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L'Ora di De Mauro |
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Era un tipo strano. La sua faccia apparve in mezzo al telegiornale (a quei tempi uno solo, in bianco e nero). Era il 18 settembre 1970, stavo in albergo a Pesaro. Una faccia che conoscevo. Il bozzo sul naso. La cicatrice sulla fronte. Quella specie di ghigno, che forse era un sorriso. E a quel punto D. disse con voce febbrile: Vicè, guarda , Mauro De Mauro, il giornalista del LOra, il papà di Junia, ma che è successo?. Il conduttore stava leggendo: I familiari e i colleghi del giornalista del quotidiano palermitano della sera LOra, Mauro De Mauro hanno lanciato un appello: da due giorni non è tornato a casa . Junia a Palermo non la trovammo, stava in Questura ad aspettare. E quando parlammo erano silenzi e sospiri. Stringeva il cuore pensare che la più brillante delle ragazze del movimento vivesse un tale dramma. Noi proseguimmo, sbalestrati, la nostra vacanza culturale: il Festival del Nuovo Cinema, il primo film del cileno Miguel Littin, e Salomè di Carmelo Bene, unostica personale di Garrel. Erano passati due anni dal Sessantotto, e già si discuteva del riflusso, Lino Micciché spiegava che può essere politico anche un film apolitico, ogni tanto pioveva. De Mauro era un tipo strano. La redazione del LOra era un enorme, unico stanzone. Il suo posto avvolto in una nuvola di fumo, nel cassetto la bottiglia, come nei film americani. Si occupava prevalentemente di morti ammazzati, largomento non ci interessava granché. Lo sai come sè rotto il naso e la gamba quel De Mauro? I partigiani se lo sono messi sotto, gli hanno fatto pagare le torture di quando era nella Decima Mas. No, fu un incidente dauto. Sì, ma sbattè contro un tronco che avevano messo in mezzo quelli della brigata Garibaldi. E adesso scrive sul giornale dei comunisti . Ma dai, quelli del LOra sono come una repubblica autonoma, è gente strana, senza tessera. Il Pci mette i soldi, e basta . Guarda che De Mauro scrive come un dio, e laltra volta ha pubblicato una pagina splendida sui morti del luglio Sessanta. Sì, ma lavrai visto che si scorda di dire che erano manifestazioni antifasciste presenta la cosa come una rivolta di disperati. A Palermo fu anche questo l8 luglio 60, uninsurrezione senza obiettivi: ha ragione De Mauro. Il fatto è che voi a Palermo siete proprio strani . Vabbè, ma io quel mestiere lì, il giornalista, non lo farei mai: improvvisazione, pressappochismo, strani giri . Vediamo: De Mauro quando sparì aveva quarantanove anni, e mi sembrava un vecchio, non solo perché di anni ne avevo ventuno, ma perché quel suo mezzo secolo, a pensarci bene, laveva attraversato con la furia di un bisonte. Non sapevamo tante cose: che era stato sospettato e processato come lunico italiano che avesse sparato alle Fosse Ardeatine, e che era stato assolto. Non sapevamo che aveva militato nelle Ss, in quelle tedesche, o in quelle italiane, come adesso leggo in un libro dello storico Massimiliano Griner (uno che in quei giorni del 70 stava nascendo). Sapevamo su per giù che nel 48, dopo levasione da un campo per collaborazionisti, De Mauro era approdato a Palermo, con una carta didentità che portava un altro nome. Andavamo allUniversità. Il mio corso di Filosofia partì con quaranta matricole, come una grossa classe di liceo. Ci conoscevamo tutti. In Filosofia cera Junia (la figlia di Mauro) che si chiamava così in onore al principe nero Junio Valerio Borghese, e laltra sorella, Franca, che stava a Medicina, come secondo nome faceva Valeria. A Lettere moderne cera un compagno bravo, uno di Cinisi, il paesone accanto al nuovo aeroporto di Punta Raisi. Si chiamava Peppino Impastato. E LOra aveva pubblicato le notizie delle manifestazioni antimafia contro gli espropri per realizzare le piste, organizzate dal gruppo di Peppino con alcuni militanti del Pci. Peppino - venendo a studiare a Palermo - sera iscritto a Lotta Continua. LOra non stava a sottilizzare, raccolse la denuncia di Impastato, figlio di mafiosi, che fece il nome del capomafia Tano Badalamenti tra coloro che avevano brigato per la scelta speculativa dellubicazione di quelle piste. Questa, lo so, sembra una digressione, ma tanti fili si annodano: per esempio don Tano era in cima alla lista dei mafiosi citati da De Mauro in una di quelle inchieste che costarono al giornale una bomba mafiosa in rotativa. Poi De Mauro, versatile, aveva anche scritto il pezzo di colore a Punta Raisi sul primo Dc 8 Alitalia atterrato nel nuovo scalo. Ai tempi della nostra Bella (?) gioventù sembrava un ben strano giornalista. Di uno strano giornale. Di una strana città, che - anche se ci nasci e poi te ne allontani - rimane il tuo altrove. La prima volta lavevo visto nei primi anni Sessanta - un pomeriggio in redazione, che dettava per telefono a uno stenografo un lungo pezzo su una faida mafiosa. La voce roca. Sta leggendo?. Macchè, va a braccio. Cioè: senza lausilio di alcun testo scritto. Punteggiatura e capoversi, date giorno mese e anno, nome cognome età, congiuntivi e condizionali a posto, frasi scattanti, un miracolo di mestiere, dettato in pillole per telefono al giornale più innovatore, il Giorno, del presidente dellEni Enrico Mattei, di cui De Mauro era anche il corrispondente siciliano. A LOra, nel palazzotto di piazzetta Napoli, i ragazzi di sinistra trovavano un porto di mare abbastanza accogliente. Il direttore, quel vulcano duomo di Vittorio Nisticò, sera inventato, tra le altre, una pagina della scuola: portavamo notizie, scrivevamo lunghe articolesse che, massacrate da forbici spietate, vedevano qualche volta la luce. E LOra pubblicava anche lo stenografico dei dibattiti al Centro di cultura, presieduto dal sociologo-profeta Danilo Dolci, e anche lì a sedici anni davo una mano. Un po narcisi, la chiamavamo laltra Palermo: porzione di città non necessariamente di sinistra, ma molto curiosa di letture, di film, di quadri, di dibattiti, la porzione di città che trovava spazio solo nel giornale della sera. Quello, plumbeo e paludato, del mattino semplicemente taceva. Non esistevamo. Così quel giorno sentii De Mauro che borbottava qualcosa riguardo al mio intervento a un dibattito con Leonardo Sciascia. Con lattenuante delladolescenza, avevo mosso al suo Giorno della civetta , appena uscito, unaccusa ideologica, sbagliata: non aver valorizzato la battaglia contadina contro la mafia, per mitizzare, invece, il protagonista, un capitano dei carabinieri. E Sciascia, paziente, mi aveva risposto che esistono in Sicilia dove meno te li aspetti, quindi anche nelle istituzioni, uomini di tenace concetto che vogliono il rinnovamento. E che la sinistra fa male a non ascoltarli. Più rude, De Mauro mi diede - meritatamente - del cretino. Quel timbro cavernoso lavrei ascoltato in viva voce qualche anno più tardi a un telefono della Questura. Al dirigente della Squadra Mobile il giornalista palermitano che era più di casa tra gli sbirri e che era noto per essere amico personale del ministro dellInterno, Franco Restivo, urlava: Liberate quei ragazzi. Tra quei venti ragazzi ceravamo io e sua figlia Junia, beccati dalla polizia a volantinare un invito alla diserzione scritto in inglese maccheronico per i marines statunitensi sbarcati dalla portaerei Nimitz attraccata in porto, in piena escalation del Vietnam. Peace, Love, No war. Denunciati per aver violato mezzo codice penale, fummo liberati da quella voce, roca, autorevole. Qualche anno più tardi, la stessa voce impastata stonò accanto a me Bandiera rossa che trionferà, un minuto prima che con ardore giovanile io ordinassi la carica contro un picchetto di polizia sulla scalinata monumentale del Teatro Massimo per la prima della stagione del 1969, bagnata dal sangue dei braccianti di Avola. La fanciulla del West fu contestata da noi dell altra Palermo, che stavolta il giornale-amico della sera non trattò troppo bene, perché liberammo una decina di sorci in mezzo alle gambe delle signore e riverniciammo una Jaguar. Ma ho netto il ricordo di De Mauro che se ne stava in groppa a uno dei due grandi leoni del «Massimo» (precisamente quello scolpito nel tufo a inizio secolo dal nonno di Francesco Rutelli), e brandiva una bottiglia di whisky. Con laria di divertirsi molto in mezzo a una nuvola di pietre e di bottiglie di vernice. E siccome i fili dei ricordi fanno strambi scherzi, si deve anche dire che quella stessa notte il movimento si spostò dal Teatro Massimo alla Facoltà di Giurisprudenza, che quegli allocchi dei cattolici (Sergio DAntoni, Gigi Cocilovo, Vito Riggio) avevano avuto lidea trasversale di occupare con voto bipartisan assieme ai fascisti (Pier Luigi Concutelli, Ciccio Mangiameli). I quali li avevano, subito dopo, ingloriosamente cacciati, per issare sul portone dellUniversità centrale un labaro della Repubblica sociale. Così ci portammo dietro anche Mauro De Mauro, quella notte a liberare lUniversità dagli eredi della Repubblica di Salò, nelle cui file Mauro alla loro età aveva combattuto. Ci si perde in questo gioco di specchi, in cui molti, troppi, e per ragioni le più diverse hanno fatto una brutta fine: lex fascista De Mauro ucciso non si sa da chi, il fascista Concutelli allergastolo responsabile di un lago di sangue, il fascista Mangiameli ucciso da altri fascisti, il comunista Impastato, figlio di mafioso, fatto a pezzi dalla mafia. Di De Mauro si è scritto tutto, e si sa niente. È in corso lennesima inchiesta. Trentaquattro anni dopo. Lultima a vederlo vivo, laltra figlia, Franca, ricorda che sulla Bmw accanto al marciapiede di casa in viale delle Magnolie cerano tre persone. Con suo papà erano salite a bordo, e una voce disse amunì, che significa andiamo. Chi si mise alla guida partì a strappi, non doveva essere pratico. De Mauro li conosceva. Si fidava? Un giornalista investigativo si fida di tutti e non si fida di nessuno. Ma cè un momento in cui oltrepassa come un confine. E quando quella frontiera viene varcata, la fonte fidata può diventare un Giuda. E il Giuda un boia. Piombarono a
Palermo decine di giornalisti, la strana vita dello strano
giornalista fu passata al setaccio, nel ventilatore venne messo a
frullare molto veleno, sport locale preferito. Fu un grande,
tragico spettacolo. Con polizia e carabinieri luna contro
gli altri armati che raccomandavano ai testimoni di nascondere le
prove a quegli altri lì, e dicevano ai giornalisti del
LOra e ai familiari di non fidarsi (non fidarsi del corpo
di polizia concorrente, della famiglia, del giornale). Nel mio
personale Spoon River palermitano sale così lombra
di altri fantasmi: il capitano dei carabinieri Giuseppe Russo, il
commissario della Squadra Mobile Boris Giuliano, il comandante
della Legione dellArma, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Tutti e
tre indagarono su De Mauro. Anche loro massacrati dalla mafia tra
il 1979 e il 1982. Ma queste, si dirà, sono altre storie.
A quellepoca ancora sui giornali non ci scrivevo, ma li
leggevo, avidamente. E leggevamo della pista dei Cc: De Mauro
indagava sul traffico mafioso della droga, aveva scoperto
qualcosa, per questo era stato messo a tacere. Semplice,
pressoché banale, nessuna prova. E leggevamo della
contro-pista della polizia: stava indagando per conto del regista
Francesco Rosi sugli ultimi due giorni di vita del presidente
dellEni, Enrico Mattei, per questo lhanno eliminato.
Pista suggestiva, non a caso tutto parte da una sceneggiatura
cinematografica, nessuna prova. Un incastro di misteri, anzi una
matrioska, qualcuno titolò, ammiccando al
giornale «comunista» per cui lavorava quel balzano,
estroverso, misterioso, ex-fascista. Dosi di veleno saranno
destinate anche al suo giornale. Questa del naufragio è unaltra storia. Ma quel che intreccia il caso De Mauro con la vita di molti studenti di sinistra palermitani è un episodio connesso allambiente dei greci. Lo definisco nellesatta maniera di 34 anni fa: una provocazione. Eccolo: circolava tra noi un ex-dirigente di Ordine nuovo, che ritenevamo (e tuttora ritengo) sinceramente maturato a idee democratiche (ora è un affermato professionista). Si scoprì che, però - in nome della controinformazione sulle attività del giornale dei revisionisti del Pci stava dando più di una mano a un poliziotto dellInterpol di origine siciliana che veniva da lontano, forse da Milano il quale indagava sul seguente romanzaccio: uno dei greci in contatto con noi, frequentatore del LOra, avrebbe compiuto a maggio un attentato politico: laccoltellamento dellonorevole Salvatore Nicosia, deputato missino dellAntimafia. Il quale stava preparando ecco la terza, effimera pista su De Mauro un rapporto sulla speculazione edilizia e la mafia, coinvolgendo un finanziere soprannominato dai giornali mister X, che la polizia aveva larvatamente indicato nei giorni precedenti come il bersaglio grosso della pista-Mattei. Si faceva capire che i trascorsi rapporti di costui con LOra e con la sinistra gettavano ombre sul rapporto di De Mauro con il suo stesso giornale, fino a trascinare questultimo, il Pci e gli antifascisti greci sul banco degli imputati per la sparizione di De Mauro. Complicato, come un rompicapo, men che meno di uno straccio di prova, solo balle. Perquisizioni, interrogatori, uno psicodramma nella federazione del Pci, (dove noi della Fgci eravamo una specie di gruppo extraparlamentare camuffato), chiuso dalla radiazione del giovane studente-investigatore. Atto dovuto, che rimase poi agli atti della città-tritacarne come la prova provata del nostro «stalinismo» (mentre eravamo tutto - troztskisti, castristi, guevaristi, confusionari - ma non avevamo letà per rimpiangere Baffone). Lacrime, urla. Rapporti umani nella spazzatura. E sul piano delle indagini, altro tempo perso. La sensazione era questa: tempo perso, misteri da archiviare. Non sapevamo molte cose. Che la pista dei greci era il frutto di una precisa direttiva dei servizi segreti i cui vertici serano riuniti a Palermo nella saletta riservata di una villa settecentesca. Le indagini dovevano essere stoppate, deviate, inquinate, fu lordine di scuderia, come troveremo scritto - nientemeno: a Pavia, ormai nel 2002 - in unaltro faldone giudiziario, quello relativo alla morte di Mattei. Soprattutto ci sfuggiva che quel 1970, quando De Mauro svanì nel nulla, fu lanno del golpe. Per lappunto, il golpe Borghese. Fallito. Ma golpe. Non sapevamo, ancora, che a quel golpe, mafia e massoneria avevano dato la loro adesione, il supporto organizzativo: uno dei Rimi vecchia conoscenza di De Mauro in trasferta a Roma la notte di Tora, Tora; Buscetta che portava Totò Greco a Catania a perorare la causa del colpo di Stato presso Lucianeddu Liggio, capo carismatico dei corleonesi. Buscetta aveva rivelato le stesse cose, intanto, a Falcone, una specie di prova del nove giudiziaria. Ora Buscetta, e Falcone, e Liggio non ci sono più. Non cè più Mauro De Mauro, che era lunico ad avere in quel settembre 1970 tutte le carte per fare quello scoop in diretta e sventare le trame dei suoi ex-camerati: secondo me lhanno ucciso per questo. Non cè più Junia, che aveva male al cuore. Non cè più neanche D., che le telefonò quella sera da Pesaro per confortarla. Di tutto questo non sapevamo il perché. Lavrei capito, io cronista, proprio dalla voce di Liggio, che si vantò di aver respinto le profferte golpiste sedici anni dopo nellaula del maxiprocesso a Palermo: Salvai il culetto della democrazia. I giornali titolarono che Liggio vaneggiava su un golpe da operetta. E misero malissimo la notizia, perché proprio quella sera Gheddafi sparò un missilotto contro Lampedusa. Ma i giornalisti fanno un mestiere del c ., che non farei mai, dissi quella sera di settembre a D., che mi sospirò (con la sua voce più seria, come quella di una professoressa, che non fece in tempo a diventare): Adesso ci tocca di tornare a Palermo. Vincenzo Vasile L'UNITA' 05/01/2005 |
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