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Ferretti: Il giorno che a Roma Fellini mi presentò Scorsese |
Los Angeles Sono la bandierina tricolore da poter far sventolare con orgoglio al vento leggero delle colline di Hollywood. Sono Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo, freschissimi dell'Oscar per la migliore scenografia, quella di The Aviator di Martin Scorsese. La coppia però non ha avuto molto tempo per festeggiare. Il lunedì successivo alla cerimonia ha messo le statuette in valigia ed è ripartita per Sofia, in Bulgaria dove si sta girando The Black Dahlia di Brian De Palma e dove Ferretti e Signora sono chiamati ad un compito ardito e sorprendente: ricostruire, proprio laggiù, la città di Los Angeles. Abbiamo raggiunto Dante Ferretti al telefono, per toglierci qualche curiosità, sapere ad esempio come sono da vicino le due statuette. Sono proprio belle. Cos'ha pensato quando ha sentito il suo nome e quello di sua moglie? Non riuscivo a crederci. Insieme a mia moglie siamo riusciti ad accumulare 14 candidature. Per fortuna non mi hanno fatto soffrire troppo, la mia categoria era la prima ad essere premiata. Stare lì seduti ad aspettare è un vero strazio. Ora lei è a Sofia, a chi ha dato in custodia i due Oscar? Ai miei figli, da portare nella nostra casa di Roma. Ma lei e sua moglie ormai vivete a Miami. Perché Roma? Perché in fondo la nostra vera casa è a Roma, anche se ormai viviamo dappertutto e abbiamo una casa a Miami dove stiamo la maggior parte del tempo. Dopo la premiazione degli Oscar siamo dovuti tornare a Sofia. Abbiamo fatto scalo a Roma e li abbiamo affidato la statuetta ai nostri figli. I miei ricordi più belli sono a Roma, anzi, non è vero, ma è lì che ho le radici. E' la casa di Roma quella che riempio di ricordi. Ora lei è a Sofia lì deve ricostruire la città di Los Angeles degli anni 40, non era più facile farlo a Los Angeles? Se un giorno dovrò ricostruire Sofia mi manderanno a Los Angeles, è il mio destino. Sarebbe stato molto più semplice girare a Los Angeles, invece no. Chissà perché? Cioè, il perché si sa, è questione di soldi, in Bulgaria costa tutto meno. E' una scelta che prende il produttore e nessuno può dire niente. Io, personalmente, preferisco fare i film dove sono ambientati. Mi sembra più naturale e più giusto. E poi io a Los Angeles ci sto benissimo. Ma i film si fanno dove si possono fare e poi noi a Sofia stiamo girando gli interni, gli esterni li gireremo in California. Come fa a trasformare la Los Angeles di oggi nella città che era sessant'anni fa? l problema con quella città è che sembra tutta uguale, invece non lo è. Abbiamo scelto già tutte le locations, posti veri. Ma andranno riadattati, vanno cambiate delle scritte e delle vetrine che una volta non c'erano. Va fatta tutta l'ambientazione. E' questo il mio mestiere. Quando si vedono i film al cinema sembra tutto naturale, invece, dietro le cose che sembrano naturali, c'è un grande lavoro. Da che parte comincia quando le viene affidato un nuovo progetto? Dal copione. La prima cosa che bisogna capire è di che storia si tratta. Attraverso le ambientazione e la scenografia devo dare vita alla storia. E' importante quindi leggere bene la sceneggiatura e pensarci un po' su. Poi comincio a fare ricerche su quel periodo e sul tipo di ambiente che devo realizzare. E' quella la parte più difficile del suo lavoro? No, quella della ricerca è una fase piuttosto facile, anche perché ci si appoggia a chi fa questo tipo di ricerche per mestiere. Poi raccolgo tutto il materiale e vedo un po' cosa si può fare. Poi arriva la parte difficile, ma anche più bella. Disegnare. Disegno le scene, faccio i bozzetti e i modellini tridimensionali da mostrare al regista. Non tutti lavorano così, ma io faccio sempre i modellini così il regista vede bene quello che intendo fare e non sorgono equivoci. Quali scene di The Aviator pensa le siano riuscite particolarmente bene? Quella del Cocunuts Grove e quella dell'ufficio della Panama. In quel film abbiamo ricostruito tutto, persino il Teatro Cinese. Come mai non avete utilizzato quello vero, che è uno dei simboli di Hollywood? Perché è cambiato, o meglio, è cambiato quello che gli sta attorno. Una volta di fronte al Chinese Theatre c'erano le palme. Oggi invece c'è un palazzo di vetro. Abbiamo anche ricostruito un pezzo dell'Hollywood boulevard. Adesso ci sono un sacco di contaminazioni, negozi nuovi soprattutto. E poi c'era di nuovo il problema dei costi. Avremmo dovuto bloccare il traffico per sei giorni e sarebbe costato troppo. Quindi l'abbiamo ricostruito in Canada, a Montreal. Molte scene comunque sono state girate a Los Angeles, soprattutto gli esterni. A Los Angeles abbiamo girato per 8 settimane. Non è poco. La cosa particolare di questo film, comunque, è che è stato ricostruito quasi tutto. Come ha conosciuto Martin Scorsese? L'ho conosciuto tanto tempo fa, abbiamo già fatto sei film insieme e posso dire che meriterebbe l'Oscar, ma non voglio polemizzare. Vi siete conosciuti in Italia vero? Sul set di Fellini, La città delle donne. Lui era venuto a trovare Fellini e lui ci ha presentati. Poi lui mi chiamò per fare L'ultima tentazione di Cristo ma io ero occupato nella lavorazione di un altro film. Mi richiamò un'altra volta ed anche il quel caso avevo già preso un impegno. La terza volta, era per L'età dell'innocenza, ho disdetto ogni altro lavoro e gli ho detto "vengo di corsa" e così mi sono trasferito all'estero. E in Italia non vorrebbe tornare a lavorare? Mi piacerebbe eccome, d'altronde sono italiano. Ma il cinema in Italia, chissà per quale motivo, non si fa più, o comunque sempre di meno. E quindi eccomi, eccoci in Bulgaria. Francesca Scorcucchi IL SECOLO XIX 08/03/2005 |
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