Capu
dOrlannu e munti Piddirinu Biati locchi chi vi
vidirannu. (Capo dOrlando e monte Pellegrino / beati gli
occhi che vi vedranno) recita il distico coniato certo dagli
orlandini, i quali, per esaltarne la bellezza, paragonano il loro
promontorio a picco sul mare al molto più vasto e alto
palermitano monte Pellegrino (il più bel promontorio
del mondo lo definisce Goethe).
Anchesso
bello, sì, il capo di Orlando, con in cima il castello e
il santuario, come lo sono, sulla costa tirrenica di Sicilia, il
promontorio del Tindari e la rocca di Cefalù.
Narra
lo storico locale Carlo Incudine che Carlo Magno, nientemeno,
reduce dalla Palestina, là approdando, diede il nome del
suo paladino Orlando al promontorio, e quindi al borgo che sotto
vi si stendeva. Tra il promontorio e il mare si stende il paese e
in una fertilissima piana di giardini d'agrumi, una Conca d'Oro
nebrodense, per restare nella palermitana similitudine. Un borgo
in origine di pescatori, di contadini, di artigiani, formatosi
con gente discesa dal paese collinare di Naso, l'antica Naxida,
gente che lo ha prescelto quasi luogo di delizia e di
commercio, dice ancora lo storico. Uomini pratici e
intraprendenti, gli orlandini, anomali nella sonnolenta provincia
di Messina, che, oltre al commercio di limoni svolgevano anche
quello delle acciughe salate.
Come
luogo di delizia per le sue belle spiagge, le sue
contrade di Piana e di San Gregorio, è stato quindi
scoperto, dopo il boom economico, la grande trasformazione
italiana, dai turisti, e Capo d'Orlando diviene un centro
rinomato di vacanza. Fiorisce e s'ingrandisce, Capo d'Orlando,
mentre sfioriscono e s'impoveriscono, anche nel numero degli
abitanti per via dell'emigrazione, i vicini paesi collinari di
antica economia pastorale e agricola. La fine del mondo rurale,
il cambiamento profondo di quel tempo, che Pasolini ha
simboleggiato con la metafora della scomparsa delle
lucciole, ha buttato fuori del tempo quei lavoratori. E
alcuni di essi allora, i meno pazienti, i più asociali, si
avventano su dove è il benessere: su Capo d'Orlando. In
altri tempi, quegli uomini, si sarebbero fatti ladri di passo,
tagliaborse, briganti di strada. Ora, col neocapitalismo,
adottano forme di associazioni a delinquere e di violenza
collaudate nel Palermitano: l'estorsione, il racket. A
Capo d'Orlando iniziarono in sordina scrive Tano Grasso ne
U pizzu, Qualche furto d'auto, in un
paese dove quando ero ragazzo non ne avevo mai sentito parlare.
Stavano buttando giù le nostre antiche certezze. Iniziò
a circolare la voce che se ti era sparita la macchina ti potevi
rivolgere a qualcuno che , dietro il pagamento di una cifra
modesta, te la faceva ritrovare (
) Poi furti negli
appartamenti, che non c'erano mai stati. Qualche colpo di pistola
contro le saracinesche di notte. E si arriva quindi alla
bomba messa nei padiglioni della concessionaria Renault dei
fratelli Signorino. I quali si rivolgono a Tano Grasso, Che
dobbiamo fare? gli chiedono.
Era
l'autunno del 1990. Tano ha un passato di militanza politica nel
PCI, era stato segretario della Fgci nella locale Federazione,
poi, nonostante la laurea in filosofia, s'era messo a lavorare
nel negozio di scarpe del padre. Tano capisce che commercianti e
imprenditori, per non cedere ai ricatti degli estortori, non
devono rimanere isolati. E così fecero. Così aveva
fatto a Palermo Libero Grassi, aveva denunziato pubblicamente gli
estortori, ma, lasciato solo, venne assassinato il 29 agosto
1991.
Nasce
a Capo d'Orlando l'Associazione Antiracket, l'ACIO (Associazione
commercianti e imprenditori orlandini) e, dopo il rinvio a
giudizio dei mafiosi estortori sentenziato dal Tribunale di
Patti, la stampa nazionale comincia a parlare della storia di
coraggio di Capo d'Orlando. Il cui esempio si espande, nella
stessa provincia di Messina e quindi in tutto il Paese.
Associazionismo e lotta contro il racket, ma maggiormente contro
quella forma di violenza più devastante che è
l'usura. Oggi sono più di 70 le associazioni
antiracket, coordinate nazionalmente dal FAI (Federazione
Antiracket Italiana). È assente l'associazione nel
Palermitano. Il suono dell'olifante partito dalla paladinesca
Capo d'Orlando non è giunto finora al monte Pellegrino.
Nella capitale della mafia, a Palermo, il 21 gennaio di
quest'anno è stata indetta una riunione degli imprenditori
promossa dall'Associazione nazionale magistrati e dalla
Associazione degli industriali, ma gli imprenditori e i
commercianti hanno disertato quella riunione.
Però
a Palermo un gruppo di giovani decide un giorno di tappezzare i
muri della città con questa scritta: Un intero
popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità.
Sono chiamati gli attacchini questi giovani che si
ribellano all'ipoteca mafiosa sulla loro città, sulla loro
vita, sul loro futuro.
Degni
eredi, questi giovani, di Libero Grassi, e degni compagni di
strada di Tano Grasso, compagni come lo sono gli imprenditori di
Catania o di Napoli, di qualsiasi altro luogo dove ci si oppone
al ricatto, alla schiavitù del racket e dell'usura: dove
si difende la propria libertà e la propria dignità
di cittadini.
Vincenzo Consolo
L'UNITA' 22/05/2005
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