È
risaputo che le province della Sicilia orientale - di Messina,
Catania, Siracusa, Ragusa - erano chiamate babbe
quiete e quindi fesse, vale a dire non prepotenti, non mafiose.
Chiamate babbe, si capisce, dai siciliani della parte occidentale
dellisola, dai palermitani, dagli agrigentini, dai nisseni,
da quegli abitanti della provincia del latifondo dove la mafia
era nata e cresciuta. Vera dunque nel passato una precisa
geografia mafiosa e il confine, fra i due mondi, si stendeva alla
confluenza tra le Madonie e i Nebrodi. Al di qua dunque era la
piccola proprietà contadina, la misura equa, serena e
parca della vita; al di là era il latifondo, labbandono
e lassenza dei feudatari, era il regno dei gabelloti, il
dominio dei grandi capi mafia come don Calogero Vizzini di
Villalba o Genco Russo di Mussomeli. Fra le babbe, la più
babba era ritenuta sicuramente la provincia di Messina, e quella
parte di Nebrodi, ricca dacque e di boschi, dagrumeti
e oliveti, in cui regnava una sana economia agricola. Tanto
babba, tanto tranquilla questa zona che vi mandavano, fino agli
anni Sessanta, al soggiorno obbligato individui in odore di mafia
o mafiosi che avevano già scontato anni di carcere. In un
paese di quella costa, ad esempio, era stato obbligato a
risiedere il famigerato Gobbo di Godrano, Turiddu Lorello, capo
di una della due famiglie che in una sequela di
vendette avevano sterminato, da una parte e dallaltra, una
trentina di uomini. Lo storico confine nebrodense della mafia
sinfrange, si cancella quando la mafia rurale sinurba,
diventa, stringendo stretti legami col potere politico, mafia
imprenditrice. Le immense ricchezze accumulate dai costruttori,
dagli appaltatori, dai protagonisti del sacco di Agrigento o di
Palermo, della cementificazione della costa, le ricchezze dei
trafficanti di droga e di armi, degli appaltatori del pizzo
e dellusura, hanno bisogno di nuovi spazi. di nuove aree di
sfruttamento e di dominio: la mafia si espande nella Sicilia
orientale, a Catania, Ragusa, Siracusa, Messina. In queste città,
i nuovi capi mafia come Nitto Santapaola o i fratelli Calderone,
stendono tutta una rete di cosche locali, affiliano una schiera
di picciotti che invade, come una esercito, tutto il Valdemone,
sinstalla nei paesi fino ad allora tranquilli. Come Capo
DOrlando. Un paese, come quello della provincia di
Messina, fra i più belli della costa tirrenica, fra i più
moderni, di vittoriniano attivismo, di
intraprendenza. Un paese una volta di contadini e pescatori, di
commecianti, di esportatori di agrumi e nocciole (le cooperative
di Capo DOrlando esportavano limoni e arance in tutta
Europa, fino nella ex Unione sovietica) trasformatosi quindi, per
la bellezza delle sue spiagge, delle sue insenature, in paese
turistico. Qui, in contrada Vina, in una villa in collina, viveva
il poeta Lucio Piccolo, qui veniva a soggiornare il cugino
Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Su questo paese, attivo e ricco,
si sono quindi avventati i picciotti del racket, del pizzo.
Picciotti dellentroterra, figli di pastori e braccianti che
il grande mutamento, dovuto alla crisi dellagricoltura e
alla grande emigrazione, aveva buttato fuori della storia, aveva
trasformato in banditi. È per primo un giovane di Capo
DOrlando, figlio di commercianti, a opporsi a quella
violenza, a quella schiavitù dell'estorsione che i mafiosi
dei Nebrodi esercitavano su imprenditori e commercianti. Quel
giovane si chiama Tano Grasso. Che nel dicembre del 90
fondò la prima associazione dei commercianti anti-racket,
capeggiò la rivolta anti-racket denunziando allautorità
giudiziaria gli estortori, facendoli condannare. Sullesempio
di Capo DOrlando, altre associazioni nacquero in Sicilia,
soprattutto dopo luccisione a Palermo, il 29 agosto del
91, del coraggioso imprenditore Libero Grassi. Oggi le
associazioni, in Sicilia, in Calabria, in Basilicata, in Puglia,
sono cinquanta. Un luminoso esempio di presa di coscienza
civile, di difesa della legalità, della democrazia, quello
di Tano Grasso, che ha dato coraggio e speranza a tutti quelli
che erano impauriti, ricattati, minacciati, taglieggiati e offesi
dagli estortori e dagli usurai. Coraggio a quelli che,
terrorizzati dalle anonime telefonate, oscuri messaggi, fuoco e
tritolo contro le saracinesche dei negozi, denunziarono al
magistrato gli estortori, testimoniarono nei processi. Come Sarno
di Capo DOrlando, che ancora oggi, nel suo ristorante, è
protetto notte e giorno dai carabinieri. Come Carmelo di Gela,
costretto a svendere i suoi negozi di abbigliamento e a
rifugiarsi in una cittadina del Nord. Come limpreditore
agricolo di Scordia Mario Caniglia, rimasto in Sicilia, che
proclama gratitudine e ammirazione nei confronti di Tano Grasso.
Nominato commissario governativo anti.racket, Tano Grasso viene
oggi rimosso dalla sua carica dallattuale ministro Scajola
e sostituito dal prefetto Rino Monaco. È questo lo
spoilystem del nuovo Governo, del nuovo potere politico? A noi
sembra piuttosto un Vae victis di barbarica memoria, di quei
Galli che incendiarono Roma. E speriamo che con queste rimozioni,
con l'eliminazione delle scorte ai magistrati di Milano e
Palermo, con tutto quanto di inquietante viene oggi votato in
Parlamento, non sincendi, non sinserisca la nostra
democrazia.
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