Dopo una trentennale carriera che
lo ha portato in vetta alle classifiche con dischi come Alla
fiera dell'Est, La pulce d'acqua, Cogli la prima mela, Angelo
Branduardi si presenta al pubblico genovese con uno spettacolo
tra musica, danza e teatro. "Francesco"è
il titolo dell'opera teatrale, per la regia di Oreste Castagna,
che il musicista di Cuggiono, diplomatosi in violino al
conservatorio Paganini di Genova, ha portato in scena all'Arena
del mare al Porto Antico
Lei
sarà il protagonista di "Francesco",
opera teatrale molto particolare.
Non
è un musical, né una commedia, né un
balletto e neppure un testo musicato, ma un po' di tutto questo.
Lo spettacolo si ispira alla lauda, composizione poetica e
musicale che risale al Medioevo e le cui tracce si possono ancora
cogliere al giorno d'oggi nell'Italia centrale: una forma d'arte
che può essere considerata la diretta figlia del cantico e
la madre della commedia.
Come
si articolerà lo spettacolo?
In
scena, oltre a me e ai musicisti dell'orchestra, vi saranno
attori e ballerini che daranno vita a diversi quadri sulla vita
di Francesco.
Cosa
l'ha colpita maggiormente nella figura di Francesco?
La
sua modernità. Francesco, infatti, non è solo il
giullare di Dio, secondo un'immagine consolidata, ma soprattutto
un uomo tormentato, pieno di dubbi e quindi estremamente moderno.
Un uomo anche dal grande potere visionario, che anticipa tanti
discorsi sulla tolleranza e sullo sviluppo sostenibile. E poi mi
affascina la sua concezione dell'infinito.
Perché?
Rispetto
alla classica visione macroscopica dell'infinito lui ha
privilegiato quella microscopica, esaltando l'infinitamente
piccolo. Un'intuizione veramente rivoluzionaria, in sintonia sia
con le teorie della fisica del '900 che con i principi del
buddismo.
Francesco,
in pieno periodo di crociata, incontrava pacificamente il
sultano.
E'
uno degli aspetti di maggior attualità della sua figura.
Francesco fu un grande pacificatore che, con la forza del
dialogo, si adoperava per dirimere le questioni. Ma attenzione a
non trasformarlo in un pacifista a senso unico e senza spessore.
Cosa
vuole dire?
Francesco
era sì un non-violento ma fiero della sua cultura:
dialogare, per lui, non significava spogliarsi delle proprie
convinzioni di fede ma cercare di comprendere l'altro. Perché,
come si ascolta in un momento dello spettacolo, se ci fosse
conoscenza non ci sarebbe paura né violenza.
Quale
film su Francesco le è piaciuto di più?
L'ultimo
della Cavani, con Mickey Rourke protagonista, perché si
mette in evidenza il tormento dell'uomo. Il primo film della
stessa regista, nel segno di un Francesco rivoluzionario, era
invece di più facile lettura e oggi mi appare datato.
Difficile
musicare le parole di Francesco?
Ho
cercato di essere il più rispettoso possibile, di
garantire quella che il maestro Ennio Morricone chiama
traspirazione. Francesco è una figura precisa, non puoi
inventare: proprio per questo, e per evitare letture parziali o
ideologiche, ho studiato a lungo le fonti francescane,
imponendomi quasi un rispetto filologico.
Al
1974 risale il suo debutto discografico. Come è cambiata
la sua musica in questi trent'anni?
Non
saprei, bisognerebbe chiederlo a qualcun altro. Posso dire che
all'inizio ero più sicuro, baldanzoso e scrivevo quindi
senza dubbi. Oggi che sono più maturo mi arrovello magari
per giorni interi su una singola frase. Non mi sembra, comunque,
che nel corso degli anni si sia verificata una rivoluzione
stilistica: mi auguro solo di non essermi involuto.
Le
manca lo straordinario successo dei tempi di "Alla fiera
dell'Est"?
Non
puoi superare te stesso ogni volta. In passato sono stato ai
massimi livelli europei, ma sapevo benissimo che un tale successo
non sarebbe durato per sempre. L'importante è essere
capaci di proseguire e di andare per la propria strada.
Quale
finora la risposta del pubblico ad uno spettacolo che non è
il solito concerto, con gli hit più famosi, del
menestrello Branduardi?
Molto
buona, anzi migliore rispetto alle tradizionali tournée
canzonettistiche del passato.
Le
ragioni?
La
figura di Francesco è affascinante, lo spettacolo non è
per niente difficile o intellettuale e poi io, evidentemente,
risulto credibile in questa parte.
Intervista di Paolo Battifora –
IL SECOLO XIX – 27/07/2004
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