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Italia - La maschera e il potere |
Prósopon era per i greci la maschera teatrale ed era anche il modo desser visti dagli altri. Voglio quindi credere che da questo termine, dal suo ambivalente significato posso esser nata lidea teatrale nel filologo Luigi Pirandello, che da quella classica parola sia germinato il suo drammatico mondo: il dramma dellessere e dellapparire, della realtà e della finzione, della vita e della forma, dello smarrimento dellio, della perdita dellidentità. E credo anche che la rappresentazione di personaggi, di maschere Pirandello labbia vista nella sua città, in quella che era stata la greca Akragas, la latina Agrigentum e laraba Gergent, ridotta infine nel gran borgo di minatori, di proprietari di miniere e di commercianti di zolfo che era la Girgenti del suo tempo. Credo che Pirandello abbia visto quella rappresentazione nella centrale via Atenea, angusto e affollato teatro, ribalta e platea, passaggio obbligato, temuto e ambito dove i borghesi sincontrano, si guardano e si spiano, recitano e ascoltano, si scrutano e si analizzano. I popolani - le famiglie dei picconieri e dei carusi delle zolfare - restavano naturalmente fuori da quel teatro, essi vivevano la loro grama vita nel sobborgo di Ràbato, nei quartieri della Biberìa e del Pojo. Credo ancora che il teatro scoperto da Pirandello in quellangoscioso, torturante cunicolo dellagrigentina via Atenea lo si poteva vedere, fino a una cinquantina di anni orsono, in ogni viuzza o piazza di borgo e di cittadina di questo nostro Paese. Un Paese, sappiamo, di chiusure comunali e campanarie, un Paese dalle varie «lingue» e dai vari costumi, ma un Paese dalla comune arretratezza, ignoranza, dai comuni vizi. Lantica, aulica Italia insomma, con le sue romantiche rovine di fori e teatri, di colossi e di templi, viveva, come Agrigento, in un infinito crepuscolo. Crepuscolo rischiarato prima della abbagliante luce del Rinascimento, poi dai nobili bagliori del Risorgimento, ma ripiombata, subito dopo lUnità, nel suo crepuscolo e nella sua continua decadenza. È ancora Pirandello, un Pirandello diciannovenne, che scrive al suo amico poeta di Piana degli Albanesi Giuseppe Schirò: La mia patria se la mangiano i cani... Ed io che ne sento ancora la tradizione storica civile e artistica, io odio lItalia doggi, personificata nel suo re galantuomo e imbecille, che siede su un trono merdoso innalzato sui sacri cadaveri per civile ristorazione!. E sembra che Antonio Tabucchi abbia letto questa lettera di Pirandello allo Schirò nellaffermare su questo giornale (5 ottobre 2003) che lItalia di oggi, governata dalla coalizione berlusconiana, con tutto quanto ne consegue, vale a dire con la continua, pervicace demolizione dei principi della democrazia, lItalia di oggi non è più un Paese alla deriva. È una fogna a cielo aperto. Io non sono daccordo con Tabucchi. Per me lItalia berlusconiana non è una fogna a cielo aperto. È invece una immensa discarica di rifiuti tossici. Ma, nellaffermare questo, ho il dovere di spiegare perché, sia pure sinteticamente, e con ordine. Per spiegare devo però tornare allinizio di questo mio scritto, ritornare al mio Pirandello. Il quale, con la sua metafora letteraria, con il suo relativismo, non è rimasto certo chiuso, lui, nelle angustie delle stradine, delle piazzette e dei salottini italici, ma come tutti i grandi scrittori del Novecento, come Kafka, Musil, Proust o Mann, ha rappresentato la crisi della borghesia dellOccidente, ha messo in luce le allarmanti crepe, le voragini aperte nella fittizia solidità della crosta borghese ottocentesca, ha svelato la nevrosi di quella borghesia, lo smarrimento, la follia. E ha profetizzato quindi i disastri, le tragedie che ne sarebbero derivati sul piano della Storia. Noi, restando nei confini del
Belpaese, diciamo che cinquantanni fa qui avveniva una
rivoluzione: lavvento della televisione. Succedeva allora
che il teatro pirandelliano di personaggi e di maschere, di
attori che erano contemporaneamente spettatori, quel teatro
dialettico che si svolgeva allaperto, alla luce
del sole, divenne improvvisamente un monologo assiomatico,
perentorio, impositivo, un teatro di soli personaggi (la parola
prósopon si riduceva allunico significato di
maschera, non si articolava più in prósopsis,
nel modo in cui gli altri ci vedono). E si svolgeva quel teatro
al chiuso, nel buio del tubo catodico, nelloscurità
di ogni casa. Insomma, la maschera televisiva trasformava il
telespettatore in un soggetto di assoluta, passiva ricettività;
con le sue immagini, inchiodava alla immobilità
(immobilità del corpo e della mente) contemporaneamente
milioni e milioni di persone. Non eravamo più al dramma
(che viene dal greco drào, che significa fare,
agire), ma nella stasi, nella pietrificazione della
maschera/medusea, prefigurazione della stasi metafisica di cui
parla Campanella. Ecco, con queste affermazioni si rischia di
apparire passatisti, vecchi conservatori che non accettano il
nuovo, i progressi scientifici e le mirabolanti invenzioni
tecnologiche. Non è così. Dico - e credo che sia
chiaro a tutti - che la macchina, lo strumento è in sé
neutro, è innocente. Il televisore, e così anche il
frigorifero, è un elettrodomestico innocente, come direbbe
Eduardo. È la persona che usa lo strumento, che lo
comanda (non certo quella che manovra il telecomando)
che diventa responsabile, e spesso colpevole, spesso criminale.
Nel suo frigorifero, un Jack lo Squartatore potrebbe infilarci
tocchi di carne umana; chi ha il potere di usare la televisione
(la Rai, ad esempio) può far diventare quello televisivo
uno strumento demenziale, osceno, volgare. La seconda rivoluzione (fatale e permanente) avvenne nel nostro Paese nel 1984, anno in cui viene data a Mediaset del gruppo Fininvest, di proprietà di un imprenditore di nome Silvio Berlusconi, la concessione di canali televisivi. Televisione commerciale, quella di Mediaset, con funzione assolutamente commerciale, di imbonimento per il consumo di cose, di merci. Tutto quindi là, dallinformazione agli spettacoli, era in funzione pubblicitaria. Tutto quindi diveniva esteriorizzazione, scenografia, finzione, mistificazione, menzogna, impostura. Il prosopon, la maschera, si trasformava in mascàra, in belletto, cerone, tintura, trucco... Ora sappiamo, e amaramente constatiamo, che quella funzione mercantile e pubblicitaria della Fininvest, di Mediaset o Publitalia o come caspita si chiama, con il partito di Forza Italia si è trasferita dalla merce alla politica. Il padrone di Mediaset, ora presidente del Consiglio, e la sua coalizione di Governo controllano ormai tutte (tranne forse una) le reti televisive italiane, private e pubbliche. La cosiddetta legge Gasparri, quando sarà definitivamente approvata e promulgata, darà il sigillo di legalità a un vero e proprio golpe mediatico, legittimerà limposizione della pietra tombale sul pluralismo dellinformazione, sulla libertà di stampa, che significa libertà di opinione e di espressione. Dicevo sopra di questa Italia di oggi come immensa discarica di rifiuti tossici, i quali sono, è chiaro, i messaggi televisivi. La tossicità dei rifiuti ha già contaminato, dal 1984 a oggi, più della metà della popolazione di questo Paese. Vediamo ogni giorno il suo degrado morale e culturale, la sua alienazione, la sua violenza, il suo disprezzo delle regole del vivere civile, del convivere umano. UnItalia di oggi che ci appare, come appariva allora a Pirandello, odiosa. E con Pirandello vogliamo
concludere, col quale abbiamo incominciato, con una citazione da
quel grande suo romanzo di delusione e di amarezza che è I
vecchi e i giovani. Dai cieli dItalia, in quei
giorni, pioveva fango, ecco, e a palle di fango si giocava; e il
fango sappiastrava da per tutto (...) Diluviava fango; e
pareva che tutte le cloache della città si fossero
scaricate e che la nuova vita nazionale della terza Roma dovesse
affogare in quella torbida fetida alluvione di melma.... Vincenzo Consolo L'UNITA' 11/10/2003 |
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