo utopico dal vivo e in diretta."
Da
quell'esperienza, anni più tardi, avrebbe tratto il suo
libro di maggior successo internazionale, Il vecchio che
leggeva romanzi d'amore. [...]
sta
in Pino Cacucci,
Camminando. Incontri di un viandante, Milano, Feltrinelli, 1996.
|