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BIOGRAFIA |
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---|---|---|
TOTO' |
LA
VITA
Totó
nasce il 15 febbraio 1898 nel rione Sanità come Antonio
Clemente; sua madre, Anna Clemente, nel 1921 sposa il marchese
Giuseppe de Curtis, dalla cui relazione era nato Antonio;
nel
1928 il de Curtis riconosce Antonio come suo figlio;
nel 1933 il
marchese Antonio de Curtis viene adottato dal marchese Francesco
Maria Gagliardi Focas,
e nel 1946 il tribunale di Napoli gli
riconosce il diritto a fregiarsi dei nomi e dei titoli di:
Antonio
Griffo Focas Flavio Dicas Commeno Porfirogenito Gagliardi De Curtis
di Bisanzio, Altezza Imperiale, Conte Palatino, Cavaliere del Sacro
Romano Impero, Esarca di Ravenna, Duca di Macedonia e di Illiria,
Principe di Costantinopoli, di Cicilia, di Tessaglia, di Ponte di
Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, Conte di Cipro e di Epiro,
Conte e Duca di Drivasto e Durazzo.
L'INFANZIA E LA GIOVINEZZA
Totó
vede la luce alle ore 7,30 antimeridiane del 15 febbraio 1898 al
secondo piano del numero civico 109 in via Santa Maria Antesaecula
nel rione Sanità. Sua madre Anna Clemente lo registra
all'anagrafe come Antonio Clemente, e solo più tardi - nel
1921 - sposa il marchese Giuseppe De Curtis che successivamente
riconosce Antonio come suo figlio naturale. Nel 1933 il marchese
Francesco Maria Gagliardi Focas adotta Antonio trasmettendogli i suoi
titoli gentilizi.
All'educazione del piccolo Antonio provvede
essenzialmente la madre ed è lei a dargli il nomignolo di
Totó.
Dopo le elementari Totó accede al ginnasio ed
è qui che un precettore, mentre scherza a fare la boxe con i
suoi allievi, lo colpisce involontariamente al viso, provocandogli
un'emoraggia e in seguito l'atrofia della parte sinistra del naso.
Questo fatto determinerà il manifestarsi di un dislivello di
un centimetro fra i due lati del volto, tipico dell'espressione di
Totó.
Antonio non termina gli studi e all'età di 14
anni va a fare l'aiutante di mastro Alfonso, pittore di
appartamenti.
In questo periodo Totó si diverte durante le
feste fra amici - le cosidette "periodiche" - ad
imitare il fantasista Gustavo De Marco, molto noto nella Napoli del
tempo.
Il passaggio dai poveri salotti di quartiere agli
scalcinati teatrini della zona della ferrovia è quasi
automatico; ma questa sua passione per la recitazione non è
vista di buon grado dalla madre ed è così che Totó
- all'età di 16 anni ed in un impeto di ribellione - decide di
arruolarsi nell'esercito.
Ed è proprio durante il periodo
della naja che Antonio, dovendo subire quotidianamente le
angherie di un caporale ignorante e pretestuoso che lo costringe ai
compiti più umili, inventa il suo motto più celebre:
"siamo uomini o caporali?". Terminata la guerra,
Totó torna a Napoli.
PRIMI SUCCESSI
Ritornato
a Napoli, Totó comincia a recitare in piccoli teatri col suo
solito repertorio di imitazioni delle macchiette di Gustavo De Marco.
Ma il pubblico sembra non gradire. Tenta allora di cambiare genere
scrivendo e recitando "Vicoli", una parodia della
canzone "Vipera" di E.A. Mario.
Nel 1919 lo
troviamo a recitare alla "Sala Napoli", poi al più
celebre "Trianon". Nel 1922 è vittima di un
clamoroso fiasco al teatro "Della Valle" di Aversa
dove è impegnato sempre col suo repertorio di macchiette del
De Marco. Questo fatto lo convince a lasciare Napoli e a partire per
Roma.
Qui chiede inutilmente di recitare in vari teatri, finchè
ottiene una scrittura al "Teatro Jovinelli" dove
riscuote molti consensi. Arrivano così i primi soldi e,
finalmente, il suo nome compare sulle locandine. Grazie al suo amico
barbiere Pasqualino, riesce ad essere scritturato al "Teatro
Umberto", un locale escusivo e poco accessibile ai
debuttanti. La strada del successo è ormai spianata: recita al
"Trianon" di Napoli, al "San Martino"
di Milano e al "Maffei" di Torino. È ormai
conosciuto in tutta Italia.
Nel 1926 decide di cambiare genere e
passa alla rivista con la compagnia di Achille Maresca recitando in
"Madame Follia" e "Mille e una donna".
È il 1927 quando Totó si esibsce all' "Eden":
ottiene un successo formidabile. Dopo numerose altre esibizioni nei
vari teatri dell'Italia settentrionale, Totó ritorna a Napoli
nel settembre del 1929 con la compagnia "Molinari"
per debuttare con "Messalina" al Teatro Nuovo:
è un autentico trionfo. Di questa compagnia fa parte anche
Titina De Filippo. A "Messalina" seguono "I
tre moschettieri", "Bacco Tabacco e Venere",
"Santarellina", "'O balcone 'e Rusinella",
"Amore e Cinema".
Le donne impazziscono per lui e
agli inizi del 1930 Totó è protagonista di una tragica
vicenda d'amore che si concluderà con il suicidio di una
giovane e bellissima donna, Liliana Castagnola. È in onore
della chanteuse suicida che battezzerà Liliana la figlia che
nel 1934 nascerà dal suo matrimonio con Diana Rogliani Serena
di Santa Croce.
L'AVANSPETTACOLO
Tra
il 1932 e il 1933 prende piede in Italia il cosiddetto
"avanspettacolo", una forma di rappresentazione
teatrale "povera", che si avvale di compagnie
dall'organico ridotto che tengono - di norma - due spettacoli al
giorno, della durata di circa 45 minuti ciascuno. I copioni sono
spesso improvvisati, con battute pesanti e grevi doppi sensi; i
costumi e le scenografie di poco prezzo. Il tutto avviene in piccoli
teatri dove si proiettano i film di terza visione.
Totó
diviene impresario e finanziatore di una propria compagnia teatrale e
tra il 1933 e il 1940 porta in giro per l'Italia numerosi spettacoli.
Gli inizi non sono esaltanti e anzi come capo-comico spesso gli
accade di guadagnare meno degli attori da lui ingaggiati.
Nel 1937
quando l'"avanspettacolo" vive il suo periodo d'oro,
la situazione economica di Totó pare finalmente migliorare. Le
macchiette mimiche de "Il pazzo", "Il
chirurgo", "Il manichino", sono molto
apprezzate dal pubblico. Ma proprio quando inizia a rifarsi delle
passate perdite, nel 1940, a causa del progressivo decadimento di
questa forma di spettacolo, Totó è costretto a
sciogliere la compagnia. E questo fatto - comprensibilmente - lo fa
arrabbiare da morire...
LE GRANDI RIVISTE
Nel
periodo di Natale del 1940 al teatro "Quattro fontane"
di Roma viene messa in scena la rivista "Quando meno te
l'aspetti", che segna l'inizio della collaborazione tra Totó
e Michele Galdieri; lo spettacolo riscuote successi notevolissimi e
viene rappresentato in tutta Italia fino al giugno del 1941. Con Totó
c'è Anna Magnani, nel ruolo di prima donna, e Mario
Castellani, che sarà dal quel momento in poi la spalla sia
teatrale che cinematografica di Totó.
La seconda rivista,
"Volumineide", scritta sempre da Galdieri, è
voluta dall'impresario dei favolosi "spettacoli errepi",
Remigio Paone, e inizia il suo giro da Ferrara il 20 febbraio 1942.
Ad essa segue "Orlando Curioso", che va in scena
nell'inverno del 1942. Fatto singolare di questa rivista è
che, sebbene vi siano continui sbeffeggiamenti contro censura di
regime, ... non venne da questa mai censurata! Prima donna è
Clalia Matania.
La Magnani torna a lavorare con Totó in
"Che ti sei messo in testa?", che va in scena al
"Valle" di Roma nel dicembre del 1943. Il titolo
originale della rivista doveva essere "Che si sono messi in
testa?", ma la censura dell'epoca lo fa subito cambiare in
"Che ti sei messo in testa?" perchè nel primo
titolo si potevano troppo facilmente intravedere allusioni alla
pretesa nazifascista di tenere soggiocati interi popoli e di
conquistare il dominio sul mondo. Una sera in cui si sparge la voce
dell'attentato ad Hitler, Totó - che da sempre è
abituato ad adattare il copione all'attualità del giorno - si
presenta improvvisamente in scena con baffetti e ciuffo, tutto
incerottato e fasciato, e, attraversando il palcoscenico nel bel
mezzo di un numero che tratta di tutt'altro, zoppicando scompare tra
l'ilarità generale. Quella sera stessa un colonello tedesco,
suo amico e ammiratore, lo avverte che il mattino seguente avrebbero
arrestato sia lui che i fratelli De Filippo, resisi anche loro
colpevoli di aver preso in giro i nazi-fascisti. Dopo aver avvertito
Peppino, Totó scappa a Valmontone.
In seguito alla
liberazione, Totó e Galdieri riprendono l'attività con
"Con un palmo di naso" in cui Totó finalmente
può mettersi "ufficialmente" nei panni di
Mussolini e di Hitler e dare sfogo a tutta la sua vis comica
così a lungo repressa. Nel 1946 ha anche una breve parentesi
all'estero: si reca a Barcellona per recitare "Entre dos
lucos" e, manco a dirlo, è un successone tanto che
gli arrivano proposte di lavoro anche dal Messico. Avendo però
troppa paura dei lunghi viaggi, Totó preferisce rinunciare
alla tournee americana e fa ritorno in Italia dove porterà al
successo numerosi altri spettacoli.
I PRIMI FILM
A
volte succede che un incontro casuale possa decidere del futuro di
una persona. Totó è in un ristorante di Roma in
compagnia di amici, quando si accorge di un uomo che lo fissa
ostinatamente: è Gustavo Lombardo che - dopo qualche
convenevole - gli propone subito di interpretare un film. Al termine
del pranzo, Totó firma il suo primo contratto cinematografico
per "Fermo con le mani".
La pellicola non ha un
successo eclatante, ma serve comunque a far conoscere l'attore ad un
pubblico per lui del tutto nuovo.
È il 1937 e fino al 1967
Totó interpreterà 97 film visti da circa 270 milioni di
persone, un record che non ha eguali nella storia del cinema
italiano.
Ma il film che gli dà veramente il successo è
"San Giovanni decollato", tratto dall'omonima
commedia del siciliano Nino Martoglio. Questo film giova a Totó
non tanto per il lancio pubblicitario che gli procura, ma soprattutto
perché lo sceneggiatore, Cesare Zavattini, è un
intellettuale molto noto che diventerà poi collaboratore di
Vittorio De Sica.
Per questo film Totó viene osannato da
quegli stessi critici che, anni dopo, lo stroncheranno spietatamente;
commentando questo contrasto il principe osserverà con
amarezza: "Forse mi sono guastato col crescere!".
Giuseppe
Isani, su "Cinema" il 25 gennaio 1941, scrive:
"Se
c'è un attore che in Italia è tutto visivo, che
potrebbe raggiungere i suoi effetti senza muovere le labbra, questo è
Totó, presentando unicamente se stesso in quella specie di
trance comica che lo invade quando è Totó. Palermi ha
fatto un buon lavoro dirigendo questo "San Giovanni
decollato", ma non tutto il lavoro che avrebbe meritato
Totó".
Un altro critico, su "L'Espresso"
il 13 maggio 1956, scrive a proposito del film "Totó
lascia o raddoppia?":
"[..] non una battuta
studiata, solo un arruffato e gratuito canovaccio dove Totó è
lasciato libero di dar fondo al più sciocco repertorio di
giochi di parole".
LILIANA CASTAGNOLA
Liliana
Castagnola (vero nome Eugenia Castagnola) nasce a Genova l'11 marzo
1895 e inizia prestissimo una fortunata carriera di chanteuse girando
tutta l'Europa. Le cronache di quel tempo la vedono sempre
accompagnata a rampolli di case regnanti, uomini politici, magnati
dell'industria. La sua è una vita burrascosa. Viene espulsa
dalla Francia perché a Marsiglia costringe 2 marinai a
battersi in duello per lei: uno dei due uomini rimane ucciso. A
Montecatini è gravemente ferita dal suo amante geloso che dopo
averle sparato due colpi di pistola si toglie la vita. Dilapida il
patrimonio di un principe veneto, letteralmente impazzito per lei,
causandone poi l'interdizione da parte della famiglia.
Nel 1929
giunge a Napoli per lavorare al "Teatro Santa Lucia"
e la sera del 12 dicembre si reca da spettatrice al "Teatro
Nuovo" per assistere ad una rappresentazione di Totó.
Il principe nota immediatamente la sua presenza e il mattino dopo le
manda un fascio di fiori accompagnato da un biglietto: "È
col profumo di queste rose che vi esprimo tutta la mia
ammirazione".
Nei giorni successivi seguono altri fiori,
lettere, telefonate e quindi il primo appuntamento. Il loro amore è
travolgente e la donna che aveva avuto ai suoi piedi gli uomini più
ricchi d'Europa si dà completamente al giovane attore
napoletano. Ma la loro relazione fin dall'inizio è
caratterizzata da contrattempi e avversità. Come se non
bastasse Totó continua inoltre a ricevere telefonate e
biglietti anonimi che lo mettono in guardia da quella donna dal
carattere strano.
Liliana, pur di restare a Napoli accanto a Totó,
cerca di farsi scritturare al "Teatro Nuovo", ma il
principe - forse preoccupato dalla relazione con quella donna troppo
possessiva e opprimente - decide a sorpresa di accettare un contratto
con la compagnia Cabiria che lo avrebbe portato a lavorare a
Padova.
Liliana lo supplica di non abbandonarla, ma Totó è
irremovibile. Resasi conto che la sua relazione con l'attore stava
volgendo all'epilogo, Liliana decide di farla finita e - nella sua
cameretta presso la "Pensione degli Artisti" -
ingerisce un intero tubetto di barbiturici: verrà trovata
morta il mattino seguente da una cameriera dell'albergo.
Totó
rimane sconvolto dall'accaduto e pretende che Liliana sia inumata
nella tomba di famiglia dei De Curtis a Napoli.
Presentiamo
alcune lettere che Liliana scrisse a Totó:
Antonio,
Dopo
mezz'ora da quando te ne sei andato, mi hanno chiesta al telefono e
mi hanno detto così: "Voi credete che Totó si sia
recato a casa sua? Vi illudete!" ed hanno troncato la
comunicazione, senza che io abbia avuto il tempo di chiedere altre
informazioni.
Che debbo fare? Come vivere così? Perchè
dici che mi ami, quando invece non mi sei che nemico?
Io ti voglio
bene Antonio e non sai come il cuore e la mia mente soffrano. Debbo
credere alla telefonata? Vivo in orgasmo.
Lilia
Lavoriamo
insieme. Tu sarai il mio maestro e direttore del nostro lavoro. A te
il "montare il numero". A te il diritto di vedetta. Io non
ti lascerò mai, perché ti voglio bene, perché tu
sei un uomo di ardimento, pieno di entusiasmo per il bello e per il
lavoro.
Io mi sento come te, saró la tua compagna e la tua
artista devota e ti saró grata del bene che mi farai.
[...]
Puoi darmi una risposta? Puoi darmi qualche speranza? Puoi
incominciare a darmi la felicitá?
Questi due mesi saró
vicina a te per studiare, per eseguire i tuoi ordini e per aiutarti a
"montare" il numero. A poi.
Ti
amo
Lilia
Antonio,
potrai servire a mia sorella
Gina tutta la roba che lascio in questa pensione. Meglio che se la
goda Gina, anziché chi mai m'ha voluto bene.
Perché
non sei voluto venire a salutarmi per l'ultima volta? Scortese
omaccio! Mi hai fatto felice o infelice? Non so. In questo momento mi
trema la mano... Ah, se mi fossi vicino! Mi salveresti, è
vero?
Lilia tua
Antonio,
sono calma come non mai.
Grazie del sorriso che hai saputo dare alla mia vita grigia e
disgraziata.
Non guarderó più nessuno... Te lo avevo
giurato e mantengo. Stasera, rientrando, un gattaccio nero mi è
passato dinnanzi. E, ora mentre scrivo, un altro gatto nero, giú
nella strada, miagola in continuazione.
Che stupida coincidenza è
vero?..
DIANA ROGLIANI SERENA DI SANTA CROCE
Totó
conosce Diana nel 1931, mentre si trova in tournee a Firenze. La
ragazza, 16 anni, napoletana di famiglia e di educazione, è in
vacanza nel capoluogo toscano ospite di alcuni parenti. Una sera,
recatasi a teatro per assistere ad una rappresentazione di Totó,
suo attore preferito, riesce a farsi presentare da amici comuni
all'artista.
Successivamente i due si rivedono a Napoli e si
innamorano subito l'uno dell'altra. Nonostante il parere contrario
della famiglia di lei, si sposano prima civilmente e poi col rito
religioso. È la primavera del 1932.
Diana - di indole
decisamente gelosa - non ne vuole sapere di fermarsi a Napoli e
decide di seguire il marito nelle sue peregrinazioni di attore. I
coniugi De Curtis iniziano così a girare l'Italia in lungo e
in largo, alloggiando - a seconda delle mutevoli disponibilità
economiche - ora in alberghi di lusso ora in pensioncine di
terz'ordine. Iniziano i primi litigi, ma la nascita della figlia
Liliana nel 1934 pare rimettere le cose a posto. Totó è
felicissimo e per festeggiare il lieto evento acquista - dando fondo
agli scarni risparmi - un'automobile "Balilla" di
seconda mano con cui portare a spasso per Roma la famiglia. La
bambina ha solo 40 giorni quando incomincia a seguire, insieme alla
madre Diana, il padre nelle sue lunghe e faticose tournee.
Più
ancora che il continuo girovagare per l'Italia, è però
la propensione di Totó a guardare con insistenza le belle
donne, specie le ballerine, a minare irrimediabilmente il matrimonio.
Nel 1937 i coniugi sono di nuovo in rotta. La bambina viene affidata
ad un asilo nido, ma alcuni mesi dopo Totó e Diana - afflitti
dai rimorsi - tentano di comune accordo una nuova riappacificazione.
Il rapporto tra i due è però ormai compromesso: nel
1939 ottengono in Ungheria una sentenza di annullamento del
matrimonio, che poi verrà confermata in Italia nel 1940 dalla
Corte di Appello di Torino. Sebbene legalmente separati, gli
ex-coniugi decidono comunque di continuare a vivere ancora insieme
per amore della figlia. Si scambiano un impegno: ognuno sarebbe stato
libero di riacquistare la propria libertà, se lo avesse ancora
voluto, solo dopo il matrimonio o la sistemazione di Liliana. Con
tanta buona volontà, Antonio e Diana riescono a portare avanti
questa situazione per quasi dieci anni.
Ma sul set di "47
morto che parla" Totó conosce Silvana Pampanini, la
"maggiorata fisica" di turno in quel periodo, e le
fa subito una corte serrata, coprendola di fiori e di regali molto
costosi.
I giornali ingigantiscono la cosa e parlano di un flirt
serio tra i due attori. Diana non riesce a digerire l'ennesima
sfacciata provocazione dell'ex-marito e reagisce a sorpresa e in
maniera inaspettata, accettando la proposta di matrimonio
dell'avvocato (e amico di famiglia) Tufaroli.
Totó ci
rimane malissimo e lancia con violenza a Diana pesanti accuse di
indegnità, soprattutto per essere venuta meno alla promessa
che si erano scambiati anni prima. Proprio in quei giorni scrive la
celebre canzone "Malafemmena" che per anni si è
creduto avesse scritto per la Pampanini, finché non è
stata ritrovata presso la SIAE la copia del testo originale con
dedica autografa "A Diana".
FRANCA FALDINI
Franca
Faldini nasce a Roma nel 1931; è di famiglia ebrea e per
questo subisce il trauma delle persecuzioni razziali negli anni
dell'adolescenza. Entra nella vita di Totó attraverso una sua
foto sul settimanale "Oggi". La ragazza, che al
tempo ha solo vent'anni, viene presentata dal rotocalco come
un'attrice di ritorno da Hollywood dove aveva vinto un concorso
dedicato alle attrici esordienti chiamato Miss Cheesecake
(Miss torta di formaggio); lo stesso titolo in passato era
stato vinto da attrici come Marlene Dietrich e Rita Hayworth.
Ma
torniamo a Totó: l'attore, fortemente colpito dalla bellezza
della ragazza della copertina di "Oggi", decide di
conoscerla e ricorre ancora una volta alla sua solita tattica: le
invia un principesco cestino di orchidee accompagnato da un biglietto
dove le chiede un incontro.
La Faldini acconsente di buon grado a
conoscere l'attore e i due si incontrano a casa di amici comuni. Dopo
questo primo appuntamento si vedono sempre più spesso e tra
loro sembra divampare anche l'amore. Il principe la vuole
costantemente accanto a sè e la fa ottenere anche una parte
nel film "L'uomo, la bestia e la virtù". Dopo
alcuni mesi di fidanzamento i due decidono di convolare a nozze e il
matrimonio viene celebrato con il solo rito civile (il vincolo
religioso con Diana non era stato possibile annullarlo) nel 1954
segretamente in Svizzera. Il perchè di tanta segretezza lo
spiegherà Totò stesso in seguito: "Perchè
ho il senso della misura, il senso del ridicolo. Franca è
molto più giovane di me, e io non avrei sopportato i soliti
maligni commenti del prossimo. L'attore Totó deve far ridere,
ma l'uomo Totó - anzi il principe De Curtis - mai. Il principe
De Curtis lo sappiamo è una persona seria".
A onor
del vero c'è però da dire che Franca ha sempre smentito
che il matrimonio sia realmente avvenuto.
Nell'ottobre del '54
Franca dà alla luce un bambino, Massenzio, che purtroppo muore
il giorno stesso della nascita. Franca colpita da una gravissima
forma di albuminuria gravidica si salva per puro miracolo. Massenzio
viene sepolto a Napoli nella cappella gentilizia dei De Curtis.
Per
un lungo periodo di tempo Totó - sotto shock - rimane chiuso
in casa: la morte di quel figlio maschio, che avrebbe potuto portare
il suo cognome, lo ha profondamente prostrato. È solo l'amore
per la moglie Franca, pallida e smagrita per la malattia, che gli dà
la forza di tornare alla vita e di riprendere il suo lavoro di
attore.
Totó e Franca, così diversi sia per
carattere che per mentalità, avranno nel tempo molti "scontri"
motivati anche dalla grande differenza di età. Più di
una volta i due giungeranno sul punto di separarsi, ma alla fine
rimarranno ancora insieme, con amore e rispetto reciproco, fino alla
morte di lui.
Le ultime parole di Totó, in dialetto
napoletano, quel 15 aprile 1967 saranno proprio per Franca: "T'aggio
voluto bene, Franca. Proprio assai".
"NON CI VEDO... È BUIO PESTO!"
Nel
'56 Totó è ormai ricco e famoso e i suoi film,
nonostante le critiche avverse, vanno a gonfie vele. Sua figlia
Liliana sta sempre di più con il padre e casa De Curtis è
rallegrata anche dalla presenza dei due nipotini. La vita scorre
serena. Ma Totó non riesce a dimenticare il teatro e accetta
la proposta del suo antico impresario, Remigio Paone, di calcare
nuovamente le scene.
La rivista, scritta da Nelli e Mangimi, si
intitola "A prescindere" ed ha come prima donna la
soubrette Yvonne Menard; il debutto è al Sistina di
Roma il primo di dicembre del 1956 e il pubblico è quello
delle grandi occasioni. La rivista però decolla con grande
successo solo dopo qualche giorno, anche perchè Totó,
come da sua inveterata abitudine, aveva provato pochissimo.
Dopo
due mesi di rappresentazioni a Roma, la rivista fa tappa a Milano ed
è qui che Totó si ammala gravemente di una
broncopolmonite di origine virale. Dovrebbe curarsi e restare a
riposo, ma l'artista non sa resistere al richiamo del suo pubblico e,
imbottitosi di antibiotici e dopo soli tre giorni di riposo, cerca di
ritornare sul palcoscenico, ma il fisico indebolito gli impedisce di
portare a termine la rappresentazione.
Superata la malattia
polmonare, la compagnia si trasferisce a Genova, seconda tappa della
tournee. Qui cominciano a manifestarsi i primi disturbi all'occhio
destro. Totó, che fin dal 1939 aveva iniziato a lamentare un
forte calo della vista dallo stesso occhio, si vede perduto e cade
preda di un profondo stato depressivo. A Firenze le condizioni
dell'occhio peggiorano ancora, ma è a Palermo che si conclude
il dramma, quando l'attore si accorge di essere diventato
praticamente cieco.
Totó fa immediato ritorno alla sua
Napoli e si ritira in preghiera nella chiesa di Santa Lucia, sperando
nella grazia. Poi prosegue per Roma.
Per lunghi mesi Totó -
a causa della lesione retinica di cui è affetto - deve
soggiornare in una camera al buio, ma grazie alle cure dei medici e
allo spirito di abnegazione di Franca, verso la fine del'57, le
condizioni di salute dell'attore sembrano migliorare, e l'anno
seguente Totó può di nuovo ritornare sul set
cinematografico.
Protegge però sempre gli occhi con un paio
di occhiali a lenti scure che toglie solo pochi attimi prima di
entrare in scena.
ULTIMI FILM
Semicieco,
dunque, torna sul set interpretando un gran numero di film sempre
avversati dalla critica, ma che al contrario piacevano al pubblico
che riempiva entusiasta le sale cinematografiche. Nel 1958 con
l'avvento della legge Vanoni, Totó è costretto a
vendere alcune sue proprietà per pagare un debito fiscale di
qualche centinaio di milioni. Nel '66 interpreta "Uccellacci
e uccellini" di Pier Paolo Pasolini. Grazie a questo ultimo
film gli vengono assegnati il "Nastro d'Argento", un
riconoscimento speciale della giuria del Festival di Cannes e il
"Globo d'Oro" dei critici stranieri in Italia.
Agli
inizi del '67 interpreta negli studi del Teatro delle Vittorie
gli episodi di "Tutto Totó", che ripropongono
al pubblico gli sketches più significativi della sua carriera
teatrale. Ha in progetto anche di ritornare in teatro: Giuseppe
Patroni Griffi gli propone infatti la commedia "Napoli notte
e giorno" di R.Viviani.
Il 13 aprile è sul set di
"Padri di famiglia" di Nanni Loy. Ha anche in
progetto di recitare in altri film: dovrebbe interpretare una parte
in "Arabella" di Mauro Bolognini e ottiene il ruolo
di protagonista ne "I fratelli Cuccioli" tratto
dall'omonimo romanzo di Aldo Palazzeschi.
Ma il 15 aprile.....
QUEL 15 APRILE...
La
sera del 13 aprile 1967 Totó confida all'autista Carlo
Cafiero, che lo accompagna a casa a bordo della sua Mercedes:
"Cafie', non ti nascondo che stasera mi sento una vera
schifezza!".
Giunto alla sua abitazione e rassicurato
dalla presenza della moglie Franca l'attore sembra stare un po'
meglio, ma l'insorgenza dopo breve tempo di forti dolori allo stomaco
lo costringe a chiamare il medico, che - giunto tempestivamente - gli
somministra dei medicinali e gli raccomanda il riposo assoluto.
Totó
trascorre l'intero pomeriggio del 14 aprile a casa parlando con
Franca del futuro, dell'estate che sta sopraggiungendo e del suo
desiderio di godersi le vacanze a Napoli. La sera, dopo una
frugalissima cena, si manifestano altri disturbi, tra cui un forte
tremore e una copiosa sudorazione.
"Ho un formicolio al
braccio sinistro" mormora pallidissimo l'attore. Franca
capisce subito che i disturbi sono di origine cardiaca. Viene
avvertita immediatamente la figlia Liliana, il medico curante, il
cardiologo professor Guidotti, il cugino-segretario Eduardo
Clemente.
Gli vengono somministrati subito dei cardiotonici, ma le
condizioni di Totó non migliorano. Alle due di notte l'attore
sembra risvegliarsi dal suo apparente torpore e rivolgendosi al
cardiologo dice: "Professò, vi prego lasciatemi
morire, fatelo per la stima che vi porto. Il dolore mi dilania,
professò. Meglio la morte". E rivolgendosi al cugino:
"Eduà, Eduà mi raccomando. Quella promessa:
portami a Napoli". Gli ultimi pensieri sono per Franca:
"T'aggio voluto bene, Franca. Proprio assai".
Erano
le tre e venticinque del 15 aprile 1967.
Le ultime parole di Totó
non trovano però conferma nel racconto della figlia Liliana,
secondo la quale il padre prima di morire si limitò a
bisbigliare: "Ricordatevi che sono cattolico, apostolico,
romano".
Il 17 aprile alle 11.20 la salma del grande
attore viene portata nella chiesa di Sant'Eligio in viale Belle Arti
a Roma e dopo una semplice benedizione, inizia il suo ultimo viaggio
alla volta della tanto amata Napoli.
Il corteo funebre giunge
nella città natia dell'attore alle 16.30 e già al
casello dell'autostrada c'è radunata ad attenderlo una marea
di gente. Nella Basilica del Carmine Maggiore lo aspettano altre
tremila persone, mentre altre centomila sostano nell'immensa piazza
antistante la chiesa. Un lungo applauso saluta per l'ultima volta
Totó, poi solenne inizia il suono delle campane. Alcune
persone vengono colte da malore per lo spavento alla vista di Dino
Valdi, sosia e controfigura cinematografica di Totó.
L'orazione
funebre è pronunciata da Nino Taranto; poi la salma viene
portata nella cappella di famiglia dei De Curtis, dove l'attore è
sepolto accanto al padre Giuseppe, alla madre Anna, a Liliana
Castagnola e al figlio Massenzio.
Riportiamo parte dell'orazione
funebre scritta e recitata da Nino Taranto: «Amico mio,
amico mio, non è un monologo questo, ma un dialogo perchè
sono certo che tu senti e rispondi. La tua voce è nel mio
cuore, nel cuore di questa Napoli che è venuta a salutarti, a
dirti grazie perchè l'hai onorata [...]. I tuoi napoletani, il
tuo pubblico sono qui. Hanno voluto che il loro Totó facesse a
Napoli l'ultimo "esaurito" della sua carriera e tu, maestro
del buonumore, questa volta ci stai facendo piangere tutti. Addio
Totó, addio amico mio. Questa Napoli, questa tua Napoli
affranta dal dolore vuole farti sapere che sei stato uno dei suoi
figli migliori e che non ti scorderà mai. Addio Totó,
addio.»
Qualche giorno dopo, come racconta la figlia
Liliana, un capoguappo del rione Sanità, tal "Naso' 'e
cane", chiede ed ottiene la presenza di Liliana per una
sorta di funerale-bis da farsi il 22 maggio nella chiesa di
S.Vincenzo al rione Sanità, dove Totó era nato: sebbene
la bara sia vuota c'è la stessa folla piangente e acclamante
di qualche giorno prima.
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