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“Io, l'altra metà di Tabucchi”

A cinquantasei anni Enrique Vila-Matas è uno dei più importanti scrittori spagnoli della sua generazione, tradotto in moltissime lingue, autore di un'opera originale, citazionista, ironica, raffinata nonché numericamente rilevante che comprende romanzi, racconti e raccolte di saggi e articoli. Pluripremiato oltre che nel suo paese, tra gli altri col Ròmulo Gallegos il premio più importante per gli autori di lingua spagnola, in Portogallo e in Francia, Vila-Matas è meno conosciuto in Italia anche se una nuova offensiva editoriale merito di alcuni piccoli editori sta riproponendo all'attenzione dei lettori alcuni suoi libri passati: sono usciti il suo secondo romanzo edito in Spagna nel 1977, L'assassina letterata (tradotto da Danilo Manera e Elisabetta Pagani, Voland, pp.105, € 12) e i racconti di Suicidi esemplari libro del 1991 già pubblicato da Sellerio ed ora riproposto da Nottetempo (traduzione di Lucrezia Panunzio Cipriani, pp. 240, € 13). Sarà invece Feltrinelli nel 2005 a pubblicare il romanzo Il mal di Montano dopo aver pubblicato nel 2002 il bellissimo Bartleby e compagnia.


Vila-Matas è un confutatore della realtà e la ride di fronte agli scrittori realisti che “duplicandola la impoveriscono”, nelle sue storie ingaggia il lettore in un gioco di specchi e di mappe affinché questi proietti il suo mondo sulle trame letterarie, una partita aperta tra chi scrive e chi legge si svolge in tutti i suoi libri popolati da eccentrici, spesso sono scrittori: ancor più spesso sono scrittori falliti o mancati per la loro stessa volontà come accade nel racconto L'arte di scomparire in Suicidi esemplari o come è magnificamente documentato in Bartleby, intelligente ed elegante escursione dentro la pulsione negativa, sugli scrittori del No. Per questo scrittore di Barcellona che predilige il mistero e il metaletterario la solitudine è comunque un'aspirazione impossibile “perché è popolata di fantasmi”, di realissimi fantasmi verrebbe da dire percorrendo i suoi oltre trent'anni di trame. Leggendo Vila-Matas come in un dedalo di eteronomi a chiave s'intravede Antonio Tabucchi, soprattutto quello dei racconti, ed è per questo che da qualche tempo i due si danno appuntamenti pubblici forse per saggiare la propria singolare duplicità e così l'editore romano Nottetempo presentando la nuova versione di Suicidi esemplari li ha convocati uno accanto all'altro.

Vila-Matas le confesso che raramente ho trovato due scrittori così in sintonia, per molti versi simili, come lei e Antonio Tabucchi. Vi riconoscete a vicenda? Chi siete l'uno per l'altro? Insomma cosa mi dice su questa fratellanza.

Anni fa copiai alcuni paragrafi di Donne di Porto Pim e li inserii nel mio libro Recuerdos Inventados. E dato che non avrei mai immaginato di arrivare a conoscere Tabucchi, l'ho plagiato senza esitazione. Ma un giorno, a Barcellona, feci la sua conoscenza. “Perché mi perseguiti”, mi chiese lui, alludendo forse ad alcune mie dichiarazioni alla stampa in cui avevo detto che se Tabucchi era l'ombra di Pessoa, io volevo essere l'ombra di Tabucchi: l'ombra dell'ombra di un'ombra. Qualche giorno dopo restai molto colpito quando mia madre mi disse che la famiglia che aveva trascorso l'estate a Cadaqués quando io avevo cinque anni e che viveva proprio accanto a noi, era la famiglia Tabucchi. “E tu”, mi disse mia madre, “parlavi sempre con Antonio, il bambino dei vicini, che aveva cinque anni più di te. Quell'Antonio dev'essere Antonio Tabucchi. Ti arrampicavi sempre sul muretto che separava le due case e gli ripetevi ossessivamente in italiano: Antonio, Antonio, gli adulti sono stupidi”. Riassumendo, Tabucchi e io ci conosciamo da più di mezzo secolo.

Qual è la genesi di un libro come “Suicidi esemplari”? Come nasce l'idea, perfettamente servita, un'umanità più motivata per la morte che per la vita?

Volevo indagare sul mio rapporto con la vita e con la morte. Avevo una certa paura di scrivere il libro, perché in genere mi identifico molto con i personaggi principali. Inoltre, il mio appartamento di Barcellona è al sesto piano. “La tentazione del salto” era lì. Temevo oltretutto che mi si potesse accusare di istigazione al suicidio. Ciò nonostante, né mi sono tolto la vita, né ho subìto alcun processo. Al contrario, ho ricevuto moltissime lettere di suicidi in potenza che, dopo aver letto il libro, avevano riso tanto che avevano deciso di posticipare la loro morte per mano propria.

Come Cortazar, come Tabucchi, anche lei è uno straordinario scrittore del fantastico domestico. Come scrittore di fantasmi mi parla del suo rapporto con questa realtà altra?

Tra i miei racconti il preferito – in questo mondo del fantastico domestico che ultimamente non pratico molto – è un racconto intitolato Un alma desocupada, raccolto in Hijos sin Hijos (Figli senza figli). Lì, il punto di vista così ricercato nella storia della narrativa – è niente di meno che il punto di vista di una zanzariera che può raccontare soltanto quel che vede nella camera in cui vive come triste zanzariera. Se gli abitanti della camera e del letto, escono, si ritrova a non aver nulla da dire.

Possiamo dire che lei è attratto dalle interruzioni, dalla deviazione che in “Suicidi esemplari” i suoi personaggi attuano rispetto alla vita e che nel suo Bartleby e compagnia è quello degli scrittori dalla letteratura. Perché questo No è così forte?

Mi interessa la sfera del maledetto, del proibito, il contrario delle trame, tutto ciò che non si vede. Credo che ci sia qualcosa di enormemente positivo nella negazione, mentre l'affermazione – quel famoso “Oui” del Generale De Gaulle che Dalì ha parodiato tanto – mi sembra conformista e noioso.

Quattro anni dopo Bartleby e compagnia la sua fascinazione e la ricerca degli scrittori affetti dal morbo del famoso scrivano di Melville le ha fatto individuare altri scrittori in fuga dalla letteratura, o almeno dalla pubblicazione?

Nel libro o romanzo digressivo che sto scrivendo ora, sto mettendo in atto la scomparsa di uno scrittore di successo, uno scrittore che si è stancato di scrivere per farsi fotografare. Vorrei trasformarmi in uno scrittore occulto, segreto, alla Salinger. Ma siccome non ho il coraggio di farlo, allora, uno scrive per realizzare sulla carta quel che non vuole o non può realizzare nel mondo reale.

Intervista di Michele De Mieri – L'UNITA' – 08/12/2004

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