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'A voce e Napule contro il Cavaliere |
A Napoli sta scoppiando un Quarantotto. La città è indignata, offesa, arrabbiata. La notizia della prossima uscita del cd di canzoni napoletane scritte da Silvio Berlusconi e musicate dall'ex posteggiatore Mariano Apicella, ha fatto perdere il sonno a musicanti, cantanti e sciantose. Il popolo della melodia sta preparando proteste e azioni eclatanti che demoliranno la prima fatica musicale del Cavaliere. Abbiano raccolto le confidenze di un anziano abitante di Napoli, Felice Sciosciammocca, un arzillo settantenne che vive alla Sanità, uno dei quartieri storici di Napoli. Attentissimo osservatore degli umori della sua città, il nostro interlocutore è lontanissimo parente di don Felice, una delle maschere più note del teatro napoletano. Le sue rivelazioni, ne siamo certi, faranno tremare l'entourage di Berlusconi. Quello che segue è il racconto di don Felice. Cavaliè (Presidente Berlusconi, mi permetto di rivolgermi a Lei in tono amichevole e col Voi come si usa dalle nostre parti), ma chi ve lo fatto fare di imbarcarvi in questa nuova avventura? Voi che siete già Presidente-Ministro degli Esteri, Presidente-Operaio, Presidente-tecnico calcistico, Presidente- papà degli italiani, voi che avete tantissimi impegni e faticate tanto (che fatica deve essere stata quella di sopportare Fede anche in vacanza), ora anche il Presidente-autore vi mettete a fare? E volete cantare in napoletano, per giunta. Io ricordo che voi avete già cantato una volta nella nostra lingua. Vi siete esibito nel ritornello de 'O surdato nnammurato e vi è andata male. Malissimo. Era il 24 maggio di due anni fa e voi, Cavalié, avevate già conquistato l'Italia. Quel giorno volevate pigliarvi pure Napoli. I comunisti come vi piace chiamare tutti quelli che non la pensano come voi avevano candidato Rosetta Iervolino contro Antonio Martusciello, vostro pupillo. Ricordo che portaste a Piazza Plebiscito 15mila persone da tutto il Sud. C'erano palloni colorati, la musica, finanche i tricche tracche ( i fuochi d'artificio) e sul palco Fini, Casini e Buttiglione. A Umberto Bossi consigliaste di restare a casa, ché alla Sanità, al Pallonetto e a Secondigliano proprio non lo possono soffrire. Cavalié voi mi metteste a fare battute sulla voce stridula di Rosetta come un vecchio macchiettista del Salone Margherita l'antico cabaret di Napoli che è lì a due passi. Poi vi metteste a cantare: oi vita, oi vita mia.... Eravate pure stonato. Una pena. Ricordo la faccia di Buttiglione (che è filosofo ma proprio non ce la fece a prendere con filosofia quella vostra sceneggiata), Casini (che allargava le braccia e pareva dire che s'adda fa per un posto di Presidente della Camera) e Fini, nero più del solito. Il giorno dopo i comunisti andarono in massa in quella stessa piazza, c'era la Iervolino e Totonno Bassolino e tanti musicanti. James Senese e il suo blues napoletano, i Ciento Tammore, che fecero ballare tutta la piazza, e Rino Zurzolo che col sassofono fece Pallummella zompa e vola e la piazza impazzì. Poi i musici si fermarono e una ragazza alta, i capelli neri e ricci, cominciò a cantare Jesce sole...nun te fa cchiù suspirà...siente mai ca li ffigliole hanno tanto da prià. Cavalié voi cantaste e i napoletani si incazzarono e vi fecero perdere le elezioni. E adesso vi mettete a fare pure le canzoni napoletane. E' troppo. Io so che a Napoli si stanno organizzando per protestare. Niente di violento, per carità. Ma sfottò, sberleffi, ironia. Cavalié colpiranno la cosa che vi sta più a cuore subito dopo i soldi, si intende- : la vostra immagine. Musicanti di oggi coi capelli a melone e i tatuaggi, vecchi cantanti di giacchetta, impresari della galleria, sciantose avanti con gli anni, pazzarielli, neomelodici che fanno i matrimoni e le feste di piazza, macchiettisti e compagnia bella (tutti comunisti, Cavalié) si sono riuniti e tramano contro di voi. Quando hanno sentito Mariano Apicella l'altra sera al telegiornale di Emilio Fede accennare appena alla canzone che ha composto insieme a voi in Sardegna (titolo A gelusia, musica di Apicella, versi di Silvio Berlusconi), si sono incazzati davvero. Ma che è sta schifezza , dicevano in coro. I più maligni, poi, hanno fatto una scoperta davvero interessante. Scavando negli archivi de La Canzonetta (antichissima casa editrice musicale della città) hanno trovato tre canzoni (tre Cavalié!) che portano lo stesso titolo: 'Gelusia. Una è del 1925 ed è stata scritta e musicata da Furno e Nardella, un'altra ' del '39 ed è di Manlio-Alfieri. L'ultima, poi, è bellissima ed è stata scritta da Letico-Ciaravolo. Cavalié che versi. E' la storia di un innamorato abbandonato dalla sua bella, alla quale chiede una sola grazia: mettergli un sonnifero nel vino (damme nu poco 'adduobecco ca nun me fa scetà fino a dimane...), per farlo dormire e sognare. Cosa? Ma la sua bella, ovviamente. E mentre sto durmenno a suonno chino, mme sonno 'te vasà sti belli mmane. Tradimento e passione, Cavalié. Poesia. Roba seria, da far impallidire, con tutto il rispetto, i verso vostri. Te chiamme e nun rispunne. Te cerco e nun ce staje. Ma che è? Era occupato 'o telefono?. Ma torniamo alla riunione dei sediziosi. All'improvviso si è alzato uno il più cattivo, certamente mandato da Bassolino e ha cominciato a cantare una vecchia canzone. !Questa ha detto agitando il mandolino tra gli applausi e le voci di approvazione la dedichiamo a Berlusconi, Previti, Dell'Utri e a tutti i loro avvocati. Era una vecchia melodia di P. Vento e di E.A. Mario. Titolo, Cavalié scusate l'espressione, 'A legge. Tu, giudice, mm'accuse e me cundanne...ma tu accussì nun rappresiente 'a legge. Gente cchiù peggio ll'he mannata a libertà...Pensace tu.... Quando vogliono, Cavalié, i napoletani so cattivi. Ma di quella cattiveria che pure quando esplode non è mai animata dal rancore. Diciamo che è una cattiveria che ama esprimersi con una ironia ferocissima, tanto da demolire la persona che si prende di mira. E poi li dovete capire i napoletani, quelli sono orgogliosi delle loro canzoni, la più grande ed inesauribile ricchezza della città. Qui tutti hanno scritto canzoni e tutti sanno essere poeti. Cavalié vi faccio due esempi lontanissimi tra di loro. Don Salvatore Di Giacomo (1860-1934) fu poeta grandissimo, ma era antipatico assai, uggioso, irascibile, ncazzuso e ntussecuso. Insomma, per capirci, era così permaloso e pieno di sé che Ferdinando Russo, altro grandissimo poeta partenopeo, lo dipingeva così parlando con un amico: Salvatore è fatto accussì: ca pure quanno pisciasse tu diciarisse ca sta cuglienno na rosa... . Eppure Di Giacomo amava la sua gente, il popolo di Napoli, ne conosceva le sofferenze e le cantava con un lirismo da far venire le lacrime agli occhi. Questa, Cavalié è una canzone della fine dell'Ottocento, s'intitola 'A Nuvena, e parla della nascita di Gesù e di uno zampognaro che partì da un paesino della Campania per un posto lontano lasciando la moglie incinta (Nu zampognaro 'nu paese 'e fora, lassaje quase 'nfiglianza la mugliera...). Ad un certo punto allo zampognaro capitò di assistere alla nascita del Bambinello (Cuccato 'ncopp a piglia, 'o Bammeniello, senza manco 'a miseria 'e na cuperta, durmeva, 'mmiez'a vacca e o ciucciariello, cu ll'uocchie 'nchiuse e cu 'a vucchella aperta...). E cominciò a pregare, Cavalié, come sa pregare la povera gente che sempre spera nel miracolo di una vita meno grama (Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo, e nuje pigliammo 'guaje cchiù alleramente...Tasse, case cadute, freddo e gelo, figlie a zeffunno, e pure non fa niente...). Era una nenia semplice, ma che poesia. Voi, Cavalié, direte e che c'entra?, quello era Salvatore Di Giacomo, poeta massimo. E vi sbagliate, perché anche nelle canzoni napoletane ritenute, a torto, di serie b, voi potete cogliere pezzi di poesia inimmaginabili in altre parti d'Italia. Ciucculatina d'a Ferrovia è una canzone che Nino D'Angelo scrisse all'inizio degli anno Ottanta con Venosa e Narretti. Caschetto biondo e cantante del Bronx napoletano, Nino (che non era ancora diventato cantante cult) raccontava la storia di Ciucculatina, venditrice di Marlboro 'e cuntrabbando con banchetto alla Ferrovia. Una ragazzina scugnizza e santarella, nata per caso, frutto e nu sbaglio e lietto. Cavalié pure questa è poesia. Riflettete. Di Giacomo (poeta) per raccontare lo zampognaro che lascia la moglie quasi partoriente usa l'espressione quasi 'nfiglianza, D'Angelo (scugnizzo di periferia senza arte né parte e senza studi) per raccontare la sua scugnizza nata per caso dice frutto e nu sbaglio 'e lietto, un errore di letto. Ma a chi potevano venire in mente queste espressioni se non ad un popolo che ha nel sangue, nel Dna, nella sua cultura più profonda, la poesia? E voi, Cavalié, dove vi volete presentare con i vostri versi. Quelli quando sentiranno Pe nun te pensà (si brava a fa suffrì e io resto accussì, sperduto e senza e te) si metteranno a ridere e vi sbatteranno in faccia le loro canzoni a raffica. Ma non è finita, quelli sono incazzati e nella riunione hanno preparato una protesta calmorosa assai. Verranno sotto la vostra villa ad Arcore e faranno come suggerì Eduardo De Filippo venditore di saggezza in quella scena de L'oro di Napoli ai condomini sfruttati dal ricco barone proprietario del palazzo.. quello gli toglieva lo spazio, l'aria e finanche la poesia del vivere. E loro volevano vendicarsi. Come' Con un pernacchio, che è la variante nobile e affatto volgare della pernacchia. Un pernacchio che nel film doveva essere prodotto dopo che tutti quegli sfortunati, in coro, avessero pronunciato il nome e i titoli del barone, e che doveva comunicare un messaggio preciso ed inequivocabile: Barone tu si 'a schifezza, da schifezza, da schifezza e ll'uommene. Così, in segno di massimo disprezzo. Cavalié quelli lo hanno detto e lo faranno. Quindi un consiglio: lasciate stare il cd, quelle vostre canzoni napoletane cantatevele a casa, tra gli amici più cari Dell'Utri, fede, Previti. A Napoli non è cosa. Enzo Fierro L'UNITA' 18/08/2002 |
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