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Gore Vidal:”Il record di Bush? Il presidente più odiato”

Nei suoi libri e nei suoi pamphlet non se ne salva quasi nessuno (nemmeno del tutto Washignton e i padri fondatori). Ma è l'ultimo che più dà stura alla sua cattiveria. “Se vince Kerry, è possibile che Bush sia sottoposto a impeachment” sostiene. Antiamericano? “Ma se sono l'ultimo patriota”, risponde. Il terribile vecchio che è stato definito il “tafano”, la “vespa” della letteratura americana, non ha perso i pungiglioni. Non rinnega nessuna delle sue iperboli ad effetto, nemmeno quelle che hanno recentemente suscitato tanta perplessità. In questa conversazione a ruota libera in occasione della pubblicazione presso Fazi editore dell'ultima sua racconta di scritti politici (Democrazia tradita, Discorso sullo stato dell'Unione 2004 e altri saggi, pp.185, euro 15, uscita in America col titolo Imperial America, United States of Amnesia; sempre da Fazi erano usciti anche La fine della Libertà, verso un nuovo totalitarismo? E Le menzogne dell'Impero, perché la junta petrolifera Cheney-Bush vuole la guerra con l'Iraq), non si sottrae ad alcuna obiezione. Non demorde nemmeno quando l'intervistatore gli confessa che, da lettore, preferisce di gran lunga i suoi romanzi ai suoi pamphlet.

Lei era stato ferocemente critico di Ronald Reagan. Arrivò a definirlo “un trionfo dell'arte dell'imbalsamatore”. In uno degli articoli tradotti in quest'ultima sua racconta, dal titolo “Armageddon?”, risalente al 1987, ne denunciava i rapporti con l'escatologia da fine del mondo dell'ultra destra cristiana. Ha cambiato idea? Che confronto farebbe tra Reagan e Bush?

Come si fa a compararli? Non c'è confronto. Reagan era furbo. Anzi, non sono sicuro che userei il termine furbo, che in italiano ha una connotazione negativa. Diciamo pure che era intelligente. Sapeva quello che voleva. Era anche un ottimo attore, checché si dica che avesse interpretato solo film di serie B. Era affascinante (charming). Governò in modo benevolo. Non fu poi così male. Aveva alcune idee fisse. Tra queste che il nemico era il comunismo, che dai russi poteva venire la minaccia di guerra agli Stati Uniti. Corrispondevano alle idee diffuse tra gli americani, era in fin dei conti quel che si erano sentiti dire per decenni, gli consentirono di averne il consenso. Poi però seppe cambiare idea...

Sulla guerra?

Successe a Reyjkiavik. Erano 20 anni che cantava la stessa canzone, che quello dall'altra parte era l'Impero del Male. Poi ad un certo punto si stancò, e cambiò spartito, si mise a negoziare con Mosca.

Perché nel frattempo si era trovato dall'altra parte un interlocutore come Gorbaciov...

Certamente anche questo. Ricordo che mi trovai al Cremlino, con un gruppo di invitati, quando Gorbaciov fece il suo primo discorso. Iniziò parlando di Chernobyl e di come dovessimo averne tutti paura. Mi stava accanto Norman Mailer. Non era impressionato: dicono una cosa e poi ne fanno un'altra, mi disse. Gli risposi: guarda che questo dice qualcosa di nuovo, te lo immagini un presidente americano che dopo un incidente ad una centrale nucleare dica che dobbiamo ripensarci ed avere timori per il futuro? In qualche modo se ne accorse anche Reagan. Ma credo che nel suo cambiamento pesasse ancor di più un altro elemento. Si era accorto che con lo scontro frontale non si sarebbe arrivati da nessuna parte. Che la guerra avrebbe significato la fine del mondo come lo conosciamo. Decise di puntare invece sulla pace. Amici comuni, intimi della famiglia Reagan, mi hanno raccontato che nella svolta pesò molto l'intervento di sua moglie Nancy. Gli disse che se voleva passare alla storia, doveva produrre una svolta in direzione della pace, altrimenti, se restava solo il presidente del muro contro muro, non avrebbe concluso nulla e sarebbe stato presto dimenticato. Tanto disse e fece che lo convinse. Almeno così mi hanno raccontato...

Ma anche Bush potrebbe cambiare. O no?

Bush non è un politico, come lo era invece Reagan. E' il prodotto di una macchina ideologica. E' un barbaro. Non ha nessuna delle doti che aveva Reagan. Senza contare che Reagan non era solo più “gentile”: un'altra differenza è che credeva in quello che diceva. Un anno fa profetizzai che Bush sarebbe finito come il presidente più odiato della storia Usa. Non ho cambiato idea.

Non le sembra di esagerare?

Ha fatto una politica nel solo interesse dei ricchi. Ha coinvolto gli Stati Uniti in due guerre illegittime per il petrolio. Non le basta?

Come fa a sostenere con tanta sicurezza che erano per il petrolio? Io direi piuttosto che non è ancora chiaro perché hanno fatto la guerra all'Iraq. Uno studente americano ventiduenne ha fatto recentemente una tesi di laurea, di 500 cartelle, in cui analizza le 32 ragioni che via via sono state addotte per questa guerra, di cui 23, in momenti successivi, dall'amministrazione Bush...

Quel che so è che gli stati uniti non sono mai entrati in una guerra per liberare un altro popolo. Il 90 per cento degli americani non sa nemmeno dove sia l'Iraq. Perché si sia fatta quella guerra forse non lo sapremo mai...

L'11 settembre, il terrorismo, Bin Laden...

Che c'entra Osama Bin Laden? Quello è un compito per l'Interpol. La lotta al terrorismo richiede un'operazione mondiale di polizia, non di guerra.

Ammetterà che i suoi giudizi possono suonare a molti provocatori. Non crede di farsi talvolta trascinare troppo dall'irrefrenabile bisogno di andare controcorrente? Come quando si soffermò sulle “ragioni” di Timothy Mc Veigh, e i misteri di quella strage ad Oklahoma City, o quando insiste sui misteri dell'11 settembre?

Non sono più solo io. Dalle inchieste ufficiali è venuto fuori che c'erano stati un sacco di avvertimenti. Ora sappiamo che avevano ricevuto avvertimenti da Putin, dal Mossad, dalla Cia, dall'Fbi. Perché non si fece nulla?

Talvolta, chi legge i suoi giudizi politici ha l'impressione che lei si faccia trascinare un po' troppo da una concezione, come dire “cospirativa”, da grande complotto, degli avvenimenti. Non solo nei confronti dell'attuale amministrazione. Fece molto scalpore un suo libro in cui sosteneva che Roosvelt in qualche modo avrebbe “provocato” l'aggressione giapponese a Pearl Harbour per poter entrare in guerra?

Che c'è di male a considerare gli aspetti di “cospirazione”? Perché, forse la politica non è tutta una cospirazione? Cos'è un partito politico se non uno strumento di cospirazione per il potere? Quel che non succede spesso è che un partito si impadronisca del potere per il solo bene di un piccolo gruppo di persone, come credo stia succedendo negli Stati Uniti...

Anche Roosvelt, allora?

Roosvelt è stato il nostro Augusto. Si era reso conto di qualcosa di cui non si erano resi conto gli storici. Che il pericolo rappresentato da Hitler era qualcosa di nuovo, senza precedenti. Che se Hitler riusciva a vincere e dominare l'Europa sarebbe stata messa in discussione la stessa sopravvivenza degli Stati Uniti. E doveva affrontare il fatto che l'80 per cento degli americani non volevano assolutamente essere coinvolti in una guerra contro il nazismo. Erano convinti che il nemico fosse il bolscevismo.

Quindi almeno quella guerra era giustificata?

Non sarei così assolutista. Non sono in grado di dire quale avrebbero potuto essere le alternative. Non sono sicuro che Hitler sarebbe potuto durare. E comunque dobbiamo ricordarci che fu Stalin a sconfiggerlo, non solo lo sbarco in Normandia.

Ma dei presidenti che ha conosciuto, ne salva almeno qualcuno?

Kennedy mi piaceva, Intelligente, affascinante. Ma anche,lui all'inizio indossava la corazza del guerriero della guerra fredda. Un giorno conversavamo, gli chiesi perché, lui pure così giovane, continuava a parlare di tramonto, e non invece di alba...

Cosa le rispose?

Non rispose, su domande del genere sorvolano...

Un grande scrittore ha in genere una sensibilità particolare a cogliere gli umori di un paese. Di che umore è l'America? Chi vince le elezioni?

Di che umore dev'essere? Terrorizzata. Gli si dice da mattina a sera: terrore, terrore, terrore, ci possono colpire da un momento all'altro. Non abbiamo soldi. Siamo indebitati con mezzo mondo. Non è che il problema dei disoccupati lo si possa risolvere facendo un esercito di un milione di soldati. Penso vinca John Kerry. A meno che il risultato non sia stravolto da un gigantesco broglio elettorale, coi nuovi metodi di conteggio elettronico.

Ma lei si considera di sinistra o di destra?

Non credo molto in una divisione destra/sinistra in politica. Credo che ci possono essere altri livelli a cui affrontare il problema. Ad esempio, la giustizia.

In che senso giustizia? Ne darebbe una definizione?

Mi rendo conto che si tratta di una grande astrazione difficile da definire. La definirei come governo nel rispetto della legge, prendere sul serio le istituzioni. Mi definirei un liberal nel senso che alla parola dà il dizionario: coloro che favoriscono legislazione e politiche che portino ad allargare la democrazia.

Intervista di Siegmund Ginzberg – L'UNITA' – 09/06/2004

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