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Camilleri: è stato il Papa Uomo che ha saputo capire i media e la sofferenza |
Di Andrea Camilleri
tutto si può dire tranne che sia religioso.
Ma oggi,
parlando con lo scrittore di Porte Empedocle di questo grande Papa
morto, scopriremo che non l'ha mai perduto di vista, ne ha
costantemente valutato parole e gesti, lo ha considerato un punto
fermo insostituibile per decifrare il tempo del caos nel quale siamo
immersi, e che giudica il messaggio del suo pontificato
incommensurabilmente superiore a quello dei cosiddetti Grandi della
Terra, tutti modestamente politici in un mondo in cui la politica si
è spaventosamente rimpicciolita.
Con questo Papa, infatti, la religione ha finito con l'occupare sterminati spazi lasciati vuoti proprio dalla politica. Altro che «religione oppio dei popoli». Altro che rassicurazioni escatologiche sul Paradiso che verrà. Altro che il gesto pilatesco di vedere la sofferenza terrena e lavarsene le mani. Questo Papa, per ventisette anni, ha dato del tu a tre miliardi di uomini, e sembrava che li conoscesse tutti per nome.
Andrea, perché il mondo non riesce a staccarsi da questo Papa?
Perché lui non si è mai staccato dal mondo. È stato, fra i tanti pontefici che io ho visto avendo ottant'anni, quello che più concretamente si è dato da fare per il mondo, per gli uomini. Certo che ha sempre tenuto alta la sua bandiera di cristiano, però non ha mai selezionato fra le varie fedi chi potevano essere i preferiti o meno. Semmai gli fosse arrivata all'orecchio la proposta di certi politici italiani, o anche di qualche porporato: "accettiamo gli immigrati solo se sono di fede cattolica", immagino la faccia che avrà fatto. È stato il Papa veramente di tutti. E per esserlo non si è mai risparmiato fisicamente. Basta vedere la quantità enorme di viaggi che ha compiuto. Voleva conoscere in prima persona la gente, i luoghi, i problemi della gente e i problemi del mondo.
Navarro Valls, il «professionista» abituato a dire tutto e a non nascondere nulla, che piange in diretta. Che impressione ti ha fatto?
Mi avrebbe fatto impressione non vederlo commuovere. Non puoi vivere per ventisette anni a contatto diretto con un personalità di questo tipo e non commuoverti nel momento in cui senti che se ne sta andando. A Navarro Valls non ho mai sentito fare un commento personale. Però, in questo momento, l'uomo ha prevalso su quello che era il corretto e diplomatico informatore.
Ieri mattina, un musicista del teatro Massimo di Palermo oggi in pensione, il maestro Salvatore Bottino, mi ha detto: Giovanni XXIII lo chiamarono il Papa buono. Questo come lo chiameranno? Dovrebbero chiamarlo il Papa Magno. Tu come lo definiresti?
Il Papa Uomo. E posso dirlo soprattutto degli ultimi tempi, quando non ha esitato a mostrare la decadenza fisica, la malattia che lo colpiva dando coraggio a tutti i malati i sofferenti, dandoci il coraggio per il passo ultimo. Non ha voluto che la sua decadenza fisica fosse circonfusa di mistero. Mi tornava in mente una frase di Merleau-Ponty che diceva: l'eroe dei contemporanei è l'uomo. L'uomo che sa che può vincere o perdere, che sa che il suo destino, in terra, è segnato. Il destino dell'uomo è la malattia e la morte. E questo Papa questo ci ha mostrato.
È stato un Papa che ha parlato alle tante solitudini infinite di questo pianeta ha scritto Furio Colombo sull'Unità: Lui parla alle tanti solitudini di un mondo che, nel tempo di un certo benessere, ha creato solitudini infinite, abbandoni senza recupero, isolamenti profondi in cui sei vagabondo pur avendo una casa, sei un senza patria con il tuo passaporto, sei inutile agli altri mentre gli altri sono inutili a te. Condividi?
Condivido perfettamente tutto il bellissimo articolo dal quale hai tratto questa frase. Quelle tante solitudini facevano quelle sterminate moltitudini che lui incontrava in ogni angolo del mondo.
Ma c'è un altro giudizio, quello di Bernardo Valli di Repubblica, che ci sembra altrettanto condivisibile: nella dottrina era terribilmente conservatore Il rifiuto del controllo delle nascite contrastava, ad esempio, con altre posizioni che si potevano definire progressiste". Che ne pensi?
È vero anche questo. Però credo che il prezzo da pagare per avere posizioni estremamente progressiste in alcuni campi, fosse proprio la più stretta ortodossia. Credo che sia un atteggiamento che si verifica spesso nel campo politico: bisogna che il trampolino di lancio sia assolutamente solido per darti la spinta necessaria. In una posizione delicata, in una posizione in cui esistono tradizioni consolidate da secoli, l'apertura, per esempio, verso altre religioni, verso altre fedi, era possibile solo mantenendo salda e unita la base che reggeva questo pontificato. Qualsiasi incrinatura, qualsiasi dissenso o discostarsi da certe tradizioni, lo avrebbe indebolito per la sua opera di progressista in alcuni campi.
In quali campi questo Papa è stato veramente progressista?
Il primo che mi viene in mente: vorrei sapere per qualche Papa si è pregato in una moschea, si è pregato in una sinagoga, si è pregato nelle chiese di tanti altri culti. Ricordo benissimo la grande emozione di Toaff quando parlava della visita del Papa in sinagoga. Quel gesto interrompeva millenni di isolamenti e di incomunicabilità.
Il Papa com'è riuscito a rendere quasi invisibile questa frattura - che c'è e rimane - fra "ortodossia" e "progressismo"?
Perché è stato un uomo che ha capito l'importanza dei media. Su questa strada ha potuto rendere palese a tutto il mondo quello che faceva per il mondo. E sempre su questa strada non ha reso palese la sua politica di mantenimento dello status quo. Ha detto delle cose. Ma non ha insistito: come se volesse ribadirle una volta sola. I cattolici osservanti lui non aveva da convincerli sull'ortodossia, semmai aveva da convincere i non cattolici e gli stessi cattolici su altre questioni che gli stavano a cuore.
Veniamo al suo rapporto con la politica. La prima picconata al muro di Berlino venne da lui, polacco cresciuto nel mondo dell'Est. Potremmo definirlo il grande mandante, spirituale e morale, della caduta del comunismo nel mondo? O più semplicemente ne accelerò l'agonia?
Credo che ne abbia accelerato l'agonia. Credo che il comunismo, nei termini in cui lo abbiamo letto, anche perché noi italiani ne siamo stati felicemente fuori pur essendo molti di noi comunisti, era destinato a una implosione. Come quando si vedono crollare su se stessi i grattacieli americani precedentemente minati. Lui ha accelerato, questo sì, il corso della storia. E del comunismo, che resta un fenomeno storico senza precedenti, è stato veramente un degno e fiero avversario. Un avversario vittorioso.
Ma l'aggressione americana all'Iraq non riuscì a fermarla. E dire che non risparmiò in quei giorni né parole, né moniti. E mostrò anche il volto dell'ira.
E questo fa parte della sua vicenda di uomo. Dicevo che questo eroe contemporaneo che è l'uomo conosce la vittoria e la sconfitta. Lui ha vinto sul comunismo. È stato sconfitto dal proliferare delle guerre. Ciò però non lo ha smosso di un millimetro su quella che era la sua opinione. E la sua sconfitta, in questo caso specifico, è stata la sconfitta di moltissimi uomini nel mondo.
E vogliamo dirlo che anche che il capitalismo non gli era mai piaciuto?
C'erano altri Papi, prima di lui, ai quali il capitalismo proprio non andava giù. Mi torna a mente Papa Luciani, che si espresse pubblicamente e lucidamente sul capitalismo. E anche Papa Wojtyla lo ha detto, ripetuto, scritto diverse volte. La domanda di fondo, infatti, resta: può un vero cristiano amare il capitalismo? Perché se è vero che da un lato è stato possibile quantificare le vittime del comunismo, le vittime del capitalismo, invece non vengono quantificate da nessuno. E lui, anche questo, lo sapeva benissimo.
Che idea ti sei fatto in questi anni della matrice dell'attentato in Piazza San Pietro?
Nessuna idea. Per quanto possa apparire strano, visto che scrivo romanzi gialli, spesso di fronte a certi fatti di cronaca non vado oltre la semplice lettura dei giornali o l'ascolto della tv. Penso che le cose in questi casi, soprattutto nel caso di un attentato al Papa, siano assai più complesse e appiccicose di quanto possano apparire. Mi è capitato di sentire le dichiarazioni di Ali Agca il quale, ogni volta, smentisce le sue dichiarazioni precedenti, altre volte tira in ballo personaggi che non c'entrano per niente, e addirittura si è spinto a dire che ebbe complici in Vaticano. Voglio fare una malignità: questi "complici del Vaticano" si andavano a fidare di uno come Ali Agca? Semmai sono esistiti, li immagino molto più intelligenti.
Un laico come te, che lezione può trarre da un Papa come lui?
Le lezioni si traggono da chiunque. Si traggono anche, e soprattutto, da chi è preposto a compiti che riguardano tutto il mondo intero. Quando un uomo che ha dimostrato di avere questo livello sa mantenere quest'impegno di responsabilità, questa è già una lezione enorme. Noi oggi vediamo tanti uomini che hanno responsabilità mondiali, mancare assai spesso ai loro impegni. Questo Papa ha fatto impallidire l'immagine di questi uomini.
Intervista di Saverio Lodato L'UNITA' 03/04/2005
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