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Stefano Verdino, intervista a
PIETRO MARCHESINI
- IL SECOLO XIX – 08/02/2002

Szymborska, l'amore silenzioso

Gli sono troppo vicina perché mi sogni”, è la singolare apertura di queste assai singolari poesie d'amore di Wislawa Szymborska, la grande poetessa polacca Nobel 1996, che, pressoché ignota anni fa, è diventata una figura di grande udienza in tutto il mondo (negli USA i suoi Collected poems hanno avuto un vastissimo successo). Anche da noi nella piena ripresa dei Libri Scheiwiller (dopo la morte del suo animatore, Vanni Scheiwiller) la Szymborska ha un posto d'onore.
Oggi esce Taccuino d'amore, antologia dagli anni '50 al 2001, sul versante amoroso, a cura di Pietro Marchesani, che dirige anche la nuova collana dei “Taccuini”, che nella linea dell'eleganza delle edizioni Scheiwiller, segna la novità di un raffinato accordo tra la poesia e alcune fotografie (di Eliana Maffei). Infine i netti colori della copertina nera e rossa sono un ulteriore invito a questo tuffo in poesie d'amore, che ci sorprendono in tanti nostri snodi intimi. Ne parliamo con Marchesani stesso, che insegna Letteratura polacca all'Università di Genova.

Una cosa affascina di questi testi: la lingua comune e l'andamento pacato e ragionativo con l'improvvisa curva di un'immagine o di un paradosso, che apre una verità profonda in cui tutti ci si ritrova. E' una costante di tutta la sua poesia? E' secondo lei il suo segreto, quello che ne fa un classico?

Credo che lei sia nel giusto, sia per ciò che concerne la lingua che, direi programmaticamente, rifugge da qualsiasi “letterarietà”, sia per ciò che riguarda l'andamento ragionativo e la curva finale, immagine o paradosso. Aggiungerei anche la capacità di “teatralizzare” il testo poetico, che non di rado diviene una minipièce (ad esempio il buffone, la regina, Ofelia, Piramo e Tisbe, eccetera). La semplicità apparente di molte sue poesie è però sempre il risultato di una sapiente elaborazione formale, che non è mai fine a se stessa, ma comunica profondi, talvolta drammatici, elementi di riflessione su di noi e l'esistere in genere. Qualcosa dunque in cui i lettori ritrovano se stessi e la propria vita.

Lei conosce da anni personalmente la Szymborska, che ha fama di essere donna ritrosa e poco mondana. C'è contrasto tra la sua poesia e la sua personalità? È una donna di fascino o no?

Vorrei sfatare questa leggenda di “ritrosità”. E' vero, la Szymborska respinge quasi sempre, in modo cortese ma fermo, gli inviti a convegni, festival (io stesso ho tentato più volte di farla venire a Genova, anche prima del Nobel, ma finora senza successo. Anche se non dispero). Lei stessa ha dichiarato in una recente intervista che “la poesia nasce dal silenzio”, e che quello che il poeta ha da dire, lo dice con i suoi testi. Non riconosce al poeta un ruolo privilegiato, e non ama il presenzialismo effimero, caratteristico dei nostri tempi. Nel privato è una donna piena di arguzia, cordiale, e di straordinaria agilità mentale.

Ha qualche particolare ricordo degli incontri con lei?

L'ho conosciuta relativamente tardi, solo dopo il Nobel. Credo di aver conquistato la sua simpatia quando, a casa sua, a Cracovia, alla domanda se gradivo qualcosa da bere, ho risposto d'istinto: “una vodka”. La situazione esigeva che chiedessi piuttosto del tè, vista anche l'età della poetessa. Credo così di averla spiazzata, e da quel bicchierino (anzi bicchierini!), è nata un'atmosfera di reciproca intesa.

La sua traduzione testimonia anche una notevole capacità di resa nel verso e nel ritmo italiano, cosa penso assai ardua data l'incommensurabilità di due sistemi linguistici così diversi come l'italiano e il polacco. Come vi ha lavorato?

Direi con tenacia e disperatamente, anche per la ragione – ma non è la sola – da lei indicata. In particolare vorrei che ci si rendesse conto che di fronte a traduzioni da una lingua per i più incomprensibile come il polacco, i lettori non possono appellarsi al testo dell'originale (come accade ad esempio per l'inglese, il francese o lo spagnolo), anche se stampato a fianco. La traduzione diventa così l'unico testo, che se non riesce a veicolare i valori dell'originale, lo condanna a morte, senza appello. Di qui un grande, faticoso senso di responsabilità.

Come si può tradurre la poesia?

Condivido l'opinione di Montale sulla “scarsa traducibilità” della poesia. Ma se non ci si prova, possibilmente in molti, quale può essere la sorte di culture come quella polacca, che fra l'altro possiede una grande, raffinata tradizione letteraria, e specialmente lirica? Un perenne mutismo al di fuori dei suoi confini linguistici?

Questo libro esce nel giorno natale di Vanni Scheiwiller un grande amico della poesia del mondo, non solo italiana, l'unico a pubblicare la Szymborska prima dei fasti del Nobel. Chi era Scheiwiller?

Fra le tante definizioni di Vanni Scheiwiller, una sola mi appare davvero appropriata, ed è quella di “editore-poeta”. Cultura e gusto a parte, del poeta egli aveva la genialità, la convinzione della necessità della bellezza, la capacità di guardare il mondo con fanciullesco stupore. In questo egli era unico e irripetibile. Credo che negli anni a venire ci si renderà sempre più conto di quanto sia stata vivificatrice la presenza di questo “piccolo editore”.

Intervista di Stefano Verdino – IL SECOLO XIX – 08/02/2002

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