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Montalbano al giro di boa |
E sempre un piacere far visita ad Andrea Camilleri. Apre la porta come avesse sospeso, appena per un momento, la tambasìa mattutina, quel tempo inventato e tutto suo in cui si muove in casa senza far nulla di particolare: uno sguardo alla copertina di un libro, una cornice da raddrizzare, una sigaretta, due sigarette
Poi, quando con paziente eleganza e dolce ironia riesce a districarsi tra i cavi (abbiamo filmato questa intervista per www.arcoiris.tv), si accomoda in poltrona per disporsi alla conversazione, lo sguardo appena squeto (inquieto), come a difendersi da una cattiva notizia o una domanda impertinente.
Negli Stati Uniti è cominciata la campagna elettorale, la guerra in Iraq è tuttaltro che finita, ogni giorno muoiono soldati e soprattutto civili. Lei come la vede?
E come dovrei vederla? Noi abbiamo
avuto i morti di Nassiriya. Lho scritto prima e lho
scritto dopo: non dovevamo andare in Iraq e dobbiamo andarcene il
prima possibile, tutta lItalia ha reso ai ragazzi uccisi
lomaggio che meritavano. Detto questo, mi pongo una domanda:
come mai non vedo un funerale di un soldato americano? E dire che
sono tanti. Mi è stata data una spiegazione che fa accapponare
la pelle. Mi hanno detto: ma sai, non è che quelli sono
americani-americani. Nel 90 per cento dei casi si tratta di persone
che aspirano a diventare americane. Questo fatto mi ha spiegato
tante cose. Dentro lignobiltà suprema della guerra ci
può essere una ignobiltà ancora peggiore, un razzismo
dentro la guerra. Accade anche quando leggo che sono stati uccisi
tre soldati americani e alcuni civili iracheni. Alcuni?
Sì, magari poi li contiamo, poi vediamo, adesso non ha
importanza.
Non sappiamo quanti morti hanno fatto le bombe
statunitensi in Iraq, contiamo solo quelli che hanno la pelle nera ma
si battono per una bandiera di pelle bianca. Questa, inoltre, è
una guerra di Pinocchio, e andare a morire per Pinocchio è
veramente pazzesco. Prendiamo la vicenda delle armi di Saddam, trovo
geniale che Colin Powell arrivi a dire che non ce le aveva ma aveva
lintenzione di averle. In questo modo si dà
a tutti la liceità di ammazzare tutti.
Una frase di questo
tipo significa ben altro che la guerra preventiva, significa che
posso fare la guerra ai genitori perché è probabile che
il figlio o il nipote, poi, un giorno, mi spari addosso. Siamo
allidea hitleriana dellammazzare sei milioni di persone
perché avrebbero potuto danneggiare la razza. Dovè
la differenza? La guerra preventiva vuol dire ammazzare prima. E poi,
guarda caso, queste guerre avvengono sempre in territori molto
lontani da dove vivono i loro promotori. Rappresentano mercati non
indifferenti. I cattivi, Germania e Francia, vengono esclusi dalla
ricostruzione, cioè dagli affari che si fanno sulle macerie.
No, non è solo petrolio ma è lindustria delle
armi che esporta la democrazia.
Anche in Italia si denunciano da tempo dei veri attentati alla libertà dinformazione. Cè una minaccia reale per la democrazia?
Ci sono quelli che dicono che non
esiste un regime perché il regime ha certe forme che questo
momento italiano non ha. Altri dicono di sì. Al mio paese si
dice: Votala cummu vo, sempre cocuzza è,
mettila come vuoi, resta sempre una zucchina, e sempre quel sapore
ha. Il problema è che ci sono diversi modi di cucinare
la democrazia.
Questo è un modo abbastanza esplicito di
colpirne il cuore, che è proprio la libertà
dinformazione. Non sto parlando delle diatribe con la satira ma
dellinformazione pura, semplice, elementare. Cè la
manipolazione, cè molto controllo sui giornali, e poi
cè un controllo quasi totale sulla televisione. Sì,
è un vero pericolo. Anche perché poi succede una cosa
ancor più grave: in molti di quelli che dovrebbero informare
correttamente per paura, per convenienza, perché tengo
famiglia, e per altre ragioni scatta una sorta di
autocensura che finisce con lessere un fiancheggiamento
allattacco alla democrazia.
Eppure ci sono state delle occasioni importanti, per esempio a Genova, in cui si è vista la possibilità di uninformazione diversa. Centinaia di ragazzi hanno fotografato o ripreso le scene di violenza, una sorta dinformazione autoprodotta. E poi ci sono i mezzi di comunicazione del movimento, lo scambio in internet ormai raggiunge un numero di persone consistente. Tutto questo può costituire unalternativa, una speranza?
Il fatto che tanti ragazzi in
quella occasione avessero le loro piccole telecamere portatili e
abbiano documentato quello che stava succedendo a Genova è
stato fondamentale. Tanto è vero che quando le mie nipoti
vanno a qualche manifestazione io dico loro: Portatevi la
telecamera. Ma il G8 ha avuto una grandissima risonanza che ha
permesso anche la diffusione di alcune di quelle immagini, se una
cosa di pari gravità fosse avvenuta in unaltra
occasione, quelle immagini non avrebbero circolato. E come se
io pubblicassi un libro di poesia stampandolo in una mia tipografia e
poi me lo tenessi a casa.
Il problema non è solo quello
della possibilità di ripresa autonoma di una certa situazione
ma anche quello della sua diffusione. E qui casca lasino. Se la
distribuzione, anche per un libro o un giornale, non è
capillare, se non si raggiunge più gente possibile, allora
diventa inutile. Rimane come un caro diario. Il discorso
vale anche per internet, non tutti ce lhanno. Penso ai miei
paesi del sud, lì è solo unesigua minoranza che
accede a internet. Certo, è un modo futuro di documentazione
del quale ancora non possiamo conoscere gli sviluppi. Internet
consente di mandare le immagini in tutto il mondo, non solo sulle
reti Rai o Mediaset, quindi è un fenomeno importantissimo, ma
credo che oggi il fatto importante sia ancora la limitazione alla
libertà tradizionale dellinformazione.
Nella copertina di un recente numero di Carta abbiamo messo una cartina dellEuropa dove sono indicati tutti i cosiddetti campi di permanenza temporanea per i migranti. Sono molti, forse riescono a rendere lidea di come accogliamo le persone che arrivano da lontano
E unimmagine molto
impressionante. Cè unintera Europa dietro il filo
spinato. Ho sentito uno degli esponenti di "Medici sena
frontiere" che sono andati a visitare questi centri in tutta
Italia. Tre sono stati dichiarati in stato di impossibilità di
sopravvivenza. Uno era a Torino, laltro a Trapani, il terzo non
ricordo. Questi centri, in realtà, temporanei non sono. Le
loro attrezzature vanno in malora in breve tempo perché non
sono neanche state pensate per durare. Cominciano a diventare sempre
più atrocemente simili a dei lager, ne richiamano
sinistramente la memoria.
E tragico doverlo dire, trovo
pazzesca questa forma di irrazionale difesa. E come se sotto al
diluvio universale, quello leggendario, noi avessimo tirato un telo
che ripara dalla pioggia la nostra casa. Dopo di che, attorno a noi
non cè più niente, non cè più
il mondo. Non si può pensare di arrestare con i cavalli di
frisia o con il filo spinato un continente che si sposta. Cè
per caso un geologo in grado di dire: Guardi, io sono in grado
di fermare la deriva dei continenti, da cui vengono i terremoti?
Qui sta avvenendo qualcosa di simile alla deriva dei continenti.
In diverse nazioni cè una guerra continua, cè
la fame, cè limpossibilità di un avvenire,
decine di bambini muoiono di fame o di malattie infettive. La gente
scappa. Scapperei anchio, portato come il papà di Enea
sulle spalle di qualche nipote. Di fronte a questo, non possiamo
chiudere la porta. E allora saranno guai, amari, per tutti. Come
vede, non sto parlando di sentimenti di fratellanza, parlo dal punto
di vista egoistico come uno che di fronte a questo fenomeno si
domanda come riuscire a stare in pace a casa sua. E non sarà
certo blindando la porta.
Lei si definisce un italiano nato in Sicilia . Ma pensa davvero che chi è nato qui debba avere una preferenza nazionale sulle persone nate altrove?
Su quella priorità sono completamente sordo. Per me non si pone proprio come problema. Non lo capisco, mi sfugge. Anzi, una nazione si arricchisce sempre dellapporto di persone che vengono da altri paesi e che forse hanno una spinta interiore maggiore. E vero che noi italiani siamo andati negli Stati Uniti e abbiamo portato Al Capone e altra bella gente, ma abbiamo portato anche persone di ben altro livello. Erano mosse dallambizione, nel senso giusto del termine, quello dellaffermazione di se stesse in una società che le rifiutava.
Anche la storia della Sicilia è piena di esperienze culturalmente mescolate
Amo molto i miei siciliani. Una volta ho avuto uno scatto di orgoglio e ho detto che possediamo una certa dose di intelligenza, furberia, un grado superiore e qui forse divento un po razzista proprio perché siamo bastardi. Siamo come quei cani di strada, abilissimi a sopravvivere in qualsiasi emergenza, mentre un cane con un bellissimo pedigree soccombe. Lincrocio del diverso sangue che cè stato in Sicilia, dai normanni agli arabi, dagli spagnoli ai francesi, ha prodotto una selezione stupenda. Come il lavoro o la produttività, anche il sangue misto è una ricchezza.
Questanno si festeggiano molti anniversari, proviamo a commentarne due. Uno celebrava i dieci anni dalla discesa in campo del Cavaliere, laltro quelli dellinsurrezione zapatista, quando in Messico un gruppo di indigeni ha sorpreso il mondo inventando la prima grande protesta contro quella che oggi si chiama globalizzazione liberista.
Sono due anniversari che si
contrastano. Quello che si è celebrato allEur, non vedo
che importanza abbia. Cè uno pseudo-partito che ha dieci
anni di vita, per me la cosa finisce lì. Che poi ci siano
fenomeni di sacralizzazione del capo, non è una
novità. Sono stato e continuo a essere di pensiero comunista.
Cosa vuole, quando lo vedo comparire, circondato dazzurro con
le mani alzate, io penso di esserci già passato. Per me è
un déja vu. Quando cera Stalin il culto della
personalità arrivava al punto che le persone stramazzavano al
suolo solo nel vederlo passare.
Parlando degli zapatisti, lei ha
detto che linsurrezione si è verificata
inaspettatamente. Devessere vero, allora, che da qualche parte
cè un dio che acceca quelli che vuole perdere, perché
il discorso si ricollega esattamente ai milioni di persone che
attraversano i deserti e i mari per cercare una possibilità di
sopravvivere. Ma non ve ne accorgete? Non vedete quanti sono? Dovete
vederveli comparire davanti allimprovviso come il governo
messicano vide gli zapatisti? E gente che aveva più
niente da perdere ma ritrovava, questo si è importante,
unantica dignità contadina. Sembrano parole retoriche, e
invece hanno un peso materiale enorme.
Sembra un po paradossale, dal punto di vista della storia della nostra sinistra, ma in molte zone del mondo, con la chiusura delle fabbriche e la de-localizzazione della produzione, oggi gli indigeni e i contadini sono sempre tra le prime file di coloro che si oppongono al dominio dei mercati sulle persone. Come mai allinizio del nuovo secolo i contadini sono tornati protagonisti?
Posso rispondere solo per quello
che provo a pelle. In questi primi quattro anni del
secolo cè stato una sorta di crollo dei castelli
di carta, un seguito dei crolli industriali. Forse un
economista potrebbe spiegarlo con poche parole, ma si dà il
caso che le industrie oggi reggano difficilmente proprio sui libri
contabili, sul dare e sullavere. Abbiamo avuto la Enron, in
Italia abbiamo avuto la Parmalat e la Cirio, e chissà cosa
vedremo ancora.
Ricordo che tre o quattro anni fa un grande
economista, Franco Modigliani, disse che in realtà lindustria
americana era truccata per il 70 per cento. Noi abbiamo sempre avuto
questo miraggio dellindustrializzazione globale. La
subalternità del mondo contadino è una cosa che dura da
tempo, è arrivata fino a farlo quasi scomparire. E invece ora
se ne sta riscoprendo la solidità, la solidità della
patata che vai a zappare e che viene fuori da lì, dalla terra.
In alcune società con un stato forte, i contadini sono potuti
andare di pari passo con gli operai. In altre, come nella nostra,
anche la sinistra ha messo loperaio al primo posto, il
contadino veniva dopo. Cera una gerarchia che forse si sta
rovesciando. Questo ritorno è come quando si squarcia un velo
e dietro si scopre che avevamo nascosto un tesoro. Ed un tesoro di
cultura, non un tesoro astratto.
Anche lei dice spesso che ha recuperato un certo linguaggio contadino, è stato così importante?
E stato fondamentale. Per la capacità di immaginazione, di rappresentazione e di espressione.
Generalmente, la nostra capacità di fare qualcosa viene chiamata potere, una parola che però si associa anche allidea di dominio sugli altri. Lei ha indagato a fondo sul concetto e meccanismi del potere, lo testimoniano libri come Il re di Girgenti, ma nella società sta cambiando lidea del potere?
Lei cita Il re di Girgenti, dove cè un fatto storico: un contadino che diventa re, ma lo diventa per elezione dei suoi contadini. Allora il re rappresentava, incarnava, il massimo del potere, oggi non è più così, cè stato uno spostamento di ruoli. Io credo che il potere sia una sorta di blob, intendo proprio quello che spunta nella sigla di Blob, cioè quella massa che non si capisce bene cosa sia ma fuoriesce ovunque, qualcosa di assolutamente indefinibile e di definibile nello stesso tempo. Definibile, nella misura in cui il potere viene regolato dal potere che viene assegnato; indefinibile, perché uno può travalicare benissimo questi limiti di assegnazione e accumulare altri. Ci sono due tipi di potere. Un potere derivato dallassemblaggio in una persona delle deleghe di una quantità di altre persone. Questo è un potere, se vogliamo, anche democratico. E poi cè il potere che dalla delega passa a una sorta di scatto superiore negativo, che è lagire senza delega. Basta un niente perché un potente diventi un tiranno, in senso classico e in senso moderno. Cera un padre della Chiesa che faceva una sottile distinzione quando rispondeva alla domanda se sia lecito uccidere un tiranno, un uomo di potere. La risposta era: quando il tiranno si è imposto a forza su un popolo, è lecito; quando non si è imposto a forza ma diventa tale per mandato del popolo, allora non è lecito. Dico questo anche per tranquillizzare Fedele Confalonieri, che teme, alla fine del mandato di Berlusconi, una nuova piazzale Loreto. Nessuno ha lautorizzazione a uccidere qualcuno che sia stato regolarmente eletto, anche se si trasforma in un tiranno.
Veniamo a una seconda parola chiave: democrazia. Dopo luscita del libro in cui affronta il tema degli abusi commessi a Genova rimase colpito dallaffermazione di un poliziotto, ce la racconta?
In quel libro, Il giro di
boa, lultimo di Montalbano, il commissario entra in crisi
per i fatti del G8. non tanto per il comportamento della polizia, che
pure lo mette molto a disagio, ma in uno scontro cè
sempre la possibilità di ricevere e di dare una manganellata
in più. Se uno, da poliziotto, si vuole proprio trovare una
giustificazione, la trova. Quello che più mette a disagio
Montalbano accade dopo la manifestazione. Quello che lo irrita, lo
indigna, lo fa pensare alle dimissioni è quel che avviene alla
Diaz, a freddo. Lì è più difficile. Quel libro
ha suscitato una quantità di reazioni, a favore e contro. Cè
stato anche chi mi ha detto: Lei non ha nessun diritto di
mettere in bocca a Montalbano le sue idee politiche, è
unaffermazione bellissima, se fatta allautore, perché
significa che Montalbano non è più suo, incarna
qualcosa di generale. Sui siti dove si potevano scambiare queste
opinioni cè stato anche chi ha detto: Scusate, ma
cosa credete di aver letto fino a questo momento, un romanzo
giallo?. E aveva ragione anche lui.
Naturalmente, era
impossibile, per un personaggio concepito come Montalbano, non
reagire di fronte a quei fatti. Così, cè stata
una bellissima riunione, al Piccolo Eliseo, con il sindacato di
polizia. La sala era gremita, cera anche Cofferati, che, se non
ricordo male, in quel momento era già fuori dal sindacato. A
un certo punto, il segretario del sindacato di polizia ha detto una
frase che mi ha colpito veramente: Non si può creare un
corpo di polizia e impiegarlo in certe azioni senza dirgli che siamo
un corpo democratico e che perciò deve agire in un certo modo.
Perché occorre una quotidiana manutenzione della democrazia.
Mi è piaciuta moltissimo perché una frase vera. Se la
si ama veramente, la democrazia, bisogna pulirla perché non
arrugginisca, bisogna accudirla ogni giorno, magari portando un
fiore, un pensiero, come si fa con una persona amata.
Lultima delle parole chiave che vorrei sottoporle è una parola che non usa quasi più nessuno: rivoluzione.
Per prima cosa vorrei dire che è
una parola di cui non bisogna avere paura. I tempi e i sistemi
cambiano. Noi la associamo, per un fatto culturale, alla rivoluzione
francese, a quella del 1917, ma anche a unidea di morte, di
sangue, di distruzione. Eppure, quando parliamo di rivoluzione
copernicana, non evochiamo nulla di sanguinoso.
Rivoluzione non è
una parola che deve necessariamente evocare la ghigliottina e robe
simili. La rivoluzione è visibile e invisibile. Quella
visibile è la gente che scende nelle piazze. Ma quante
rivoluzioni, per esempio nel costume odierno, noi non le chiamiamo
così anche se lo sono? Io credo che la rivoluzione debba
essere permanente, continua
Ha avuto modo di leggere o ascoltare qualcosa sul forum sociale di Mumbai? Si aspettavano 50 mila persone, ce nerano 500 mila
Ho visto poche immagini in televisione, ma avvengono sempre così, queste piccole sorprese. Ricordo un economista di destra da Maurizio Costanzo, sei giorni prima del G8. gli dissero: Guardi che lì può essere un momento duro. E lui rispose: Ma che vuole che facciano, quattro ragazzotti dei centri sociali?. E a Genova finì come finì. Cè sempre questa sorpresa, non se laspettano.
Intervista di Marco Calabria Carta 4/10.03/2004
Il video dell'intervista è disponibile su: http://www.arcoiris.tv
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