| BIBLIOTECA | EDICOLA |TEATRO | CINEMA | IL MUSEO | Il BAR DI MOE | LA CASA DELLA MUSICA | LA CASA DELLE TERRE LONTANE |
|
LA STANZA DELLE MANIFESTAZIONI | NOSTRI LUOGHI | ARSENALE | L'OSTERIA | IL PORTO DEI RAGAZZI | LA GATTERIA |

CINEMA

Gavras, la confessione

Greco- francese (“sono un caso curioso di bigamia”), Costa Gavras continua a svolgere da trentacinque anni un ruolo insostituibile nel distratto cinema contemporaneo, da Zeta (1969) ad Amen (2002) passando per L'amerikano, Missing, Hanna K, Music box. La decisione del Comune di Fiesole, del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani, e di France Cinéma, di attribuirgli il prestigioso “Premio Maestri del cinema” (che negli anni scorsi è andato a registi come Wenders, Altman, Anghelopoulos, Monicelli, Penn) giunge quanto mai opportuna. Alla Palazzina Mangani di Fiesole, il regista ha partecipato a un dibattito intitolato “Il cinema di Costa Gavras: processo alla storia”. Nell'intervista fiume pubblicata nel volume critico edito per l'occasione (il primo libro uscito in Europa su questo cineasta sottovalutato anche nella patria d'adozione) Costa Gavras confessa candidamente i suoi debiti nei confronti del cinema italiano (Pontecorvo, Rosi, Solinas).

Il cinema italiano ha contato molto per lei, credo.

Il cinema italiano, il cinema americano, il cinema russo hanno avuto un'enorme influenza. Soprattutto il Neorealismo ha fatto dei miracoli: Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Rossellini...E' stato un movimento straordinario, che ha profondamente cambiato il cinema mondiale. Via le storie letterarie e teatrali, si gira per le strade, a contatto con la realtà di tutti i giorni: esattamente quello che vorrà poi fare la Nouvelle Vague in Francia quindici anni dopo. Il Neorealismo c'è riuscito, la Nouvelle Vague no. Ma ho anche un'ammirazione sconfinata per Fellini. E' il grande regista Europeo. Un colosso. Ha parlato delle nostre società attraverso i piccoli fatti italiani, li ha ingranditi e sono diventati delle strepitose metafore del nostro mondo: Amarcord, Ginger e Fred dove c'è tutto il dramma della televisione. Se prendiamo i film dei registi italiani e facciamo una piramide, in cima alla piramide c'è Fellini. E' il massimo, è quello che ha sintetizzato tutto. E' sorprendente per me che la tradizione felliniana che avete in Italia non abbia fatto nascere tutta una scuola di registi.

I “Cahiers du cinéma”, all'epoca, parlavano solo di Rossellini...e più tardi di Antonioni.

I francesi sono fanatici solo di certi artisti...non si accorgono che ci sono degli innovatori che aprono delle strade. In Francia si formano delle liste definitive di una ventina di registi, e si scommette solo su quelli. Per loro Rossellini resta “il massimo”: non è mica l'unico.

Da anni in Francia nessuno parla più di Germi, Petri; e di Rosi e Monicelli si parla sempre meno.

Rosi ha fatto dei bellissimi film! Quando venne presentato a Cannes Cronaca di una morte annunciata, “Libération” scrisse delle cose orribili: indignato, Montand (presidente della giuria) afferrò il critico di “Libération” per il bavero, lo sbatté contro il muro e lo buttò fuori dalla sua stanza. Non si intitola un articolo: “Cronaca di una merda annunciata”! Rosi un tempo era un beniamino del pubblico francese, ora non lo è più...non è più “à la page”. Eppure anche il suo ultimo film, La tregua, così criticato dai francesi, ha dei momenti molto commoventi. Oggi il cinema italiano è poco conosciuto in Francia. Olmi e i Taviani restano dei registi conosciuti, continuano a fare dei film di qualità: Il mestiere delle armi per esempio mi è molto piaciuto. Anche Moretti è un regista importante. Anche se non è il migliore, il suo ultimo film è bello. Mi piace anche il suo impegno politico. E' bene che un personaggio come Moretti, che non si era mai esposto prima, abbia preso delle posizioni così forti. Bisogna vivere nel presente. Elio Petri ha fatto degli ottimi film. L'unico sul quale non sono d'accordo è quello su Aldo Moro. Ho come l'impressione che non abbia intuito la grandezza di quel complesso personaggio politico. In Todo Modo si direbbe che Petri si disperde in una sorta di ironia e di derisione del personaggio. Credo sia stato un errore. Lo dico a ragion veduta perché con Solinas avevamo lavorato a lungo su un soggetto imperniato sulla figura di Aldo Moro. Non lo abbiamo realizzato perché allora mancava la chiave del dramma, la vera ragione per cui qualcuno (chi?) prese la decisione di ucciderlo. Paola Tavella, nel suo libro Il prigioniero ha fatto la ricostruzione più dettagliata che ci sia a mio avviso del caso Moro. Secondo me, Moro è un grande personaggio storico, che ha svolto un ruolo importante per il superamento della guerra fredda. Ed è per questo che è stato eliminato.

Secondo lei, l'America ha giocato un ruolo nell'”affare Moro”?

Senza dubbio. Gli Usa non volevano quello che Moro proponeva: le convergenze parallele. Un'intuizione davvero geniale! Ritornando al film che stavamo scrivendo con Solinas, doveva iniziare con la vista di Leone a Washignton. C'era una grande festa di benvenuto, un corteo di barche che scivolava sul lago davanti alla Casa Bianca. Sulla barca maestra Leone cantava O' sole mio su invito degli americani, Moro era su una barchetta che veniva dietro, lo avevano già emarginato per le sue idee politiche...

Lei ha avuto un lungo e fruttuoso sodalizio con Franco Solinas...

All'epoca di Queimada. Ecco un film davvero eccezionale, di una precisione storica straordinaria. E' un peccato che non se parli abbastanza e che Pontecorvo abbia fatto così pochi film. Provo per Gillo un profondo affetto e mi dispiace che il cinema mondiale abbia perduto con lui un'occasione così ghiotta. La cosa che più mi colpiva nell'uomo Solinas era il pudore, la riservatezza, abbinati a una straordinaria capacità di analisi. Sul piano politico non sempre eravamo d'accordo. Franco era iscritto al Partito Comunista, io no, e all'epoca avevo già girato La confessione (1970). Queste divergenze non ci hanno però impedito di lavorare in perfetta sintonia. Certo lui sapeva come la pensavo io, e quello che era accaduto in Ungheria e in Cecoslovacchia, sapeva che la politica del Pci non era la stessa del Pcf...era un uomo di una enorme onestà intellettuale, di una discrezione esemplare, dotato di una straordinaria capacità di analisi e della società. Un uomo coltissimo e uno sceneggiatore prodigioso. Lavorare a Fregene al suo fianco per me significava tirar fuori tutto il mio côté mediterraneo.

“Costa Gavras ha inventato la politica spettacolo, ha messo lo spettacolo dentro la politica”, è stato detto...

Da alcuni decenni, soprattutto a partire dalle elezioni americane del dopoguerra, la politica è diventata il grande spettacolo. Ho cercato di fare dei film su dei soggetti che mi appassionavano e che generalmente non vengono trattati al cinema.

A proposito di “L'amerikano”, Truffaut avrebbe detto: “L'idea che un film serva a qualcosa è per me molto ambigua”. Che ne dice un maestro del cinema “engagé come lei?

Ma allora a che cosa serve l'arte? Non certo solo a far ridere o piangere, o far passare qualche ora, come succede, con i film di Schwarzenegger (che secondo me hanno un contenuto politico molto forte). Penso che frase come questa siano il frutto di un periodo di crisi che Truffaut stava attraversando. Ho una sua bella lettera su Zeta dove scrive: “Se è utile vuol dire che serve a qualche cosa! Il problema con L'amerikano è che siccome attaccava l'America, provocò delle reazioni vivaci. Venni attaccato anche per Missing, ma i fatti mi hanno dato ragione.

Come vede l'avvenire del cinema francese e americano?

Grazie al “protezionismo” dello Stato, il cinema francese va meglio perché ha saputo preservare la sua indipendenza. Perché non vi decidete ad adottare anche voi in Italia il sistema delle “quote” di film nazionali in tv? E' l'unico sistema per difendersi dal bulldozer del cinema hollywoodiano attuale che mi pare in piena crisi di creatività (un produttore americano lo ha definito “un'impresa che produce effetti speciali computerizzati). Oggi un film come Missing non si potrebbe più fare in America.

Quando è uscito “Amen”, il Vaticano ha reagito con molta durezza alle accuse mosse contro il silenzio colpevole di Pio XII a proposito dell'Olocausto. Cosa pensa del curioso processo celebrato in questi giorni a Spoleto sulla figura di questo papa nei suoi rapporti col nazismo?

Mi sarebbe piaciuto filmarlo quel processo...Il silenzio dei responsabili del mondo (e il Vaticano ha un'importanza eccezionale per 700 milioni di cattolici) è una colpa imperdonabile, a prescindere da qualunque altra considerazione di convenienza politica. Ho avuto modo di interpellare un celebre domenicano che aveva frequentato il Pastor Angelicus nel Dopoguerra. Ma quando gli ho chiesto cosa ne pensasse della figura umana di Papa Pacelli mi ha risposto testualmente: al 90% è Greta Garbo, al 10% Francesco d'Assisi.

Intervista di Aldo Tassone – L'UNITA' – 17/07/2002

| MOTORI DI RICERCA | UFFICIO INFORMAZIONI | LA POSTA | CHAT | SMS gratis | LINK TO LINK!
| LA CAPITANERIA DEL PORTO | Mailing List | Forum | Newsletter | Il libro degli ospiti | ARCHIVIO | LA POESIA DEL FARO|