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GUIDO ZAVANONE |
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Antologia poetica
Non biasimarmi
se recitata la parte
indugio, se ancora mi volgo
a guardare la scena.
Perché dissi poche battute,
in fretta,
senza intenderne il senso,
venuto dall'ombra stordito
in questa vampa di luci;
e mi fai cenno d'uscire.
(La terra spenta, Liguria, Genova, 1963)
Perché noi cerchiamo qualcosa
che non sia stato,
o non sia stato a quel modo,
non parlo d'ideali, ne serbiamo
un guardaroba completo
diviso per stagioni,
io parlo della vita
la vita che ripete, oggi, i suoi gesti
uguali, incapace di stupore,
ha sorrisi avvizziti
su una bocca venale,
purifica i genocidi
con un benessere pio.
E neppure la forza di piangere.
Parlo di noi, non so corpo o anima
-abolita, forse, non sostituita,
i corpi hanno parabole brevi
s'alzano appena da terra e vi ritornano in fretta-
non abbiamo più favole
da raccontarci l'un l'altro,
la paura non s'inganna con le formule,
asserragliati nei laboratori
attendiamo un'impossibile salvezza,
neppure le parole sono nostre
abbandonate tra noi da generazioni sepolte.
Non è il caso di sorridere
se noi cerchiamo qualcosa
che non sia stato,
o non sia stato a quel modo.
(Arteria, All'insegna del pesce d'oro, Milano, 1983)
Gli scheletri dei palazzi in costruzione
con i cartelli appesi al fianco Vendonsi
lussuosi 7-10 vani zona
residenziale si torcono
al fuoco del tramonto, spira
una brezza di calcina. Qui la ferrea
gru che presiede ai nascimenti tesse
tra le nubi di smog assurdi piani regolatori, l'orda
strepitosa delle dentate escavatrici attornia
le case condannate. Guizza il neon fuoco fatuo accende
un policromo gioco di parole, resti
asserviti di un linguaggio, irrompe
la furia delle macchine, sovrasta
la protesta dei claxon contro il tempo
che sorpassa, fuggono
costellazioni ambigue dentro i fondi
mari dei parabrezza.
(Arteria, cit.)
Arteria che restringi il tuo lume
a poco a poco, impercettibilmente,
dolce limpido fiume cui nei freschi mattini
s'abbeverava l'avventuroso desiderio
(correva le tue rive un'ardita
popolazione d'immagini, amore
accendeva fuochi improvvisi, ne avvampava
il giovane volto della vita) ora
rivo di acque torpide che accogli,
tra le pareti che si sgretolano, l'oscuro
deposito del tempo, le macerie
d'una disabitata esistenza,
tu, clessidra dei silenzi, se un vuoto
subitaneo d'anima riveli
col tuo pulsare dolente quando
un passato deluso opprime il petto aggrappandosi
ad un futuro invecchiato,
arteria, per i divini sussurri
della tua fiamma antica, se non indifferente
accompagni il mesto
declinare della vita, lo sfiorire
solitario d'un volto,
la mente consapevole davanti al suo stesso tramonto,
a te, prima che il cuore svuotato s'arresti,
offro la poesia che t'assomiglia:
un groviglio logoro di versi.
(Arteria, cit.)
Q
quasi uno scherzo
Bianchi mobili in fòrmica
sospesi funzionali
rubano poco spazio
loculi di colombari
tavolo di marmo
coltello dissettore
una mela ch'attende
madida d'orrore
contatori nascosti
frigidaire in agguato
-ipocrita assassino-
tubo acqua meato
sedia in metallo rampa
un missile il pensiero
con carichi di morte
per l'universo intero
chiuse porte e finestre
in tenebris immerso
rubinetti del gas
pollice verso.
(Arteria, cit.)
Sebbene, fatto ad immagine di Dio, alternando
la procreazione e lo sterminio assecondi
il progresso inarrestabile del mondo,
avviene che l'uomo, ostinato a sognare
la resurrezione dei corpi,
rivolga un appello patetico
all'esercito indaffarato dei vermi
perché restituiscano le loro prede, mentre
sulle navicelle spaziali insegue,
oltre la porta dischiusa del tempo,
la cara anima smarrita.
Per amore
di se stesso, avvelena i mari ove muoiono
le specie progenitrici, manda al rogo
vecchi boschi incupiti dall'oblio, ammutolisce
le voci insistenti delle acque, fiumi
di scorie e detriti vietano
il vacuo specchiarsi della luna, l'indolente
trasmigrazione-balneazione delle nuvole.
Allo stesso modo
è pronto a spezzare
la fragile linea dell'orizzonte,
pianificare le montagne, stravolgere
il corso ordinato delle stelle
pur di moltiplicare all'infinito
i propri, effimeri esemplari
nell'indifferenziata, brulicante inutilità delle copie.
Sebbene,
passandogli accanto, la vita
scosti da sé bruscamente
questo maldestro mendicante d'eterno.
(Arteria, cit.)
Perché non esisti
mi drogo
perché Tu esista
anche solo per gioco
perché torni ad ardere,
o spento mio Fuoco,
per odio, o Dio
perché Ti agogno
perché ho bisogno
di un sogno
levo in alto la siringa
diafana al cielo
che par fibrilli e stinga
(così sbiancò un volto in famiglia)
con le mie, altre braccia scarnite
in corale erezione
(scoprì il mio braccio
e vide in un grido
la luttuosa costellazione)
nel corpo, nell'anima aborrita
più in fondo
ero, o eros eroina che togli
i dolori del mondo,
sciolgo il laccio sottile che stringe,
di deliranti perché, la mia vena
azzurra che pulsa
a Te che chiami, al gelo
della Tua ripulsa,
poi nel vuoto precipito di Te.
(La vita affievolita, Ed. Premio Libero de Libero, Fondi, 1986)
Viene il tempo della vecchiaia.
Non la folgore che schianta,
ma una timida sera
striscia
di cosa in cosa, s'insinua
tra le crepe dell'esistere e gli alveoli
lamentosi dell'anima. Si scusa. Umilmente
occupa il mondo.
Tu contempli in silenzio, come odiare
questa miseria d'ombra che ti stringe
materna fra le braccia, t'assopisce
in una infanzia nuova senza sogni.
E ti vieta anche questo, di soffrire
per te, per lei, se ogni ora che resta
scolorando consola di morire.
(La vita affievolita, cit.)
Quando ero giovane, me ne stavo
sulla soglia dell'orizzonte
accovacciato come un leone,
intento a guardare, a ghermire
l'onda iridata della vita, la mutavo
in musica e visione.
Ora sto trepidante sulla soglia,
non più grande del solco d'una fossa,
delle cose invisibili.
Tutto
mi è stato tolto, imploro
di vedere un istante il Tuo volto.
M'abbandonano le forze, sento
i miei pensieri intorpiditi, non
voglio addormentarmi, recito
a me stesso versi che si tendono
al cielo lunghi rami intirizziti.
Sono la Tua sentinella, l'affannato reporter,
temo che Tu passi improvviso
mentre giaccio nel sonno, che mi scosti,
che io non scorga il Tuo viso.
(Se restaurare la casa degli avi, Campanotto, Udine, 1994)
Siediti
nella direzione del treno s'affannava
mia madre, alla stazione, al fragile ragazzo
affacciato al finestrino colloquiale.
Così feci per anni. Era bello incontrare
il mondo, le sue immagini in corsa,
il presente e il futuro
avvinti in vorticosa danza.
Più tardi
fu diverso. Mi struggeva
questo lasciarci repentino all'atto
d'incontrarci, l'afferrare a pena
qualche lembo stracciato delle cose, mai
veramente conoscerle.
Così
ho pensato di sedermi contro
la direzione del treno, volte le spalle
a ciò che senza tregua
turbina e incalza.
Ora sono io che mi vado allontanando,
le cose
stranamente mi seguono, mi guardano,
lasciano che a mia volta le contempli in ogni
più insignificante significante particolare
monti fiumi alberi uomini
e io in mezzo a loro, amici cari che,
anche scomparso,
lungamente continuano a salutare.
(Se restaurare la casa degli avi, cit.)
Ti penso in quest'ora
che le saracinesche dei negozi
si schiantano nel petto, ghigliottinano
le nostre speranze.
Quali misteriosi paesi di confine
abita oggi il mio spirito turbato
se scorgo figure ben salde
trascorrermi innanzi abbracciate a fantasmi?
Care sembianze, amici
troppo miti per trovare un posto
nelle pagine frettolose della storia,
fanno ressa poi si dissolvono
sullo schermo della memoria.
Tu resti. Come quella sera
sul terrazzo noi due soli a guardare
il cielo venirci incontro
uccello immenso che spalancava l'ali
azzurre fino all'orizzonte.
Mi restano i tuoi versi, che trascorre
una delicata brezza
quell'aria di famiglia che s'avverte
tra poesia e tristezza.
(Se restaurare la casa degli avi, cit.)
Ci convocò tutti, reporters celebrati,
reporters di provincia al suo
giaciglio melmoso, ai suoi schiumosi
vaneggiamenti d'infermo, ai suoi occhi
febbrili, alle sue lune
intristite nelle pozzanghere, il fiume
un tempo famoso, le arterie ostruite, l'acque
biancastre come i topi
che l'attraversavano a nuoto, dove
uomini resi sicuri dalla mancanza d'ogni certezza
scaricavano, insieme alla propria anima,
veleni, cumuli d'immondezza. Si spegneva
la sua voce profonda, solo
un tetro gorgogliare d'agonizzante,
dalle maleodoranti sponde fuggivano a frotte
suicidi pentiti, invertiti, coppie drogate d'amanti.
Un magistrato faceva prelievi, il fiume
nel frattempo era morto, un giornalista
per fare uno scoop intervistò un annegato
mancato. Scrollandosi disse: Lo scriva,
sarà per il lezzo se il mondo
verrà un giorno salvato.
(Se restaurare la casa degli avi, cit.)
Guardando un quadro del Seicento
Bel cavaliere che il cavallo arresti
in mezzo al bosco e guardi la fanciulla
che ti porge la brocca, il suo sorriso
e forse pensi al fresco della bocca,
più che il leggiadro aspetto
e giovinezza e amore e ogni altro dono
che ti diede l'artista,
la sorte invidio che dividi con un dio
la suprema
felicità di non esistere.
(Qualcosa, Ed. Premio Massarosa, Empoli, 1994)
Vita che m'abbandoni
solo e spogliato d'ogni scopo e senso
e tu mio demone che mi rammenti
l'antico patto d'abiezione, mani
m'hai teso colme soltanto di vento
svanì nel tempo il forte aroma
del vino giovane che t'inebriava
c'ingannammo a vicenda, oggi morendo
il vuoto
solo il vuoto dell'anima
ti rendo.
(Qualcosa, cit.)
Noi i sopravvissuti, noi i morti
rannicchiati come feti dentro
non so quale memoria.
Un cielo
sereno e vuoto in cui svapora il mondo.
Ancora
la voce dell'Uomo risuona:
Libera le ceneri, Signore, dentro l'urne
per l'ultimo vento.”
Impossibile
incidere con la parola
il ghiaccio del Tuo silenzio.
(Qualcosa, cit.)
Un tempo camminando in mezzo a loro
le cose s'accendevano di luce
si stringevano intorno a noi
aprivano
in versi il loro cuore confidente.
Ora
le cose già splendenti impallidiscono
si ritraggono alla vista, hanno voce
bisbigliata alle spalle, a volte un cenno
né arrivederci né addio, appena
un distratto congedo.
Forse questo è morire, l'impietosa
reazione di rigetto del mondo al breve
insensato nostro esistere.
Dietro le bifore annerite
dei muti campanili
appaiono ci spiano
le occhiaie vuote di Dio.
(Care sembianze, Managò, Ventimiglia, 1998)
Lo avevo tanto invocato
ed è venuto davvero
(per puro caso io c'ero
più non vi avevo sperato)
si è chinato sulle mie carte
ha corretto qua e là con lo sguardo
poi mi ha preso in disparte
tu scrivi troppo il mio nome
non sempre con giusta intenzione
se avessi il taccuino davanti
ti direi i tuoi anni restanti
i ragazzi troveranno un lavoro
(ha sorriso paterno anche a loro)
ti ho risolto un problema di cuore
poi con aria di circostanza
adesso ispeziono la stanza
ha spostato i quadri gli oggetti
ha messo a soqquadro i cassetti
sembrava che cercasse qualcosa
io volevo fargli tante domande
dirgli il mio amore esitante
senz'ardire di guardarlo negli occhi
posando il capo sopra i suoi ginocchi
ma ora lui andava di fretta
ho tanti santi in sala d'aspetto
mi raccomando alla sera
ricordati della preghiera
forse mi ha salutato, io
in punta di piedi
piangendo me n'ero già andato.
(Resine Savona, Anno XXII n° 86, Ottobre-Dicembre 2000)
Vivi la fede come una favola
l'ultima forse che ci lascerà
con i sogni del mattino che allungano la notte
prima del risveglio che verrà.
Della speranza ti nutri come l'albero
s'apre alla pioggia che lo cresce e lo sfa,
goccia a goccia gli scende per i rami,
ma la radice sa la verità.
Altra, c'insegna, è la giusta risposta.
Più della foglia che alla foglia s'accosta
e tremano dell'inverno che s'approssima
o della stella che più arde più muore
sta l'immobilità che nulla attende,
la pietra fulminata che pur cresce
nello spacco un superstite fiore.
(Nuovo contrappunto, Genova, anno X n°1 Gennaio - Marzo 2001)
Dall'albero scosso
sono cadute le foglie che l'acqua
del fiume trascina lontano in
multiformi costellazioni. Staccato
dalla linfa che lo genera, muove
un alfabeto di foglie cerca
una vita nuova nelle
tumultuose correnti, nei mulinelli
che improvvisi si formano. S'imbevono
dell'acqua silente che le sprofonda. Così
avendo provato il pallido
riflesso del cielo, l'odore
acre del mondo, giacciono sotto una coltre
di fango le intruse parole.
Ma il fiume, lui,
non sarà più come prima, avrà conosciuto
la trama mutevole che fanno le foglie
danzando sull'onde, il lento
discendere, il sogno, il buio lucente
del fondo.
(Il Corriere della sera, Milano, 17 ottobre 2001)
Pini e luna con rami d'argento
si chinavano sull'acque tremanti
alla calda carezza del vento. Mite
lo sciabordio del mare tratteneva l'onde
come sospiri di una serenata
a una tenera divinità. Sussurri
dall'ombra
delle panchine smemorate. Le lampare
accendevano piccoli fuochi
a un orizzonte famigliare.
Amorosa regia. Dal cielo
glorioso d'astri scendeva
persuaso il così sia.
Quando una voce si levò altissima
da una pozzanghera in mezzo alla scogliera,
agghiacciante d'un rospo invisibile,
parve bestemmia durante una preghiera.
Al cospetto di Dio e del creato
gridava la protesta dell'escluso,
l'illusa
volontà di canto, il suo deriso
desiderio d'amore. Era
una creatura disperata
che ci gettava in faccia il suo dolore.
A lungo durò lo strazio di quel pianto
sconsolato di non sentirsi in armonia,
aspro verso affannoso come il rantolo
d'una moderna poesia.
Tacque alfine l'intruso. Su uno scoglio
apparve a un tratto, ridicolo e impotente.
Nero, enorme, splendente, il Cielo
giocava ancora con lui, lo fissava
-le pupille socchiuse -
festoso e indifferente.