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MUSICA

Il mio Dylan brasiliano

Prima un disco dedicato alla grande musica in lingua spagnola (Fina estampa), oggi a quella anglosassone. Chi meglio Caetano Veloso poteva misurarsi con stardard immortali come The Carioca, Smoke gets in your eyes, The man I love? Lui che all'inizio degli anni Sessanta scosse l'immobilismo culturale del Brasile innamorandosi perdutamente di Dylan e i Beatles? Qualcuno potrebbe storcere il naso, individuando nel nuovo disco A foreign sound solo due episodi azzardati ( i Nirvana e Bob Dylan). Eppure, in un periodo in cui l'industria musicale per racimolare due euro tira fuori nuovi pseudo-crooner ammaccati, questo cd di Veloso è una ventata di eleganza, sofisticatezza, maestria.

In fin dei conti la musica americana ha sempre incrociato le strade del Brasile, non è vero Veloso?

La musica americana aveva già successo un Brasile sin dagli anni '20 e '40 e man mano il fenomeno prese sempre più piede, soprattutto con l'arrivo del rock and roll. Al tempo del Tropicalismo il nostro gruppo (mio, di Gilberto gil, di Gal Costa, degli Os Mutantes, di Rogerio Duprat), aderì con entusiasmo al rock inglese dell'epoca e lo veicolò alla lotta contro la dittatura. Nonostante fosse un'adesione critica (come lo fu quella nei confronti di tutta la cultura di massa nord americana), contro di noi si scatenò una reazione molto dura. La sinistra era nazionalista e contraria alle manifestazioni della cultura di massa nordamericana, la destra (che stava al potere) vedeva negativamente gli aspetti anarchici e trasgressivi della contro-cultura.

Alla fine di “Estrangeiro”, il disco del 1989, reciti una frase in inglese che significa: “A qualcuno piacerebbe un dolce cantante brasiliano, ma io ho abbandonato ogni tentativo di perfezione”. Eppure questo nuovo disco “A foreign sound” è proprio un disco di un dolce brasiliano...

Naturalmente. Quella è una frase che ho preso delle note di retro copertina di un disco di Dylan, Bringing it all back home. Questo è chiaramente il disco di un “soft brazilian singer”. Ma è anche un disco di grande valore e lavoro, fatto con ottimi musicisti: l'arrangiatore Jacques Morelenbuam e tutti gli strumentisti, la loro perfezione, nonostante la decisione del cantante di aver abbandonato ogni tentativo di perfezione...

Nella tua versione di “It's all right but I'm only bleeding” c'è un campionamento della colonna sonora di un grande film brasiliano di Glauber Rocha, il Pasolini tropicale: “Deus e o diablo na terra do sol”. Tu, amante del cinema, che ne pensi della salute di quello brasiliano? E' vero, come dicono molti, che è passato dall'estetica della fame di Glauber Rocha all'estetica della violenza di film come “Città di Dio”?

Ho letto critiche che dicono che mentre prima il nostro cinema era basato sull'estetica della fame, oggi si è passati alla “cosmetica della fame”, perché tutto è trucco, maquillage. Poi a causa di Città di Dio ho sentito anche parlare di questa “estetica della violenza”. C'è questo e quello, ma non è la cosa importante. L'essenziale è che quello è un buon film, dove dietro c'è una scuola attoriale, un modo preciso di utilizzare il linguaggio, la telecamera, inedito nel cinema brasiliano. Oggi è la quantità di violenza presente nel cinema è assoluta. La trovo oscena. Sembra che questo desiderio che ha la gente di reale si possa tradurre solo nella violenza. Sta nascendo un altro mito. Questo non è reale, è una nuova maschera, in qualche caso più superficiale dell'espressione simbolica, metaforica delle cose.

Dylan ha un rapporto con il pubblico completamente diverso dal tuo: tu lavori per “partecipazione”, Dylan per “distacco”.

Ha una personalità completamente diversa dalla mia. Ricordo una bellissima intervista che Bob concesse al Rolling Stone. Gli chiesero cos'è la cosa più importante per un uomo? Lui rispose: trovare un luogo dove nascondersi. Io no, sono “leonino”, mi piace stare di fronte alle persone, comunicare, non avere segreti. E' la mia illusione di trasparenza. Molto tempo fa ho visto Dylan in concerto a Rio: precedeva i Rolling Stones. A metà dello Show, quando Jagger attaccò Like a rolling stone, lui rientrò e la cantarono assieme. Emozionatissimo: erano qualcosa come 70mila persone all'unisino.

La tua versione di “Come as you are” è stranissima, minimale, sembra quasi una mantra. E' anche un chiaro tributo ai Nirvana. Eppure tempo fa dichiarasti che per te i Nirvana erano spazzatura...

Era una provocazione rivolta ai critici musicali brasiliani, soprattutto i più giovani, che al tempo erano impazziti per il grunge e ridicolizzavano artisti tradizionali. Ebbene, un giorno Ivan Lins si presentò ad un festival jazz a Rio e la stampa non fece che ridicolizzarlo. Allora in un'intervista dissi: Ivan Lins è musica, i Nirvana sono spazzatura”. Era una frase provocatoria per ricordare un fatto ovvio: che il rock era considerato merda al tempo in cui la musica di Lins veniva considerata buona. La grande energia storica del rock è spazzatura e tutte le volte che il rock riacquisisce la sua forza espressiva è ricordandolo.

Hai scelto canzoni molto famose. Potevi indirizzarti su cose più particolari...

Queste canzoni non hanno bisogno di me. Non c'è niente che io possa aggiungere a brani che posseggono già una propria ricchezza e che per di più sono già state cantati da Frank Sinatra, Doris Day, Sarah Vaughan, Billie Holiday, Billy Eckstine. Cosa posso fare? Ma avevo un desiderio, una storia, la relazione che c'è tra di loro e la presenza della cultura americana nel mondo vista dal punto di vista di un artista brasiliano che ha meditato a lungo sull'argomento e che ha vissuto molti drammi personali e artistici al riguardo. L'amore, la sofferenza, l'allegria, l'ironia. Questo è ciò che vale di questo disco e null'altro.

Silvia Boschero – L'UNITA' – 03/05/2004

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