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Vincenzo Consolo

L'ultima rapina alla mia Sicilia lasciata tra il deserto e la mafia

Nei libri di Vincenzo Consolo si ritrova sempre la Sicilia e la sua disperazione. Vincenzo Consolo da Sant’Agata di Militello è un emigrante (a Milano) che spesso ritorna a casa, osserva e racconta di una corruzione dei costumi e della cultura. Basterebbe rileggere “L’olivo e l’olivastro”. Perdita di memoria e di identità, fine della dignità e resa alle zone oscure della società. Parole e sentimenti duri che la storia di Termini Imerese riporta alla luce. Dentro la Fiat si rivedono tanti casi, tante vidende, il paradosso di un’isola che era agricola e industriale un secolo fa e che si ritrova più nulla. Si ritrova la mafia, dopo aver perso la Dc e aver abbracciato Forza Italia.

Dei decenni vicini a noi che cosa ricordare?

Gli anni Settanta furono quelli del grande sviluppo nella Piana di Termini. Le grandi industrie del nord, con i finanziamenti dello stato e della regione, scesero e installarono i loro impianti. Adesso, se si percorre l’autostrada Palermo-Messina s’attraversa un cimitero di capannoni abbandonati. Era rimasta la Fiat, dove negli anni ebbero lavoro contadini che scendevano dalle Madonie, dove è vissuto nascosto Giuffrè, il mafioso pentito. Era gente, grazie a quella fabbrica, liberata dalla cultura della mafia... La chiusura è una tragedia di persone allo sbaraglio. Non li può salvare quella rete d’imprese, che circonda Mirafiori o Arese. Attorno si vede il deserto.

Protestavano i giornali di governo perchè gli operai che manifestavano non avevano concesso la tribuna all’assessore di Forza Italia...

Un assessore che non sa neppure quanti sono gli occupati di Termini Imerese. Mentre gli operai civilmente protestavano in questa mia Sicilia dove Forza Italia ha fatto il pieno, Berlusconi si presentava da Costanzo per raccomandare Mike Bongiorno a un seggio di senatore a vita e i suoi luogotenenti siciliani viaggiavano verso Bruxelles per l’inaugurazione della nuova sede di rappresentanza della regione siciliana con un party da cinquemila invitati. Giorni fa Berlusconi venne in Sicilia per inaugurare un acquedotto. C’erano tutti, Cuffaro, Miccicchè, Musotto, presidente della provincia di Palermo. Per tutti Berlusconi ebbe una frase di compiacimento, di elogio, non per la politica o per l’amministrazione, ma per l’aspetto. “Mi congratulo per la sua giacca ridondante che rivela una linea discendente”... Il presidente provinciale gli era sembrato dimagrito. Questo dice delle preoccupazioni di Berlusconi, le preoccupazioni dell’apparire, dello spettacolo, della messinscena. Questa è la cifra culturale dell’uomo: il bell’aspetto...

Quegli operai, in buona misura, avevano votato a destra.

Qualcuno l’ha confessato, anche per dire mai più....

Con la crisi della Fiat è il fallimento di un certo modello di industrializzazione.

I vari petrolchimici di Milazzo, Agusta, Gela, Melilli si sono rivelati un boomerang. Gela è l’inferno esemplificato di questa illusione rovinosa, un inferno dal punto di vista della cultura, della comunità, dell’ambiente. A Gela un magistrato cercò di bloccare l’uso di un combustibile inquinante. Gli operai manifestarono contro l’istanza del giudice: meglio il cancro della fame senza lavoro. Per inseguire l’illusione di una nuova ricchezza industriale, s’è distrutta l’economia dell’isola. L’agricoltura è stata lasciata morire, eppure poteva essere l’agricoltura più ricca del paese. Si dirà: ci sono le serre di Ragusa, dove tanti immigrati raccolgono pomodori e s’ammalano di tumore per via dei diserbarti.

L’isola nell’Ottocento dei cantieri navali, dei Florio, dell’industria mineraria, persino della formazione di una coscienza di classe tra contadini e operai, diventa la terra da cui fuggire e una nuova industrializzazione invece di premiarla l’abbandona dopo la rapina.

Vivevo ancora in Sicilia, quando giorno dopo giorno si realizzava l’esodo di massa verso il Nord. Al mio paese fermava il “treno del Sole”, il treno degli immigrati. Ricordo una donna che inveiva: porca Sicilia, Sicilia puttana. Come fosse una persona. Ricordo anche il nome di Gaetano Verzotto, raccomandato dal cardinal Ruffini presiedeva l’Ente minerario siciliano. Liquidò l’ente, se ne andò inseguito da un mandato di cattura... Un grande statista, Alcide De Gasperi, aveva raccomandato ai braccianti siciliani di imparare le lingue, così sarebbero potuti andare all’estero. Andarono a Torino e dovettero imparare il dialetto torinese, per mimetizzarsi ed essere meglio accolti. All’epoca del primo centro sinistra, Sciascia che teneva una rubrica, “Quaderno”, sull’“Ora” di Palermo, scrisse di questa illusione industriale. Scrisse di un’isola “con la faccia per terra”. Sull’“Avanti” gli rispose Fidia Sassano che lo definì “benedetto letterato”. Sciascia commentò: hanno ereditato dai democristiani anche il diritto di benedire. In un paese vicino a Termini Imerese, Sciara, venne assassinato dalla mafia Salvatore Carnevale, sulla cui storia scrisse Carlo Levi, “Le parole sono pietre”, raccogliendo la voce della madre di Carnevale, Francesca Serio. Al processo, che non si tenne nè a Termini Imerese nè a Palermo, c’erano gli avvocati: uno di parte civile per la madre di Carnevale, l’altro a difendere i mandanti dell’omicidio. Rispettivamente erano Pertini e Leone. Due Italie...

Quale sarà il futuro?

Non sappiamo quale sarà il futuro. Dovrebbero appunto rispondere quelli che han fatto il pieno di voti. I giovani tornano a emigrare.

Intervista di Oreste Pivetta – L'UNITA' – 11/10/2002





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