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Brian di California, il miracolo che sposa Mark Twain col rocknroll |
Brian Wilson è un uomo fortunato. Quelli come lui, i formidabili perdenti, sono morti tutti, congedati dalla storia della cultura popolare, perché così vuole la regola, che privilegia le leggende alle imbarazzanti sopravvivenze. Invece, contro ogni logica, Brian Wilson ce lha fatta. Oggi ciò che resta di lui è una palpitante reliquia del rocknroll, un corpo misteriosamente riuscito a surclassare i tormenti della mente, lottando per restare attivo nelle funzioni essenziali, che nel caso di Brian sono cantare, suonare, intercettare melodie celesti. Da qualche tempo è riemerso dallincubo della malattia di mente provocata da abusi ed eccessi ed è tornato tra noi, a modo suo. Ovvero sempre sovrastato dalla timidezza, tremebondo, a proprio agio solo allorché si tratta di cantare, di mostrarsi al mondo nellunica perfezione che conosce. Ce lha fatta, ha ripreso a essere un recording & performing artist e in questi giorni destate grazierà della sua presenza i nostri palcoscenici. Chi ne è convinto che vada solennemente a omaggiarlo, mentre con austera diligenza presenterà dal vivo il celebre capolavoro nascosto, quel disco intitolato Smile che scrisse quarantanni fa per mostrare ai Beatles che poteva far meglio di loro e surclassare la meraviglia provocata da Sgt Pepper, per quanto gli eventi vollero che restasse un disco mai nato - almeno fino a pochi mesi orsono, quando infine tra lo stupore generale ha visto la luce. Andiamo ad ammirare Brian Wilson con compunta delicatezza, come tornando sui passi di un lungo cammino damore. Ma, come nel caso di Salinger, non cerchiamo troppo luomo, accontentiamoci piuttosto di ciò che resta vibrante di lui, la voce, le armonie. Luomo è rimasto indietro, quasi non cè più, troppo era il suo valore simbolico, travolto dalla valanga di materiale psichico collettivo del quale, umanamente, non ha sopportato il peso. Resta questa sottile incarnazione - per i valori bislacchi del pop quasi un post mortem in vita, un miracolo sbalorditivo che ci permette oggi, nel cuore dellacre 2005, di viaggiare nel tempo e intuire come sia stato a un certo punto il richiamo di uno stile di vita e di un luogo/nazione che adesso già affonda nella Storia della modernità. Ascoltiamo Brian in punta di piedi, perché le sue canzoni ci accompagnano lungo tutta la vita. Il suo concerto è una messa danniversario: non cè molto che a posteriori vada detto. Si partecipi, si contempli e poi si continui dove sè lasciato. Il bello e lassurdo della cultura popolare, che spesso rischia di confonderci, è che non si tratta mai di una linea continua che avanzi implacabile, ma di una complicata, inestricabile matassa di corsi e ricorsi, ricordi, emozioni, eventi e illuminazioni. Attimi che si conficcano dentro e scolpiscono le anime, attraverso le forme dellamore che si ha avuto la fortuna dincontrare. Cerano una volta i Beach Boys Brian Wilson ha 63 anni. Nel 1962 ne aveva 19 quando insieme ai fratelli Dennis e Carl, al cugino Mike Love e allamico Al Jardine organizza il tinello della sua casa di Hawthorne, nella California meridionale suburbana, per provare la canzone che ha appena scritto e che adesso, coi duecento dollari lasciati per le piccole spese dai genitori in partenza, vuole registrare affittando delle apparecchiature allaltezza. Il tema della canzone lha suggerito Dennis: Surfin, un inno che canti la gioia e il divertimento provocato dalla nuova mania dei ragazzi di zona, cavalcare le onde sulla tavola di legno - cosa che in effetti in famiglia fa solo lo stesso Dennis, perchè Brian, ad esempio, è terrorizzato dallacqua. Lui in dote ha altre cose. Ad esempio la capacità dintuire il modo in cui i due suoni assorbiti durante linfanzia - le armonie vocali dei gruppi gospel e il ritmo frenetico e sincopato del rocknroll di Chuck Berry - possano fondersi dando vita a una musica nuova, pronta a riempire uno spazio rappresentativo straordinario: quella della gioventù californiana che il mondo sta imparando ad ammirare come la più invidiabile incarnazione di una contemporaneità edonistica, nella fortunata coincidenza di tempo, luogo e desiderio descritta dalle due parole destinate a divenire mito, ossia Endless Summer, Estate Senza Fine. Non appena Surfin diviene un hit locale, i cinque ragazzi che si sono dati nome di Beach Boys, si vedono sottoporre un contratto discografico con la richiesta di scrivere il più in fretta possibile il maggior numero di canzoni sugli stessi argomenti: surf, vita da spiaggia, fun, macchine veloci, ormoni ribollenti e tutto ciò che mandi in orbita la fantastica rivoluzione con cui il mondo postbellico sta imparando a fare i conti: i teenagers! Brian Wilson non si fa pregare. In quel momento magico tutto è facile per lui: rimossa ladolescenza problematica, conquistato laffetto interessato di un padre fino a quel punto più aguzzino che educatore, intravisto lo sbocco eccezionale a un futuro che immaginava da timido incallito, Brian scrive perché la musica gli fluisce misticamente nel cervello, le armonie si compongono da sole, la visione è animata da uno splendore irreale e lui deve solo trascrivere quanto ascolta. In breve la musica dei Beach Boys allaga letere dAmerica, come la più rinfrescante onda nuova. Le canzoni di Wilson danno forma estatica a un sogno che gli americani condividono e il resto del mondo invidia. Non solo parlano di ragazze, macchine e surf ma sono letteralmente materia organica di questa allegoria. A cominciare da Surfin Safari, in soli due anni, tra il 62 e il 64, i Beach Boys pubblicano sette album, stravolgendo le regole del pop, che dopo di loro non sarà più lo stesso, come dopo il fatale scollinamento. E Brian è la forza trainante, lunico che con istintiva naturalezza sappia generare il suono calzante allAmerica kennediana, che traduca il sogno americano in sogno californiano, che conosca lalchimia per rappresentare la fortuna dessere giovani in quellAmerica. La crisi Ma trasformarsi in macchina da successi è una metamorfosi tuttaltro che indolore. Brian deve presto fare i conti con fantasmi più grandi di lui. Il 64 è lanno in cui le prime crepe insidiano la sua psiche. Prima Wilson pretende di rinunciare alla vita on the road della band per concentrarsi solo sullattività creativa in studio. Poi la sua fragilità comincia a mostrarsi più scoperta: si susseguono le liti con gli altri del gruppo, poco disposti a seguirlo nellevoluzione musicale che già lo porta lontano dalla pedissequa ripetizione della formula, verso sperimentazioni che il mercato dellepoca mal tollera. Poi è leccezionale visibilità a cui la sua personalità è sottoposta a costituirsi come deterrente del suo equilibrio: sapere che i grandi della musica contemporanea, da Paul McCartney (che cita God Only Knows come la più grande canzone mai scritta) a Phil Spector (lunico per cui Brian provi sudditanza artistica) a Leonard Bernstein (che etichetta Surfs Up come la più importante composizione contemporanea) guardino a lui come alla sorgente dellultimo suono, diviene uno stress insostenibile. A 24 anni, nel 66, Wilson presenta Good Vibrations, il suo ultimo disco che scalerà le classifiche fino al numero uno. Ma è una scarna consolazione, dal momento che il pezzo è uno dei pochi frammenti che la casa discografica e i compagni di band acconsentono a pubblicare del grande sogno musicale che Brian ha nel frattempo partorito: Smile, la definitiva sinfonia teenageriale a Dio come la chiama lui, un sogno pop fatto di visionarietà, egocentrismo, bizzarria e genio. Per Brian già si spalancano le porte dellinferno. Prima lisolamento e la paranoia, barricato in due stanze col suo piano. Poi gli eccessi di droghe e psicofarmaci, cuocendosi il cervello di lLsd, coca e marijuana. Diagnosticato vittima di schizofrenia paranoide, Brian perde tutto: la band, che lo liquida con la crudeltà dei fratelli, la moglie, perfino i diritti sulle sue composizioni, che lo sciagurato padre cede agli speculatori per pochi spiccioli. Comincia la via crucis di Wilson, di cui i giornali ormai si ricordano solo per registrarne lennesima caduta. Vittima di Eugene Landy, psichiatra hollywoodiano da strapazzo, e sottoposto a unincredibile dieta di cibo macrobiotico e sigarette, Brian si ripulisce e viene istantaneamente rispedito su un palcoscenico, solo per fuggirne catatonico dopo pochi tentativi. Nella spirale autodistruttiva non si risparmia niente: obesità, pornografia, crisi dansia, indizi di demenza, depressione cronica. Per lui non cè scampo si direbbe. E invece. Il "ritorno" Invece lentamente, mentre il passare degli anni placa il sovraccarico emotivo della sua psiche, poco alla volta Brian riemerge dalla tempesta. Ricomincia a presentarsi in pubblico, ma soprattutto riprende a occuparsi della sua musica, senza millantare più blocchi creativi, crisi dastinenza e il terrore delle voci che dentro la testa gli parlano tutte insieme. È tornato e il mondo lha accolto con la devozione che merita, come un eroe sopravvissuto a una guerra mentale che ha fatto pochi prigionieri. Adesso porta in giro il suo show, esegue Smile integralmente, ciclicamente si sottopone perfino al supplizio di unintervista durante la quale biascica con scarso costrutto. Ma avere la fortuna di ascoltare da lui le sue canzoni è ascoltare il suono dellAmerica classica. "Ha tentato di immortalare quella nazione" ha detto di lui Billy Corgan. "Di traghettare Mark Twain nel rocknroll. Credo ci sia riuscito". Nick Cohn descrive Pet Sound, il suo album capolavoro, come la più memorabile collezioni di canzoni mai scritte sul tema della solitudine e della malinconia, magnifiche composizioni tristi che parlano di felicità. Lo stesso Brian sa daver traversato unesperienza eccezionale e surreale al tempo stesso: "È così. Mentre scrivevo Pet Sound mi sentivo Cristo. Mi venivano quelle canzoni e dicevo: questa è roba degna di Gesù. Non nego che la cosa mi eccitava". Povero Brian quanto amore ha generato, quanto ne meriterebbe indietro. Ascoltarlo adesso, anche se la voce sè arrochita, mentre gorgheggerà come un ragazzino senza tempo le note assolute di Wouldnt It Be Nice, e di Caroline No, è la più lussuriosa esperienza che il pop possa concedere. Un abbraccio mortale a cui sarebbe perfino saggio sottrarsi. Ma quando mai la saggezza trova posto tra le cavernose mura del rocknroll? Valeria Trigo LUNITA 20/07/2005 |
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