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Luis Sepulveda

Brindisi a Giuliana


Cara Giuliana, non sappiamo dove sei, dove ti tengono i tuoi sequestratori, cosa pretendono dal tuo sequestro, dal rubare la libertà a una giornalista come te, che è in Iraq per il giusto motivo di fare sì che la libertà degli iracheni sia rispettata. Mentre sei nel limbo terribile del sequestro, “desaparecida” per adempiere al dovere etico di giornalista del manifesto, c'è chi si permette di opinare dall'alto della superficialità che distingue la mancanza di coraggio, o dal basso della più vergognosa sottomissione alle forze che occupano l'Iraq. E così, ad esempio, uno scrittore latinoamericano chiamato Mario Vargas Llosa in un articolo lungo - molto lungo, poiché i soggetti “politicamente corretti” dispongono di tutto lo spazio che vogliono nei mezzi di comunicazione - si permette di dire che il risultato delle elezioni di domenica scorsa, “con quasi il 60% dei votanti, una partecipazione civile straordinaria anche in confronto alle democrazie più avanzate, è qualcosa che consolida in modo squillante le elezioni irachene”. Omette, nonostante l'entusiasmo, che soltanto i responsabili della forza d'occupazione conoscono il vero cento per cento della popolazione irachena con diritto di voto.

Tu, cara compagna Giuliana Sgrena, sei in Iraq perché sai che le più di centomila vittime civili, le più di centomila vittime “non coinvolte” frutto di “danni collaterali”, sono anch'essi partecipanti passivi di queste curiose elezioni circondate di attentati, bombe, morte e altra morte, dalle quali si è autoesclusa la popolazione sunnita che rappresenta il venti per cento - non dei votanti ma dell'intera popolazione dell'Iraq. E lui dimentica di menzionare, nel suo articolo, il fatto che non si conoscono ancora i risultati di queste “elezioni consolidate in modo squillante”.

Cara Giuliana, la tua presenza in Iraq è molto di più che la presenza di una giornalista del manifesto. E' la presenza di quei milioni e milioni di persone che in tutto il mondo sono uscite in strada a dire no alla guerra. Rappresenti quel 99% dell'umanità che si è manifestata apertamente per la pace e per la legalità internazionale.

Oltre i lettori del manifesto, la tua presenza in Iraq informa gli iracheni, che devono continuare ad avvertire il calore della solidarietà mondiale che ha condannato quella guerra illegale, una guerra che ha spalancato le porte dell'orrore in tutta la regione.

Condoleezza Rice assicura che un'attacco all'Iran “al momento non è nell'agenda del dipartimento di stato americano”, l'ex proconsole americano Paul Bremer si perde per strada miliardi di dollari destinati alla “ricostruzione dell'Iraq”, gli scandali finanziari del gruppo Halliburton - leggi Dick Cheney, il grande beneficiato dell'occupazione irachena - sono seppelliti facendo appello a ogni tipo di trucco pseudolegale. Gli americani continuano a ricevere corpi avvolti in sacchi di plastica - in maggior parte emigranti latinos - nonostante il “missione compiuta” pronunciato da Bush a bordo di una portaerei, celebrando una missione falsa come le armi di distruzione di massa che mai sono state trovate. E con tutti questi precedenti, a cui si devono aggiungere una volta di più le oltre centomila vittime dell'occupazione e i bombardamenti indiscriminati di scuole, moschee e ospedali, scrittori politicamente corretti come Vargas Llosa considerano che quello sia un luogo normale in cui tenere delle elezioni libere e democratiche.

Nel suo articolo, titolato “Domenica in Iraq”, Vargas Llosa si domanda: “Dopo quanto è accaduto in queste elezioni, passerà per la testa del governo spagnolo il sospetto che forse è stato prematuro ritirare le truppe dall'Iraq con tutta quella fretta? Che, forse, è stata un'imprudenza esortare a una tale diserzione gli altri paesi che formavano parte di una coalizione guidata da Stati uniti e Gran Bretagna?” Vuol dire, cara Giuliana, che tu ed io e gli altri milioni che hanno detto no a quella guerra illegale e motivata solo dall'unilateralismo imperialista, siamo tutti disertori.

Il prezzo di informare si paga in molte maniere. A volte è il carcere, a volte il sequestro, a volte anche la morte. Ma il prezzo più insultante è sopportare la presenza dei vassalli della barbarie, dei difensori della guerra, dei predicatori del vangelo secondo Bush e del suo miserabile messaggio di distruzione, guerre preventive, dolore e spoliazione di ogni nazione che finisca nel mirino della voracità imperialista.

Cara Giuliana, dove sarai siamo con te. Daremo fondo a ogni possibilità fino a ottenere la tua liberazione. Confidiamo che i tuoi rapitori, a qualsiasi banda appartengano, in un'urgente dimostrazione di buon senso - perché non c'è niente di più assurdo che sequestrare una giornalista - ti liberino e soprattutto evitino di provocare forze di occupazione più dedite alle soluzioni violente che al negoziato che questo caso impone.

Ti voglio libera presto, oggi, in questo minuto. Poi ci berremo un bicchiere di vino e continueremo a combattere degne battaglie al servizio dell'informazione e della verità.

Luis Sepulveda – IL MANIFESTO – 13/02/2005



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