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MUSICA

De Gregori, gli intellettuali ci usano

In una settimana memorabile, in cui la canzone d'autore italiana, da Vasco Rossi e Ligabue, atterra sulle piattaforme virtuali del Dvd, la presenza di Francesco De Gregori è addirittura sorprendente. Da oggi i fans del Principe possono scegliere sul doppio cd “Mix” e sul dvd “Mix Film” che raccoglie tre anni di concerti. Ma il punto è un altro: improvvisamente, con l'approdo tecnologico, la consuetudine con canzoni arcinote e personaggi molto amati si fa ancora più forte. A cominciare proprio dall'autore di “Rimmel” e “Titanic”.

De Gregori, sembra più rilassato di un tempo.

Me lo dicono tutti, quindi sarà vero, ma non so da cosa dipenda. Comunque, spero di rimanere sempre così. Lei dice che ero burbero? Forse sì, forse non mi andava di parlare con la stampa, poi è arrivato il disco con Giovanna Marini. Bisognava parlarne, correva il rischio di passare inosservato e ho cercato il confronto. E' andata bene: ho sentito un grande affetto nei miei confronti.

Diciamo ch'è rispettato da fans, colleghi, intellettuali.

Ne sono orgoglioso: in fondo non ho mai trattenuto nessuno con la forza ai miei concerti. E non sono nemmeno compiacente: se vado sul palco, è perché ho qualcosa da dire. Ma non penso di piacere molto agli intellettuali, che usano i cantanti come vuoti a perdere: per firmare appelli o per farli esibire in specifiche occasioni. E poi cosa vuol dire intellettuale? Io lo sono più di tanti altri che comunicano con dieci persone: perlomeno arrivo a moltissima gente.

E' difficile trovare le parole adatte, oggi?

Più di ieri. Le parole sono come le note musicali: non puoi trovarne all'infinito quando hai scritto canzoni che parlavano di certi argomenti. Non riscriverei né “Pablo” né “Rimmel”. Non è un calo d'ispirazione, semplicemente non puoi ripeterti. Quando sei giovane, fai un disco all'anno. Dopo ti prendi più tempo.

Lei dice che tradurre la politica in canzone è difficile. Vale anche per la storia?

Dipende. Per me è stata di grande ispirazione: “Il cuoco di Salò”, “La storia siamo noi”, “Buffalo Bill”. Ma dev'essere storia che ti brucia dentro, perché se devi fare un tema, meglio lasciar perdere. Si può anche scrivere sulla Rivoluzione francese, ma non mi interessa. Invece farlo sulla Repubblica di Salò mi ha coinvolto per tanti aspetti.

Oggi si sente ispirato?

No, proprio no, altrimenti starei scrivendo qualcosa. Nello stesso tempo, non si può fare canzoni da tutto ciò che ti colpisce.

Perché lei, come altri artisti italiani, sente l'urgenza di un dvd antologico?

Perché il mio mestiere è quello di un uomo che si dà, che si offre, e quindi anche un dvd su ciò che hai fatto negli ultimi tre anni fa parte del tuo esibizionismo. Tenga presente che non ho mai avuto molti passaggi in tv e che sono uno degli artisti meno fotografati che si conoscano.

La coerenza, in arte, paga?

Soprattutto chi ce l'ha. Paga se stessi, non so se in termini assoluti. A volte può diventare rigore estremo e allontanare la possibilità di essere capiti. Per me questa coerenza è semplicemente essere se stessi. Non chiedersi se verrai frainteso, se una canzone piacerà o se era meglio un'altra. A fare ciò che si ritiene giusto, il primo a essere remunerato è l'artista.

Sembra il ritratto di Bob Dylan.

Sì, ma io ammiro Dylan per quello che fa, non per la sua coerenza.

Le fa piacere far parte della colonna sonora di “Masked & Anonymous”?

Moltissimo, anche se non so come si possa giustificare la mia presenza o quella degli Articolo 31: credo che Dylan e il regista siano due pazzi.

Lei ha cantato nell'ultimo album di Venditti: un'amicizia oltre il mestiere?

Siamo due musicisti che fanno cose diverse, ma il rapporto personale non si è mai interrotto.

La sua assenza brilla in appelli come quello di Vasco Rossi sulla droga. Perché?

Perché mi tengo da parte. Voglio dire: mettiamo che mi chiedano una firma contro la mafia. Mi sembra scontato dire di sì, ma poi penso: che cavolo lo fanno a fare? Insomma, cerco delle scuse per non apparire in questi elenchi. Per dire come la pensa, uno che fa il mio mestiere ha già le canzoni.

Intervista di Renato Tortarolo – IL SECOLO XIX – 20/11/2003



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