| BIBLIOTECA | EDICOLA |TEATRO | CINEMA | IL MUSEO | Il BAR DI MOE | LA CASA DELLA MUSICA | LA CASA DELLE TERRE LONTANE |
|
LA STANZA DELLE MANIFESTAZIONI | NOSTRI LUOGHI | ARSENALE | L'OSTERIA | IL PORTO DEI RAGAZZI | LA GATTERIA |

Vincenzo Consolo

Piccolo grande Gattopardo

Destava meraviglia nel paese il passaggio della Lancia Lambda del barone, don Peppino lo chauffeur al volante e il barone dietro, dietro insieme a un altro signore corpulento. Era il ’43, tempo di guerra, ed io, bambino, la mano nella mano di mio padre, sgranavo gli occhi, come tutti sulla strada, a vedere quei signori sopra l’automobile con la capote scoperta. “Puh!” faceva mio padre, “Con tutta la fame, la penuria che c’è in questi tempi, loro se ne vanno in giro allegramente”. Anni e anni passarono prima di sapere che i due sopra la Lancia erano il barone Piccolo di Calanovella e il principe Tomasi di Lampedusa. Anni passarono prima di ritrovarmi un giorno, al mio paese, di fronte a Lucio Piccolo nella carto-libreria-legatoria dei fratelli Zuccarello, titolari anche della tipografia Progresso. “Ecco qua”, dice Piccolo a Zuccarello, “queste sono le poesie” consegnando dei fogli dattiloscritti. E discussero di carta, di caratteri, di copertina, di numero di copie. Venne stampato quel libretto che fu inviato a Montale per il premio San Pellegrino. E quando Mondadori pubblicò Canti barocchi con quella prefazione di Montale che diceva: “Il libriccino, intitolato 9 liriche, stampato da una sola parte del foglio e impresso in caratteri frusti e poco leggibili”. Quel “frusti e poco leggibili” furono un affronto per don Ciccino Zuccarello, il quale, “Io lo denunzio, questo Pontale, lo denunzio!” si mise a urlare.

Nel negozio degli Zuccarello dunque - era il 1954 - incontrai Piccolo. Il quale, dopo aver consegnato le sue poesie, appuntò gli occhi sui miei libri che avevo portato là per farli rilegare - vecchi libri che scovavo sulle bancarelle: storie locali, guide, almanacchi... - “M’accorgo di non essere il solo ad amare questi libri”, disse, “gli almanacchi, le guide, sono pieni di insospettabile poesia”. E aggiunse “Ho un’intera biblioteca di questi libri. Venga, venga a trovarmi”. E così feci di lì a qualche giorno, andai a trovare Piccolo nella sua villa di Capo d’Orlando, in contrada Vina, un promontorio che domina la piana d’aranci e limoni, e il mare Tirreno di fronte con le isole Eolie sulla linea dell’orizzonte.

C’era nella villa la stanza del cugino Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il quale scrisse ne I luoghi della mia prima infanzia “Al mio capezzale pendeva una specie di bacheca Luigi XVI in legno bianco, che racchiudeva tre statuine in avorio, la Sacra Famiglia, su fondo cremisi. Questa bacheca si è miracolosamente salvata e pende adesso al capezzale del letto in cui dormo nella villa dei miei cugini Piccolo a Capo d’Orlando”.

Lampedusa sarebbe morto nel ’57 e il suo postumo Gattopardo sarebbe stato quel successo planetario che tutti sappiamo. Piccolo, il grande poeta dei Canti barocchi, aveva avuto da Montale, oltre all’assegnazione del premio San Pellegrino, anche la prefazione al suo libro. Scrive Montale: “... mi colpì in queste liriche un afflato, un raptus che mi facevano pensare alle migliori pagine di Dino Campana. Il lessico è speso ricercato, ma la parola ha poco peso, l’armonia è quella di un moderno compositore politonale”. E oltre quello di Campana, faceva ancora i nomi di Dylan Thomas, D’Annunzio, Pea, Hopkins, Yeats.

Frequentai Piccolo per anni, andando da lui, come per un tacito accordo, tre volte la settimana. Mi diceva ogni volta, congedandomi: “Ritorni, ritorni, Consolo, facciamo conversazione”. E la conversazione era in effetti un incessante monologo del poeta che io ascoltavo volta per volta ammaliato, immobile nella poltrona davanti a lui. Era per me come andare a scuola da un grande maestro, a lezione di letteratura, di poesia, impartita da un uomo di sterminata cultura, “che aveva letto tous les livres nella solitudine delle sue terre di Capo d’Orlando” come scrisse Montale. Piccolo, dopo l’esordio dei Canti barocchi, aveva suscitato molte curiosità fra i letterati. E lì, nella sua villa, si erano recati per conoscerlo in tanti: Piovene, Bassani, Pasolini, Bernari, Camilla Cederna, Corrado Stajano, Vanni Scheiwiller, Alfredo Todisco... Con Salvatore Quasimodo mi feci io promotore dell’incontro. Seppi che il futuro Nobel villeggiava in un paesino poco distante da Capo d’Orlando, a Gliaca di Pirajno. L’andai a trovare in albergo e gli dissi di Piccolo, che sarebbe stato bello che loro due si fossero incontrati. Quasimodo non era molto propenso all’incontro per il fatto che Piccolo era stato «scoperto» dal suo grande nemico, da Montale. Ma alla fine, più che l’avversione, potè la curiosità di conoscere un personaggio così singolare, così eccentrico. Nel salone della villa, Quasimodo rimase incantato ad ascoltare Piccolo, ma uscendo, appena giunti nella corte, esclamò, come indispettito, giocando sul nome del barone: “Questo piccolo poeta!”.

Nel 1963 avevo pubblicato il mio primo romanzo nella mondadoriana collana “Il tornasole”, La ferita dell’aprile, scritto in un linguaggio quanto mai lontano da quello aulico e ricercato di Piccolo. Glielo diedi da leggere e, chiedendogli poi il giudizio, “Troppe parolacce, troppe parolacce!” mi disse.
Leonardo Sciascia invece, a cui avevo mandato il libro con una lettera, mi rispose chiedendomi delucidazioni sulle particolarità linguistiche della mia scrittura, e invitandomi insieme ad andarlo a trovare a Caltanissetta, dove allora abitava. Così feci. E dopo, di tempo in tempo, cominciai a frequentare, oltre Piccolo, anche Sciascia. Mi diceva Piccolo, quando gli comunicavo che sarei andato a Caltanissetta, “Mi saluti il caro Sciascia”. E Sciascia, a sua volta, quando mi congedavo da lui, “Salutami Piccolo”. Così, alla fine, feci in modo di far incontrare il poeta e lo scrittore, così antitetici, così lontani l’uno dall’altro: due archetipi per me, due cifre letterarie che ho cercato, nella mia scrittura, di far conciliare.

L’incontro avvenne una domenica, la domenica in cui per la prima volta si celebrava nelle chiese la messa in italiano. Mi sembrò, quell’abbandono, dopo secoli, del latino, un segni parallelo a quel piccolo momento di laicizzazione rappresentato dall’incontro del borghese illuminista Sciascia con l’aristocratico poeta gongoriano Piccolo. Sciascia rimase affascinato dal personaggio e ne scrisse dopo, in Carte segrete e ne La corda pazza. Scrisse: “Tutto quello che Piccolo dice è di un’acutezza che sempre , sia che giunga a verità semplici sia che attinga al paradossale, sorprende e incanta. È uno che sottilmente conosce l’arte del conversare; i giudizi, gli aneddoti, i calembours, gli epigrammi, le citazioni scorrono nella sua conversazione con limpida e incantevole fluidità”.

Fu nel settembre del Sessantotto, al premio letterario intitolato a Brancati, che si svolgeva nel paese di Zafferana Etnea, che s’incontrarono Piccolo e Pasolini (c’erano anche, a quel convegno Moravia, Dacia Maraini, Leonardo Sciascia, Ignazio Buttitta... E fecero là arrivare finanche il vecchio e afasico Ezra Pound). Pasolini, in quei giorni, girava, sulle falde dell’Etna, alcune scene del suo film Porcile. E aspettava con ansia l’arrivo dell’attore francese Pierre Clementi. Il quale arrivò finalmente, là all’albergo Airone dov’eravamo ospitati. Arrivò nella sala da pranzo in compagnia di Pasolini. Io ero al tavolo con Piccolo, il quale, alla vista di quel bellissimo giovane con i capelli fluenti fin sopra le spalle, meravigliato, esclamò: “Cos’è, una donna con i baffi?”.

Venne poi il tempo della mia emigrazione al Nord, a Milano. “Non parta, non vada via” mi diceva Piccolo. “A Milano, con tutti gli altri, rischia di annullarsi. La lontananza dai centri, l’isolamento danno più fascino, suscitano interesse, curiosità”. Non potevo rispondere che non ero barone, non ero ricco, che dovevo guadagnarmi la vita. Non potevo dirgli soprattutto che là in Sicilia mi sembrava tutto finito, senza speranza, che a Milano, al Nord avevo la sensazione che tante cose si muovessero, che stesse per iniziare una nuova storia (illusione infranta amaramente alla luce delle orride macerie oggi di Milano e di Palermo, di Capo d’Orlando, di tutto questo nostro perduto paese).

Vidi Piccolo per l’ultima volta un anno dopo il mio trasferimento a Milano. Trascrivo da un mio diario: “Entro in casa Piccolo a Capo d’Orlando nel momento in cui la televisione trasmette l’arrivo sulla terra, dopo l’avventura lunare, dell’Apollo. Il fratello del poeta, Casimiro, mi chiama e mi fa accomodare davanti al televisore, incassato in un mobile antico. Il poeta non viene. È sera. Nelle grandi stanze della villa, poche e fioche luci negli angoli e la luce lattiginosa del video sulle nostre facce. Fuori, il vento e la pioggia sferzano la campagna. Il fragore del mare in tempesta penetra la casa attraverso le persiane. La voce dello speaker alla televisione, man mano che passano i minuti, si sempre più forte, concitata. Lucio è sprofondato nella poltrona, immobile e silenzioso, in un’altra stanza piena di penombra. Non ha visto gli astronauti finalmente giunti a bordo dello Yorktown, non ha sentito la voce di Frank Borman che saluta il mondo. Lo raggiungo. “Per la Teoria delle ombre”, mi dice “la mia prossima raccolta di poesie, ho preso spunto dagli studi di prospettiva che ho fatto nella mia giovinezza...”.

Una mattina di maggio (era il 1969) mi trovavo in assemblea nell’azienda in cui lavoravo. Era un’assemblea accesa, tumultuosa: c’era in ballo il rinnovo del contratto di lavoro. I sindacalisti litigavano con quelli del Cub, il comitato unitario di base. Fu lì che mi vennero a chiamare e mi dissero di telefonare in Sicilia. Così appresi della morte di Lucio Piccolo, ch’era avvenuta durante la notte. Provai dolore, ma dolore anche per un mondo, un passato, una cultura, una civiltà che con lui se ne andavano. Mi tornavano in mente le sue poesie, La notte soprattutto: “... spento il rigore dei versetti a poco a poco/ il buio è più denso/ sembra riposo ma è febbre: / l’ombra pende al segreto/battere di un immenso/ Cuore/ di/ fuoco”.

Vincenzo Consolo – L'UNITA' – 11/08/2004




| UFFICIO INFORMAZIONI | LA POSTA | CHAT | SMS gratis | LINK TO LINK!
| LA CAPITANERIA DEL PORTO | Mailing List | Forum | Newsletter | Il libro degli ospiti | ARCHIVIO | MOTORI DI RICERCA |