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Un taccuino d'amore e d'ironia |
La distanza aiuta a mettere a
fuoco l´immagine. Sono bastati pochi anni dal conferimento del
Nobel a Wislawa Szymborska, poetessa polacca di Cracovia, per far
apparire del tutto improprie - o spropositate - le reazioni di
stupore e irritazione con cui gran parte degli opinionisti letterari
italiani accolse quel conferimento. Già nota prima del Nobel
in altri paesi, specialmente in Germania e Svezia, oggi la poesia
della Szymborska gode di un riconoscimento che le viene non solo
dalla critica, ma innanzitutto dai lettori.
In Italia, dove era
stata introdotta con il consueto, precorritore acume da Vanni
Scheiwiller nel 1996 (Gente sul ponte), sono seguiti, presso lo
stesso editore, La fine e l´inizio (1997) e, presso Adelphi,
un´ampia scelta antologica, Vista con granello di sabbia
(1998). Si sa quanto poco agevole fosse reperire i titoli di
Scheiwiller, eppure i due volumetti hanno raggiunto fin qui
rispettivamente la settima e la terza edizione, e il volume di
Adelphi la terza, tutti non favoriti dalla marginalità d´una
letteratura considerata "minore", e dall´ardua
pronuncia dei nomi polacchi, già da sola scoraggiante. Questa
circolazione della poesia della Szymborska trova del resto conferme
ancor più evidenti in altre aree linguistiche, come quella
tedesca o inglese. Negli Stati Uniti, ad esempio, le edizioni delle
sue poesie, ormai una decina, hanno raggiunto tirature imprevedibili.
(
) Il segreto di questo successo sta in primo luogo nella
poesia stessa, nell´universalità delle domande che pone
e dei tentativi di risposta che offre. (
) Non solo le domande -
e la riflessione che le accompagna - costituiscono il peso specifico
della sua poesia, ma anche il personalissimo modo di porle, la
capacità di interrogarsi, con un´andatura riflessiva e
scherzosa insieme, mirabilmente densa e lieve al tempo stesso, sui
problemi centrali dell´esistere, muovendo dalla concretezza
delle cose anche - o specialmente - minime che ci circondano, dai
realia di questo o di altri mondi possibili.
Molto ci sarebbe da
dire sugli strumenti linguistici e metrici di cui la Szymborska si
serve con maestria per tradurre una sostanza intellettualmente
complessa in apparente, armoniosa semplicità. Vorrei qui
limitarmi a giustificare la presentazione di questo Taccuino d´amore
che risponde, oltre che a un gusto personale, a una necessità.
Se infatti nelle edizioni della poetessa polacca apparse in Italia
c´è materiale bastante perché il lettore possa
avere un´idea sufficientemente complessa della sua produzione
poetica (non imponente per quantità: poco più di
duecento poesie in volume, oltre a un certo numero su riviste), in
tali edizioni è però rappresentato solo in modo assai
incompleto un tema che è invece in essa fondamentale: quello
dell´amore.
(
) Esso è presente con cinque
poesie già nelle prime raccolte, pur condizionate dai dettami
del realismo socialista: Per questo viviamo (1952) e Domande poste a
me stessa (1954). Il motivo appare assai sviluppato nel successivo
Appello allo Yeti (1957) e ancor più in Sale (1962), dove
raggiunge la sua massima espansione; lo ritroviamo, anche se solo
marginalmente, in Uno spasso (1967), in Ogni evenienza (1972), e in
La fine e l´inizio (1993), con tre splendidi, struggenti testi.
E infine, in una poesia apparsa nel 2001, Il primo amore, che chiude
questo Taccuino e insieme suggella emblematicamente cinquant´anni
di riflessione poetica sull´argomento.
Rimarrà deluso
chi pensasse di trovare in queste poesie la ripetizione o anche solo
l´eco dei tradizionali schemi del genere. L´amore nella
poesia della Szymborska assume molteplici forme e compare, sovente
con una tonalità ironica, in tutte le possibili, diversissime
sembianze e situazioni in cui si manifesta nella vita, ma è
principalmente miracolo, mancanza, memoria, dolore, caso-destino,
brevità, impossibilità, calato in impreviste,
destabilizzanti prospettive esistenziali e metafisiche.
La mia ombra
è come un buffone
dietro la regina. Quando lei si alza,
il
buffone sulla parete balza
e sbatte nel soffitto col testone.
Il
che forse a suo modo duole
nel mondo bidimensionale.
Forse al
buffone non va la mia corte
e preferirebbe un diverso ruolo.
La
regina si sporge dal balcone
e dal balcone lui si butta giù.
Così
hanno diviso ogni azione,
però a uno ne tocca assai di
più.
Si è preso il merlo i gesti liberali,
il
pathos con la sua impudenza
e tutto ciò per cui non ho la
forza
- corona, scettro, mantello regale.
Lieve sarò,
ah, nell´agitare il braccio,
ah, lieve nel voltare indietro
il capo,
sire, nell´ora del nostro commiato,
sire, alla
stazione ferroviaria.
Sire, in quel momento sarà il
buffone
a sdraiarsi sui binari alla stazione.
(1962)
La ragazzina
che ero -
la conosco, ovviamente.
Ho qualche fotografia
della
sua breve vita.
Provo un´allegra pietà
per un
paio di poesiole.
Ricordo alcuni fatti.
Ma,
perché
chi è qui con me
rida e mi abbracci
rammento solo una
storiella:
l´amore infantile
di quella
bruttina.
Racconto
com´era innamorata di uno
studente,
cioè voleva
che lui la guardasse.
Racconto
come gli corse incontro
con una benda sulla testa sana
perché almeno, ah, le chiedesse
cos´era
successo.
Buffa piccina.
Come poteva sapere
che anche
la disperazione dà benefici
se si ha la fortuna
di
vivere più a lungo.
Le pagherei un dolcetto.
Le
pagherei il cinema.
Vattene, non ho tempo.
Eppure vedi
che
la luce è spenta.
Certo capisci
che la porta è
chiusa.
Non scuotere la maniglia -
quello che ha riso,
quello
che mi ha abbracciato,
non è il tuo studente.
Faresti
meglio a tornare
da dove sei venuta.
Non ti devo nulla,
donna
qualunque,
che sa solo
quando
tradire un segreto
altrui.
Non guardarci così
con quei tuoi occhi
troppo aperti,
come gli occhi dei morti.
(1967)