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Piccolo grande Gattopardo |
Destava meraviglia nel paese il passaggio della Lancia Lambda del barone, don Peppino lo chauffeur al volante e il barone dietro, dietro insieme a un altro signore corpulento. Era il 43, tempo di guerra, ed io, bambino, la mano nella mano di mio padre, sgranavo gli occhi, come tutti sulla strada, a vedere quei signori sopra lautomobile con la capote scoperta. Puh! faceva mio padre, Con tutta la fame, la penuria che cè in questi tempi, loro se ne vanno in giro allegramente. Anni e anni passarono prima di sapere che i due sopra la Lancia erano il barone Piccolo di Calanovella e il principe Tomasi di Lampedusa. Anni passarono prima di ritrovarmi un giorno, al mio paese, di fronte a Lucio Piccolo nella carto-libreria-legatoria dei fratelli Zuccarello, titolari anche della tipografia Progresso. Ecco qua, dice Piccolo a Zuccarello, queste sono le poesie consegnando dei fogli dattiloscritti. E discussero di carta, di caratteri, di copertina, di numero di copie. Venne stampato quel libretto che fu inviato a Montale per il premio San Pellegrino. E quando Mondadori pubblicò Canti barocchi con quella prefazione di Montale che diceva: Il libriccino, intitolato 9 liriche, stampato da una sola parte del foglio e impresso in caratteri frusti e poco leggibili. Quel frusti e poco leggibili furono un affronto per don Ciccino Zuccarello, il quale, Io lo denunzio, questo Pontale, lo denunzio! si mise a urlare. Nel negozio degli Zuccarello dunque - era il 1954 - incontrai Piccolo. Il quale, dopo aver consegnato le sue poesie, appuntò gli occhi sui miei libri che avevo portato là per farli rilegare - vecchi libri che scovavo sulle bancarelle: storie locali, guide, almanacchi... - Maccorgo di non essere il solo ad amare questi libri, disse, gli almanacchi, le guide, sono pieni di insospettabile poesia. E aggiunse Ho unintera biblioteca di questi libri. Venga, venga a trovarmi. E così feci di lì a qualche giorno, andai a trovare Piccolo nella sua villa di Capo dOrlando, in contrada Vina, un promontorio che domina la piana daranci e limoni, e il mare Tirreno di fronte con le isole Eolie sulla linea dellorizzonte. Cera nella villa la stanza del cugino Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il quale scrisse ne I luoghi della mia prima infanzia Al mio capezzale pendeva una specie di bacheca Luigi XVI in legno bianco, che racchiudeva tre statuine in avorio, la Sacra Famiglia, su fondo cremisi. Questa bacheca si è miracolosamente salvata e pende adesso al capezzale del letto in cui dormo nella villa dei miei cugini Piccolo a Capo dOrlando. Lampedusa sarebbe morto nel 57 e il suo postumo Gattopardo sarebbe stato quel successo planetario che tutti sappiamo. Piccolo, il grande poeta dei Canti barocchi, aveva avuto da Montale, oltre allassegnazione del premio San Pellegrino, anche la prefazione al suo libro. Scrive Montale: ... mi colpì in queste liriche un afflato, un raptus che mi facevano pensare alle migliori pagine di Dino Campana. Il lessico è speso ricercato, ma la parola ha poco peso, larmonia è quella di un moderno compositore politonale. E oltre quello di Campana, faceva ancora i nomi di Dylan Thomas, DAnnunzio, Pea, Hopkins, Yeats. Frequentai Piccolo per anni, andando da lui, come per un tacito accordo, tre volte la settimana. Mi diceva ogni volta, congedandomi: Ritorni, ritorni, Consolo, facciamo conversazione. E la conversazione era in effetti un incessante monologo del poeta che io ascoltavo volta per volta ammaliato, immobile nella poltrona davanti a lui. Era per me come andare a scuola da un grande maestro, a lezione di letteratura, di poesia, impartita da un uomo di sterminata cultura, che aveva letto tous les livres nella solitudine delle sue terre di Capo dOrlando come scrisse Montale. Piccolo, dopo lesordio dei Canti barocchi, aveva suscitato molte curiosità fra i letterati. E lì, nella sua villa, si erano recati per conoscerlo in tanti: Piovene, Bassani, Pasolini, Bernari, Camilla Cederna, Corrado Stajano, Vanni Scheiwiller, Alfredo Todisco... Con Salvatore Quasimodo mi feci io promotore dellincontro. Seppi che il futuro Nobel villeggiava in un paesino poco distante da Capo dOrlando, a Gliaca di Pirajno. Landai a trovare in albergo e gli dissi di Piccolo, che sarebbe stato bello che loro due si fossero incontrati. Quasimodo non era molto propenso allincontro per il fatto che Piccolo era stato «scoperto» dal suo grande nemico, da Montale. Ma alla fine, più che lavversione, potè la curiosità di conoscere un personaggio così singolare, così eccentrico. Nel salone della villa, Quasimodo rimase incantato ad ascoltare Piccolo, ma uscendo, appena giunti nella corte, esclamò, come indispettito, giocando sul nome del barone: Questo piccolo poeta!. Nel 1963 avevo
pubblicato il mio primo romanzo nella mondadoriana collana Il
tornasole, La ferita dellaprile,
scritto in un linguaggio quanto mai lontano da quello aulico e
ricercato di Piccolo. Glielo diedi da leggere e, chiedendogli poi
il giudizio, Troppe parolacce, troppe parolacce! mi
disse. Lincontro avvenne una domenica, la domenica in cui per la prima volta si celebrava nelle chiese la messa in italiano. Mi sembrò, quellabbandono, dopo secoli, del latino, un segni parallelo a quel piccolo momento di laicizzazione rappresentato dallincontro del borghese illuminista Sciascia con laristocratico poeta gongoriano Piccolo. Sciascia rimase affascinato dal personaggio e ne scrisse dopo, in Carte segrete e ne La corda pazza. Scrisse: Tutto quello che Piccolo dice è di unacutezza che sempre , sia che giunga a verità semplici sia che attinga al paradossale, sorprende e incanta. È uno che sottilmente conosce larte del conversare; i giudizi, gli aneddoti, i calembours, gli epigrammi, le citazioni scorrono nella sua conversazione con limpida e incantevole fluidità. Fu nel settembre del Sessantotto, al premio letterario intitolato a Brancati, che si svolgeva nel paese di Zafferana Etnea, che sincontrarono Piccolo e Pasolini (cerano anche, a quel convegno Moravia, Dacia Maraini, Leonardo Sciascia, Ignazio Buttitta... E fecero là arrivare finanche il vecchio e afasico Ezra Pound). Pasolini, in quei giorni, girava, sulle falde dellEtna, alcune scene del suo film Porcile. E aspettava con ansia larrivo dellattore francese Pierre Clementi. Il quale arrivò finalmente, là allalbergo Airone doveravamo ospitati. Arrivò nella sala da pranzo in compagnia di Pasolini. Io ero al tavolo con Piccolo, il quale, alla vista di quel bellissimo giovane con i capelli fluenti fin sopra le spalle, meravigliato, esclamò: Cosè, una donna con i baffi?. Venne poi il tempo della mia emigrazione al Nord, a Milano. Non parta, non vada via mi diceva Piccolo. A Milano, con tutti gli altri, rischia di annullarsi. La lontananza dai centri, lisolamento danno più fascino, suscitano interesse, curiosità. Non potevo rispondere che non ero barone, non ero ricco, che dovevo guadagnarmi la vita. Non potevo dirgli soprattutto che là in Sicilia mi sembrava tutto finito, senza speranza, che a Milano, al Nord avevo la sensazione che tante cose si muovessero, che stesse per iniziare una nuova storia (illusione infranta amaramente alla luce delle orride macerie oggi di Milano e di Palermo, di Capo dOrlando, di tutto questo nostro perduto paese). Vidi Piccolo per lultima volta un anno dopo il mio trasferimento a Milano. Trascrivo da un mio diario: Entro in casa Piccolo a Capo dOrlando nel momento in cui la televisione trasmette larrivo sulla terra, dopo lavventura lunare, dellApollo. Il fratello del poeta, Casimiro, mi chiama e mi fa accomodare davanti al televisore, incassato in un mobile antico. Il poeta non viene. È sera. Nelle grandi stanze della villa, poche e fioche luci negli angoli e la luce lattiginosa del video sulle nostre facce. Fuori, il vento e la pioggia sferzano la campagna. Il fragore del mare in tempesta penetra la casa attraverso le persiane. La voce dello speaker alla televisione, man mano che passano i minuti, si sempre più forte, concitata. Lucio è sprofondato nella poltrona, immobile e silenzioso, in unaltra stanza piena di penombra. Non ha visto gli astronauti finalmente giunti a bordo dello Yorktown, non ha sentito la voce di Frank Borman che saluta il mondo. Lo raggiungo. Per la Teoria delle ombre, mi dice la mia prossima raccolta di poesie, ho preso spunto dagli studi di prospettiva che ho fatto nella mia giovinezza.... Una mattina di maggio (era il 1969) mi trovavo in assemblea nellazienda in cui lavoravo. Era unassemblea accesa, tumultuosa: cera in ballo il rinnovo del contratto di lavoro. I sindacalisti litigavano con quelli del Cub, il comitato unitario di base. Fu lì che mi vennero a chiamare e mi dissero di telefonare in Sicilia. Così appresi della morte di Lucio Piccolo, chera avvenuta durante la notte. Provai dolore, ma dolore anche per un mondo, un passato, una cultura, una civiltà che con lui se ne andavano. Mi tornavano in mente le sue poesie, La notte soprattutto: ... spento il rigore dei versetti a poco a poco/ il buio è più denso/ sembra riposo ma è febbre: / lombra pende al segreto/battere di un immenso/ Cuore/ di/ fuoco. Vincenzo Consolo L'UNITA' 11/08/2004 |
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