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MUSICA

Daniele Sepe, un tuffo nel mare delle civiltà

Tribuno torrentizio dal vivo e polistrumentista etnico-popolare su cd, Daniele Sepe ha appena pubblicato Nia Maro, per le edizioni del manifesto, quattordicesimo album in quattordici anni di carriera, dai tempi degli esordi coi Zezi. Che vorrà dire il titolo? Citazione dialettale? Greco? Romeno? “E' esperanto, significa mare nostro. Ne conosco qualche vocabolo perchè a quindici anni frequentavo il Centro di autonomia proletaria, la versione anarchica di autonomia operaia, a Montesanto. E lì tra un Max Stirner e un Peter Kropotkin c'erano manuali, appunto, di esperanto che reputo un originale tentativo di creare una lingua realmente democratica”. Il coerente e variegato leit motiv apolide dei lavori anni `90 si imprime anche nelle corde di Nia Maro, un'ora di brani dai sapori forti e diversi. “Il concept dell'album è il concept di tutti gli album - osserva - Vite Perdite del `94 iniziava con un pezzo della Grecia del I secolo, si alternavano tonalità in stile Atahualpa Yupanqi ad una ninna nanna svedese. Tutti parlarono al tempo di una cosa geniale che chissà cosa cavolo volesse dire. In realtà non c'è stata mai nessuna frattura nel mio modo di lavorare: ho sempre faticato così, sorvolando le facili inquadrature di genere”. Quindi guai a dire “disco eclettico”; e il cielo ci scampi dai paragoni con Zappa. Etichette che per Sepe sono cibi freddi. “Meglio una bella critica - aggiunge, sornione - che una non-critica, o un accostamento gratuito a divinità musicali, almeno ne esce qualcosa di costruttivo”. Autopsia del disco: dieci brani la cui architettura esce fuori dai girotondi sonori di 18 musicisti, Sepe compreso, alle prese con un carnevale organizzato da 26 strumenti diversi, dalla darbuka alla cupa-cupa basa, dalla chitarra 12 corde alla fisarmonica. Ad esordire è Tammmurriata, nove minuti in cui gestire la tradizione e giocare a farle una casacca nuova. “E' un rimescolare musica antica da parte di chi ha ascoltato in abbondanza Miles Davis”. E facendo fischiare le orecchie a Eugenio Bennato aggiunge ”Ho fatto anche per dimostrare che la tradizione non dev'essere ripresa necessariamente intatta”.

Anche Lamma Bada è un must, però egiziano: “per tradurne il testo ho avviato una sorta indagine, durante la quale ho scoperto che si trattava di arabo antico. I quattro madrelingua interpellati me ne davano ognuno un'interpretazione diversa...Lamma Bada è una canzone emozionante anche se non si capiscono le parole. E' l'universalità della musica: pure un giapponese sentendo 'O Paese d'o Sole si emoziona!”. E poi la voce del maghrebino Mrzuk Mejiri, straordinario cantante e musicista dilettante, “scoperto” da Sepe qualche anno fa quando faceva il bagnino a Bacoli.

In Les amourex des bancs publics il fiatista flegreo va a braccetto col suo vecchio amore George Brassens, il cantautore anarchico che conta una lunghissima catena di devoti. “De Andrè, Capossela, Cammariere ne sono sicuramente debitori. Ciononostante in Italia continua ad essere poco conosciuto, Nanni Svampa a parte”. Poi, finestre che affacciano su Sicilia, Grecia, Tunisia. Il Mediterraneo è il contenitore, inteso di gran lunga più come bacino dalle disparate identità che come spazio geografico definito. “Il disco musicalmente mette insieme, senza retorica, intuizioni che vengono dal Mediterraneo, un'area dove non è vero che tutto ci unisce, anzi. Si dice `una faccia una razza', sì , ma a seconda del reddito”. Le immagini del booklet vincono un'intervista a parte. Catturano particolari della festa delle lucerne di Somma Vesuviana in Campania, col suo vortice sconnesso di fiammelle e soprattuto restituiscono in scorci sanguinolenti la via crucis di Verbicaro in Calabria. L'impatto con il rito dei “battenti” calabresi è allucinante: uomini vestiti di rosso che, dopo la mezzanotte, con “u cardiddu” (pezzo di sughero in cui sono conficcati aghi di vetro) si percuotono le gambe a sangue per seguire il percorso della croce, secondo il costume delle confraternite medievali.

Contrariamente al solito, il musicista partenopeo non ha aggiunto alcuna didascalia alle foto “innanzitutto perché si commentano da sole, e poi in quanto potrebbero essere state scattate a Falluja, a Nassirija o in un pellegrinaggio sciita. Le manifestazioni violente della fede evidentemente non riguardano solo una certa parte del mondo, come vorrebbero farci credere». Il tour? “Perchè a qualcuno risulta che con i miei sette musicisti programmo il tour? Quando ci chiamano, aizamm' n' cuoll', cioè ci carichiamo gli strumenti e andiamo a suonare”.

Sandro Chetta – IL MANIFESTO – 18/12/2004

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