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Guardiani della barbarie |
I
guardiani della barbarie sono persone che portano sopra le loro
spalle delicate l'enorme peso di raccontare storie che quasi nessuno
vuole ascoltare, che molti preferiscono ignorare e che alcuni cercano
gelosamente di occultare. Non è un lavoro divertente. La
barbarie in prima linea, vista da vicino, non è bella come la
violenza di un western di Peckinpah e se è commovente non è
come il buon Cyrano che regala a un altro le parole d'amore per la
donna di cui è innamorato. La barbarie non è carica di
amore come gli sguardi umidi di Sofia Loren trent'anni fa e, se si
avvicina al sesso, lo fa in quel modo terribile che lo trasforma in
potere, abuso e violenza.
La barbarie è confusa,
caotica, bugiarda, escludente, tirannica. Veste in doppiopetto e
cravatta bianca, o adotta l'uniforme del fondamentalismo islamico. Si
maschera in discorsi che generalmente fanno appello a qualche dio,
uno qualsiasi, tanto il tal dio non è qui per smentire i suoi
presunti portavoce.
Portavoce che fanno venire voglia di
ignorare la verità. Se non fosse che la verità si
presenta sopra la tua casa come un elicottero blindato che sfonda le
finestre, distrugge i giocattoli dei tuoi figli e anche i tuoi figli,
e se ne torna indietro volando allegramente.
Se non fosse che
in nome di dio si presenta alla porta del tuo ufficio e ti spruzza
acido in faccia perché portavi una minigonna.
Se non
fosse che elegge presidenti che mentono a ripetizione da 25 stazioni
televisive.
Se non fosse che vuole diventare padrona del mondo
e dalla Casa bianca, dalla moschea, dal palazzo del governo di una
splendida città latino-americana pervertita dal potere e
dall'abuso, ti chiama, ci chiama, a noi che guardiamo dall'altra
parte. A noi che siamo cittadini collaterali.
Per questo i
guardiani della barbarie vanno in giro, raccontandola,
documentandola, narrando l'orrore.
Il mio amico Justo Vasco mi
ricordava l'altro giorno una frase di Andreiev che diceva: «Il
peggio dell'orrore è quando non c'è orrore». Cioè
quando l'orrore si esercita ma, nella consuetudine, diventa
oblio.
Scrivo io questa nota perché chi che dovrebbe
scriverla, Giuliana Sgrena, è stata sequestrata. Per aver
esercitato per tutti noi il mestiere di giornalista, di guardiana
della barbarie, di narratrice. Il minimo che le devo è
sostituirla temporaneamente in attesa della felice conclusione di
questa vicenda.
Ps. Quando Giuliana leggerà
quest'articolo e uscirà bene dal sequestro - perché ne
uscirà bene, non possiamo mica perdere sempre - il manifesto
dovrebbe dirle di venire qualche giorno a Città del Messico a
raccontare storie di bambini che giocano, di parchi pubblici e del
meraviglioso sole di fine inverno. Prima che torni al suo dovere,
quello di documentare la barbarie.
Paco Ignacio Taibo II
IL MANIFESTO 09/02/2004
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