È
in gran forma, Francesco. Evidentemente soddisfatto del disco che
voleva fare da sempre. Rockettaro e inquieto, diviso fra memorie
private e dure riflessioni sul presente. Pezzi (in uscita
venerdì) è un album denso e intenso. Che ti fa
battere il piede e ti conquista con le sue melodie familiari. Ma,
soprattutto, che ti fa pensare. A te, agli altri, al mondo pazzo
che ci gira intorno. De Gregori non fa sconti a nessuno e
rivendica la sua identità di battitore libero. Di
cantastorie lucido e pungente. Con quel misto di rabbia e poesia
che serve per andare avanti. E non mollare.
Accidenti,
che disco. Ci hai messo dentro tutto te stesso...
Sì.
Racconto il mio dolce passaggio da unetà adulta a
unetà consapevolmente matura. Tra pochi giorni
compirò 54 anni, non è poco. Alcune canzoni sono
personali, altre gettano uno sguardo su quello che ci sta
intorno. Nel pezzo iniziale, Vai in Africa, Celestino!,
c'è il titolo del disco: è il ritratto di questo
mondo a pezzi, che certo non è bello da guardare. Vedo
lAfrica come esercizio della propria ignavia, luogo di fuga
esotico da un mondo in frantumi da cui si scappa per paura, noia
e incapacità di occuparsi della ricomposizione. Un mondo
dove anche le Due Torri sono banali rispetto al fatto che in
Africa, ogni giorno, muoiono chissà quanti bambini coperti
dalle mosche.
Sei
diventato cupo? Pessimista?
Non
direi. Basta sentire la radio o vedere la tv per rendersi conto
di dove siamo arrivati. Io descrivo quello che ci circonda: i
toni sono scuri e drammatici, daccordo, ma la musica non
può essere sempre e solo consolatoria.
Giusto.
E, infatti, vai giù pesante. In Tempo Reale
descrivi unItalia allo sbando. Dove, se potessi, non
vorresti nemmeno più rinascere.
È
una canzone molto dura. Ma non cè un verso che sia
contestabile: parlo delle tasse pagate dai poveri, dei morti per
terra e di nessuno che ha visto niente, delle bombe sui treni e
sugli aerei che nessuno ancora ci ha spiegato. E di quel risibile
luogo comune che dice: Se rubi non muore nessuno.
Quante volte labbiamo sentito? Però, aggiungo io, se
rubi sullattrezzatura ospedaliera, qualcuno morirà.
La
politica ci salverà?
Mah.
Per me la politica ha perso molta attrattiva. Io ero un
entusiasta, ricordo la gioia quasi fisica con cui andavo alle
urne. Il referendum sul divorzio nel 75 e le elezioni del
76 vinte dalla sinistra: cera una partecipazione, che
oggi non sento più. Continuo a esercitare il mio diritto
di voto, ma sempre più come un dovere e basta.
Invecchiato
tu o peggiorati i politici?
Oggettivamente
penso ci sia bella differenza fra i leader di adesso e quelli che
cerano ai miei tempi. Berlinguer e Moro, per esempio. Ma
anche Fanfani. Per forza e passionalità non sono
paragonabili a quelli di oggi. Comunque, resto uomo di sinistra.
Non amo la parola appartenenza, perché mi piace pensare
che domani potrei contraddirmi, ma sui temi fondamentali mi sono
sempre ritrovato a sinistra. E, giunto alla mia tenera età,
ho buoni motivi per ritenere che sarà sempre così.
Ma
come vivi nellItalia berlusconiana?
Mi
sento infastidito dalla loro volgarità e maleducazione. E
sono consapevole che dietro questo aspetto, se vuoi anche
superficiale, cè la sofferenza di un paese, di
uneconomia e di un sistema di regole che non sono più
valide e attuali. Stiamo pattinando sul ghiaccio e questo signore
che ci governa pensa solo ai fatti suoi. Non ha il senso dello
Stato e nemmeno quello del governo: si balla veramente sul ponte
del Titanic. Poi, dallaltra parte, vedo che la Sinistra è
unita solo nellantiberlusconismo, a volte espresso con toni
eccessivi che non condivido e, credo, non siano utili alla causa.
Invece non si è ancora trovato un progetto strategico e a
lungo termine per portare una Sinistra vera e moderna al governo
del paese.
Torniamo
alla musica. Il suono è scarno e rockettaro, molto
americano. Una vecchio sogno divenuto realtà?
Sì.
È quello che volevo fare da anni: mi ci sono avvicinato
progressivamente suonando live. Dalla mia parte ho una grande
band, ci capiamo con unocchiata. E ho anche un rifiuto un
po manicheo della tecnologia e dei campionamenti. Molto
meglio basso, batteria e chitarra.
A
proposito di tecnologia: ne stigmatizzi lo strapotere in almeno
due brani...
In
Lacrime di Nemo ne critico luso indiscriminato,
riallacciandomi un po allo spirito di un mio vecchio
lavoro, Titanic. In Il vestito del violinista parlo di
falegnami e filosofi chiamati a fabbricare il futuro. Credo nel
ritorno alla colla, ai chiodi e alla pialla. A una salutare
manualità.
Quella
canzone, però, è una delle più drammatiche
del disco. Fa venire i brividi. Con quella frase: Fermatevi,
non vedete! Noi siamo i bambini!.
Il
riferimento è chiaro: la strage di Beslan. Sono le
immagini più sconvolgenti che abbia mai visto. Questi
bambini che scappavano e lefferatezza di quelli che gli
sparavano. Me lo ricorderò per tutta la vita.
Ancora
tristezza. Ma vedi un po di speranza intorno a te?
La
speranza cè. Per esempio nel poter raccontare tutto
ciò ed esserne testimoni consapevoli. Sarebbe molto peggio
vivere nellignoranza. Cito il mio maestro Bob Dylan e la
sua A Hard Rain A-Gonna Falls, una canzone che vale come
tutto questo che ho scritto moltiplicato per mille. Alla fine del
pezzo dice: Starò in piedi sulloceano finché
non comincerò ad affondare, ma saprò bene la mia
canzone prima di mettermi a cantare. Ecco la mia speranza.
Intervista
di Diego Perugini L'UNITA' 23/03/2005
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