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MUSICA

Se n'è andato un “pezzo” di musica cubana: è morto Compay Segundo

Non ho mai avuto la fortuna di incontrarlo, Compay Segundo, ma il ricordo della breve intervista telefonica che gli feci nella primavera del 2000 è di quelli che non si cancellano facilmente. Soprattutto ora che non c’è più: è scomparso ieri a 95 anni, nella sua casa di L’Avana, colpito da una grave forma di insufficienza renale.

Mi stanco un po'”, mi disse quando gli chiesi se non si affaticava ad andare in giro per il mondo alla sua età veneranda, “ma mi riposo suonando”. La sua era una vitalità solare, che viaggiava contagiosa e irresistibile sulle ali della musica. E la sua canzone più famosa, Chan Chan, da lui composta poco tempo prima di Buena Vista, è diventata un vero e proprio standard. La conoscono tutti. Anche quelli che non hanno mai frequentato troppo la musica cubana. Sentivo la sua voce bassa e roca (una “seconda voce” per eccellenza) un po' lontana, dietro quella di Flavio Ferrari, che lo seguiva durante la tournée italiana e si era gentilmente prestato a fare da interprete.

Il successo di Buena Vista Social Club - disco, film, libro in una proiezione geometrica - non lo aveva sconvolto più di tanto.

Francisco Repilado (era questo il suo nome all'anagrafe) non aveva smesso di amare la musica e di suonare neppure nei momenti più difficili della sua vita. Nato nel 1907 a Siboney, nipote di una delle ultime schiave nere di Santiago di Cuba, Compay cominciò a suonare negli anni '20, il periodo della grande fioritura del son di Santiago. Il nome d'arte Compay (Compadre) Segundo (per la già citata “seconda voce”) cominciò a usarlo nel 1942 quando fondò con Lorenzo Hierrezuelo il duo dei Los Compadres. E in ogni caso aveva lavorato fino al 1974 in una fabbrica di sigari dell'Avana. “Ho sempre suonato - mi disse - Ho cominciato come clarinettista nella banda di Santiago, poi sono stato nel Trio Matamoros, con il duo dei Compadres e poi da solo. Ho lavorato vent'anni nella fabbrica di sigari Montecristo”.

Mi raccontava un amico che faceva da tour manager a Compay e a ai suoi musicisti in un tour di qualche anno fa, che se si insisteva troppo con la storia di Buena Vista, Compay si risentiva un po'. Proprio perché non aveva mai smesso di fare musica e considerava quell'episodio come uno dei tanti nella sua lunga carriera. Anche se - come ricorda Aldo Garzia nel prezioso volume C come Cuba - negli anni '70 e '80 “era finito a guidare un piccolo quartetto per non perdere l'abitudine di suonare e per guadagnare un salario statale da aggiungere a quello "a cottimo" della fabbrica Montecristo e alle poche mance”.

Fu Ry Cooder ad avere l'idea di cercare gli anziani musicisti che aveva imparato ad amare dai vecchi dischi cubani degli anni '40 e '50. Non sapeva che fine avessero fatto, ma quando si rese conto che erano vivi e vegeti, non si lasciò scappare l'occasione di registrare la loro musica. L'atmosfera da lui creata in uno studio dell'Avana con Nick Gold e il tecnico del suono Jerry Boys, un veterano del folk inglese, ha qualcosa di magico e irripetibile. La chitarra slide di Cooder si sente appena, come se questo straordinario e sensibile musicista temesse di forzare la mano ai “nonni” del Buena Vista Social Club e di sovrapporre il suo inconfondibile modo di suonare al loro. “Io faccio quello che posso... e in ogni caso non volevo intralciarli”, mi raccontò nell'intervista che L'Unità pubblicò nell'estate del 1997, “perché erano loro a suonare la musica e a suonarla bene. Specialmente Compay Segundo, che era semplicemente perfetto. Facevo quello che mi diceva, sempre cose complementari al loro stile. Cercavo di essere uno di loro e di suonare per la musica, perché ognuno si muoveva in quella direzione. Ogni tanto facevo delle cose che loro non avrebbero fatto ma che mi piaceva provare per vederne l'effetto. Ma sono loro a sapere cosa fare per questa musica”.

Parole sagge di un artista che ha comunque regalato a questi anziani musicisti tutta l'attenzione che meritavano. Grazie al disco e soprattutto allo splendido film documentario girato da Wim Wenders all'Avana, Compay Segundo, Ibrahim Ferrer, Rubén González, Omara Portuondo, Eliades Ochoa, Orlando “Cachaíto” Lopez e i loro amici hanno avuto dei riconoscimenti in ogni angolo del mondo. «Poter partecipare a questa esperienza», scrive Wenders nell'introduzione al libro fotografico su Buena Vista da lui realizzato con la moglie Donata, “essere lì nel momento in cui si stava svolgendo questa storia incredibile, poter accompagnare questi musicisti nel loro cammino dall'oblio totale fino al palcoscenico della Carnegie Hall, questo è stato un dono e un privilegio impareggiabile, e al tempo stesso una singolare lezione per le generazioni future, una lezione di dignità e umiltà”.

Compay la raccontava volentieri, la sua ricetta per la longevità. Sentivo il suo vocione lontano: “Un brodo di collo di montone. Si prende una padella, si fa soffriggere un po' la carne con aglio e cipolla. Poi ci vogliono quattro bicchieri d'acqua... si versa il primo nella padella e quando l'acqua si è asciugata e il collo si è ben rosolato, si versano anche gli altri tre per fare il brodo. L'importante è non abusare. Bisogna prenderlo un giorno sì e un giorno no”.

Ci scherzava sornione, come quando diceva di volere un sesto figlio: “Mia moglie ha quarant'anni e io mi sento forte... Lotterò per farlo”. Non c'è riuscito, ma in fondo tutte le persone che sono state sfiorate dalla sua musica e dalla sua poesia sono diventate un po' suoi figli e suoi nipoti. Compay ci lascia tanta musica e il sogno di un futuro migliore: “Sono stato in questo mondo per tanti anni e ancora non sono stato capace di capire la gente che spara ad altra gente. No signore, le cose non dovrebbero andare così. La corda di una chitarra è molto più potente di tutte le bombe messe insieme. La musica ci dona la vita e le armi la distruggono. La gente, i popoli dovrebbero risolvere le loro differenze con la musica”. Grazie anche per questo Compay. E che il riposo ti sia leggero.

Giancarlo Susanna – L'UNITA' – 15/07/2003

I segreti di Compay Segundo: mangiare, dormire e bere rum



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