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Andrea Zanzotto |
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Zanzotto, il pessimismo della natura perduta |
La
casa di Andrea Zanzotto è il rifugio del poeta scontento. In
fondo al giardino arruffato legge e scrive immerso nella malinconia
di un paesaggio che gli alberi dagli zecchini d'oro continuano a
cambiare.
Zanzotto non lo sopporta. Perché nei versi
accumulati durante la lunga vita compare una fitta popolazione
- non saprei dire altrimenti - di prati, boschi, colline ma anche di
eventi e cose atmosferiche: piogge, nevi, venti, geli, cose di
natura, segni di scrittura. Immaginava che per parlare, la
letteratura avesse bisogno di un paesaggio, ma questo paesaggio
sbiadisce nella memoria.
Invece
il degrado avanza restio all'ultima umana cupidità e
torsione. Guardando il verde e le trasparenze dei ghiacci si
rallegrava: era il 1951. Adesso, nello studiolo coperto dai libri,
sotto l'acquerello delle colline fiorite di Tullio Pericoli, il
pessimismo di Zanzotto intristisce i suoi 83 anni. Sono fiori di
carta, non appassiscono; la consolazione resta provvisoria.
Lungo
la strada da Treviso a Pieve i supermercati hanno l'aria di portaerei
insabbiate tra fabbriche e fabbrichette, gli alberi dove fioriscono
gli zecchini. Mi sono trovato circondato. Prima era un bel
posto dove si poteva stare. Adesso andrei, ma sono troppo vecchio per
cambiare. Qualcuno di loro sta andando. In Romania o verso la Cina.
Lei
conosce l'animo delle persone, le ha viste crescere ed arricchirsi:
al di là degli affari, crede sappiamo cos'è la Cina?
Ho
grandi dubbi. C'è una distorsione di sguardo creata dalla
falsa mondializzazione, specie di colpo di stato mondiale che il
capitalismo più lesto ha organizzato senza ben sapere dove
andava a sbattere. Adesso i soldi devono moltiplicarsi in
continuazione, altrimenti, il disastro. Bisogna vendere più
automobili quest'anno di quante vendute dell'anno precedente. Nessuno
si chiede: dove le mettiamo? Vada a vedere cosa c'é a Vittorio
Veneto, e un po' dappertutto: una fabbrichetta dopo l'altra, sembrano
animali intrufolati nei posti più incredibili.
...
attorno alle lapidi che coprono la montagna dei i morti nelle trincee
della prima guerra. Pensare che un tempo erano i paesi poveri
dell'emigrazione...
Siamo
stati tutti emigranti. Anch'io ho lavorato in Svizzera. Sono entrato
nel Vallese come sguattero, era il '47. In realtà insegnavo in
un collegio sopra Losanna, a Villars. Chiamavano i clandestini
laureati con contratti di comodo e li usavano come a loro faceva
comodo. A Padova, nel '42, avevo discusso la tesi su Grazia Deledda.
Ma da noi non c'erano posti e là si guadagnava bene. Con i
primi 180 franchi netti sono riuscito a pagarmi due vestiti e un
paltò.
Studenti
svizzeri?
Scuola
internazionale. Arrivavano figli di ricconi, ambasciatori,
banchieri... Si parlava francese. Davo lezione di tutto, anche di
matematica perché la direttrice diceva che un buon insegnante
deve arrangiarsi con ogni materia. In realtà voleva
risparmiare. Ho raccontato la storia di questa madame in Altopiano.
L'ha stampato Neri Pozza. A Losanna cominciavo a scrivere in
francese. L'emigrazione mi ha fatto sentire la barriera che c'era tra
noi e loro, ma si lavorava contenti con qualche paura: la polizia
svizzera teneva gli occhi aperti sui clandestini.
Sia
pure nell'angolo nobile di un collegio, ha provato cosa vuol dire
vivere sradicati dalla realtà nella quale si è
cresciuti. Dalla Treviso non tenera verso gli extracomunitari, in
quale modo oggi osserva la vita di chi arriva attraversando l'Europa,
il Mediterraneo e altri mari?
Con
profonda tristezza. Penso che se il capitalismo era intelligente
doveva creare posti di lavoro attorno alle loro case. Già
andare in Svizzera era un trauma. Si pativano tante cose... .
Chi
emigrava partendo da Pieve o da Treviso passava il confine col
passaporto in mano?
Non
sempre. A Pieve, nel dopoguerra, avevano vinto i democristiani come
in quasi ogni posto del Veneto (a Venezia no), ma mio padre è
stato eletto sindaco a furor di popolo. Si doveva far fronte alla
massa dei disoccupati, solo Giovanni Zanzotto, socialista, insegnante
di disegno e pittore, era intoccabile; solo lui poteva inventare
qualcosa per calmare gli animi. Il fascismo lo aveva perseguitato.
Nel '29 aveva votato contro il referendum, c'erano due schede una per
il si e una per il no. Aveva scelto il no ed è stato punito.
Non poteva più insegnare in una scuola pubblica. Ha trovato
lavoro in Cadore in una specie di cooperativa indipendente. Più
tardi è partito per la Francia. Quando nel '46 è
tornata la libertà, la gente gli dava ascolto, era uno che
aveva pagato. E lui si è messo d'accordo con la rete dei
passanti, spalloni di uomini: guidavano i clandestini
oltre confine. Andavano in Savoia. C'era lavoro, mancavano le
braccia. Si sono formate le prime comunità di emigranti.
Storie bellissime.
Anche
lei ha attraversato il confine da clandestino?
No.
A Treviso c'era tutta una banda passata in Svizzera dove insegnava il
professor Gian Giacomo Cappellaro, partito in avanscoperta. Sono
entrato col permesso da sguattero.
Incontrava
compaesani umiliati dalla non considerazione dei padroni di casa. In
Francia li chiamavano macaronì, nei Grigioni
svizzeri cinghei, cinque soldi. Come spiega che quando
sono tornati e hanno fatto fortuna, proprio qui, attorno a Treviso,
la loro diffidenza verso lo straniero nutre la xenofobia delle leghe
intransigenti. Non sopportano chi sta vivendo la loro vecchia
sofferenza...
Da
principio non era così. Prima di diventare assuntori di
emigranti, gli ex emigranti ricordavano la solitudine del lavoro in
terra straniera. Un po' facevano gli artigiani o aprivano negozietti,
o andavano alla Zoppàs ma restavano sempre mezzadri: il lavoro
dei campi dava sicurezza. Poi si sono sentiti con i piedi a posto. E
la vita è cambiata, rivalsa di chi magari non aveva girato il
mondo ma era cresciuto ascoltando i racconti dei nonni e dei padri.
Lontani non erano nessuno, qui vogliono essere qualcuno. Forse,
questo....
È
la sola spiegazione?
Ve
ne sono altre. I governi della vecchia Dc non hanno trattato male i
mafiosi smascherati. Li mandavano al confino sulla pedemontana o nei
paesi del lago d'Iseo, luoghi di privilegio. E i mafiosi continuavano
i loro affari suscitando il rifiuto della gente costretta a subire
quel trapianto sgradito. Lentamente hanno generalizzato il fastidio.
Chi non parlava il dialetto poteva essere pericoloso. Sono stato
contro a certe reazioni. Dicevano: viene gente che non ha le nostre
tradizioni. Quindi, tutti mafiosi. Tutti? Andiamo... Ma il buonsenso
di pochi non intiepidiva la diffidenza dei tanti.
Quando
i Serenissimi hanno scalato e conquistato il campanile di piazza San
Marco a Venezia, bravata che ha fatto ridere l'Europa, quale
spiegazione ha dato alla stupidità dell'intemperanza?
«Non
era il caso di enfatizzare la presa del campanile. Meritava si e no
un titolino nella pagina interna pur essendo il bubbone che
confermava l'esistenza di un disagio multiplo».
Dal
campanile annunciavano la secessione...
Ma
chi seccede da chi? Questo benessere coincide con una fortissima
slogatura culturale che induce a bislacche nostalgie e
approssimazioni mitologiche. Tutte fondate su fantasmi perché
le leghe sono capitate molto più tardi. Si sarebbe dovuto
obbligarli ad imparare un po' di storia e di antropologia. Ma forse
c'era sotto qualche intrigo, ne abbiamo visti infiniti nell' Italia
del dopoguerra.
Possibile
si sia perduta la memoria collettiva di un passato non lontano,
quando i padroncini di oggi erano ospiti in paesi che li guardavano
in un certo modo?
Sono
solo rimasti stupidi dall'enormità del successo economico.
Quando
ha cominciato a scrivere versi guardando boschi e campagne con occhi
d'amore?
Quando
la punizione del fascismo ha costretto mio padre in Cadore. Ma anche
prima: mi portava a dipingere paesaggi, boschi, colline. Così
è cominciata la seduzione. Ed ho continuato ad andare in giro
per le campagne, in bicicletta, passeggiate con amici, un'adorazione.
Il
paesaggio è cambiato...
È
cambiato con la pioggia del grande prestito del piano Marshall:
all'inizio degli anni Cinquanta sono stati favoriti coloro che già
avevano dato segni industriali e raccoglievano nelle officine i
metalmezzadri. Senza andare all'estero, c'era chi aveva la fortuna di
un campetto, terra poco fertile e frazionatissima: non avrebbe
permesso di sopravvivere, ma dopo le otto ore di officina restava il
tempo per il resto. Lavoravano sempre e lavoravano bene. A Pieve la
tradizione degli ebanisti. Poco lontano i pionieri che avevano
fondato le fabbriche. Ricordo il primo Zoppàs: andava da uno
zio che aveva una botteguccia. Arrivava in bicicletta a presentare i
suoi prodotti.
Cominciano
i cambiamenti...
All'inizio
ben visti. Gli emigranti tornavano; i giovani non dovevano andare
via. Ma è successo qualcosa: la debolezza della lira ha aperto
i mercati e tutti si sono dati daffare. Mani d'oro, spirito di
sacrificio.
È
la ricchezza che trasforma il paesaggio di Zanzotto. Non solo
fabbriche e supernegozi, ma ville, villette, villone. Da Palladio ai
geometri, la ferita diventa profonda esasperando il poeta angosciato
ma convinto che la classe dirigente mondiale sia rimasta ferma
ad un'età pregeologica. Per loro non c'è un tempo della
realtà, cìoé un tempo della storia che è
minimo rispetto al tempo della geologia, quindi hanno inventato il
mito dell'impresa dalla crescita senza fine. La natura non la
sopporta. Tutti, dico tutti, da Bush, Putin o compagni di briscola,
lottano credendo di diventare chissà chi perché si
impadroniscono di un bruscolo di polvere che è la terra.
Difendere il paesaggio vuol dire difendere la bellezza della natura,
che è la bellezza della vita anche se può essere un
inganno, come dice Leopardi, perché di tanto inganno i
figli tuoi.
Resta
il paesaggio coperto da mattoni, neon e lamiere...
Qui
è ormai lettera morta. Cerco del passato i ritagli di verde
raggiungibili. E penso che la gente sia anche stufa di distruggere
per rompere la vecchia miseria. È vecchia, non dovrebbe più
esserci, invece nel su e giù degli ultimi anni lo spettro
ritorna. La dislocazione di chi trasporta le macchine in Romania
faceva paura, ma qualche legame in fondo restava. Adesso vanno in
Cina e la Cina è proprio lontana. Sta arrivando una crisi che
frena la proliferazione delle fabbriche. I capannoni si svuotano ed è
un vuoto che fa perdere tanti posti. Un altro vuoto inquieta:
largamente rifiutata l'onda di questo governo, si patisce la speranza
ancora non salda di una coesione larga del centrosinistra ricco di
intellettuali e protagonisti della politica.
Pessimista...
Ma!
Qua pretendono tutto e il contrario di tutto, una bella natura libera
e fare turismo in cima all'Everest. Adesso sembrano sospesi: nessuno
pensa di volere la fine troppo vicina, ormai é sotto il naso,
ma se il profitto lo chiede ricominciano a costruire e andare avanti.
Nel 1962 avevo lanciato l'allarme denunciando lo scempio su una
rivista di Treviso. Mi sentivo socialista vecchia maniera incantato
dal movimento di Comunità nato attorno ad Olivetti. Non
sopportavo la crescita edilizia sconsiderata. Sentivo che stava per
arrivare ciò che poi è arrivato. La bomba dell'anno
scorso... .
Ma
le torri gemelle sono di tre anni fa...
No,
é la bomba del caldo atroce che scioglie i ghiacci. Perché
la ribellione della natura sconvolta fa più morti del
terrorismo, eppure nessuno reagisce. Pochissimi sembrano accorgersi
che siamo entrati in un periodo di catastrofe climatica. Il clima che
cambia crea fenomeni imprevedibili. Ci si sente stretti da qualcosa
che non è esagerato dire apocalisse.
Nel
rifugio della poeta che osserva il futuro con occhi sfiduciati, la
domanda é stonata, eppure la Tv messa d'angolo è il
mobile spento che la suggerisce. L'accende?. Poco,
quasi niente. Dibattiti, telegiornali... Preferisco
il televideo. Nei dibattiti dicono le stesse cose con le stesse
persone che si accavallano l'una sull'altra e va finire in baraonda.
Insignificante, incomprensibile anche perché comincio a
perdere la memoria, ma ciò che trasmettono ha l'aria di una
manipolazione. Allora spengo oppure cambio stanza. Meglio leggere o
scrivere epigrammi.
Cerca l'ultimo foglio: Un
gran bisogno in giro ora si sente quello di un'assemblea
prostituente. Il secondo lo mormora camminando: In
questo progresso scorsoio non so se vengo ingoiato o
ingoio.
Attraversiamo il giardino. Dice che ha voglia di
vivere perché deve fare ancora qualcosa. Il mio solo
nipote ha compiuto un anno. Troppo piccolo, non posso spiegargli.
Devo aspettare che capisca per potergli parlare. O scrivergli un
messaggio, dentro un biglietto la richiesta di perdono per non
avergli lasciato un mondo migliore di quello che è.
Intervista di Maurizio Chierici L'UNITA'
21/02/2005
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