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25 aprile


PRIGIONIERI DELLA MEMORIA

Il cuoco di Salò di Francesco De Gregori


"Alla sera vedo donne bellissime
Da Venezia arrivare fin qua
E salire le scale e frusciare
Come mazzi di rose
E il profumo rimane nell'aria
Quando la porta si chiude
Ed allora le immagino nude aspettare.
Sono attrici scappate da Roma
O cantanti non ancora famose
Che si fermano per una notte
O per una stagione
Al mattino non hanno pudore
Quando scendono per colazione
Puoi sentirle cantare
Se quest'acqua di lago fosse acqua di mare
Quanti pesci potrei cucinare stasera
Anche un cuoco può essere utile in una bufera
Anche in mezzo a un naufragio si deve mangiare
Che qui si fa l'Italia e si muore
Dalla parte sbagliata
In una grande giornata si muore
In una bella giornata di sole
Dalla parte sbagliata si muore
E alla sera da dietro a quei monti
Si sentono colpi non troppo lontani
C'è chi dice che sono banditi
E chi dice Americani
Io mi chiedo che faccia faranno
A trovarmi in cucina
E se vorranno qualcosa per cena
Se quest'acqua di lago potesse ascoltare
Quante storie potrei raccontare stasera
Quindicenni sbranati dalla primavera
Scarpe rotte che pure gli tocca di andare
Che qui si fa l'Italia e si muore
Dalla parte sbagliata
In una grande giornata si muore
In una bella giornata di sole
Dalla parte sbagliata si muore"


E' questa una canzone che ha suscitato molte polemiche per il tema, che costringe a mettersi nei panni del cuoco di Salò, nei panni di chi ha fatto una scelta per vivere e capisce che è sbagliata quando vede che, mentre a Salò sfilano dive dello spettacolo che folleggiano con gli ultimi gerarchi, ragazzini di quindici anni si fanno ammazzare per una causa persa sin dall'inizio.
Mi preme ricordare la lucidità di Michele Serra che, in un'intelligente articolo su De Gregori e la sua canzone, si schierò con l'artista:


< E' possibile e anzi probabile che "Il cuoco di Salò" venga acciuffata, specie per qualche suo tono o frase, dagli insaziabili artigli della polemica politica. E magari messa a luccicare o a friggere nel grande e scomposto mucchio del SalòPride, sempre più ricco di memorialistica vanitosa e di revisionistica puntigliosa.

[...] Sarà un peccato, perché la canzone sorvola di parecchio il dibattito contingente, proprio come ci si aspetta che l'arte faccia rispetto al contesto che la genera, o perlomeno la nutre. Il rischio dell'artista è sempre solitario, in qualche modo "a latere" rispetto al continuo e astioso dibattimento che rimbalza tra tivù e giornali, e fosse anche solo per questo per la fragilità e il coraggio del punto di vista andrebbe rispettato, e fatto salvo dai fumi tossici della rissa mediatica.

Qui De Gregori, poi, dà il meglio di se stesso (cioè il meglio di un talento grande e raffinato), raccontando con pietà e asciuttezza i colpi, il sangue, la cruenza e perfino l'ingenuità che accompagnarono e seppellirono i protagonisti di una delle stagioni più disperate della nostra storia, vissuta “dalla parte sbagliata[“.
Invece, vedrete che la domanda che echeggerà in sala, a canzone cantata, sarà “chi è che ti ha mandato?” (citazione degregoriana). Ma gli artisti, in genere, si mandano da soli. [...]

( Michele Serra, La repubblica, 12 gennaio 2001)>



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