|
BIBLIOTECA
| |
EDICOLA | |
TEATRO | | CINEMA
| | IL
MUSEO | | Il
BAR DI MOE | | LA
CASA DELLA MUSICA |
|
LA CASA DELLE TERRE LONTANE |
| LA
STANZA DELLE MANIFESTAZIONI | | | NOSTRI
LUOGHI | | ARSENALE
| |
L'OSTERIA | | LA
GATTERIA | |
IL PORTO DEI RAGAZZI |
Renato
Nicolini |
||
Un secolo con Marlene |
Cent'anni fa nasceva Marlene Dietrich. In lei come in poche altre, Greta Garbo, Marylin Monroe, - l'attrice e il modo con cui la diva ha vissuto la propria vita sono strettamente intrecciate, fino a diventare delle icone, delle figure morali del nostro tempo. Interpretarle è sempre un esercizio difficile. In esse bisogna sapere scorgere quello che le rende riconoscibili, e cioè in sintonia con la mentalità più diffusa; e quanto invece è nuovo, le distingue dai vecchi archetipi della cultura di massa che proprio la loro apparizione sostituisce. Marlene nasce al cinema alla fine degli anni Venti, quando l'industria cinematografica tedesca riusciva a fare concorrenza ad Hollywood. Metropolis di Fritz Lang è del 1926, L'angelo azzurro il film di Lola Lola, il personaggio da cui ha la sua prima origine il mito della Dietrich è del 1930. La Via senza gioia di Pabst è del 1925. Cito questo film ormai piuttosto dimenticato, perché la protagonista è Greta Garbo, e, se la memoria non mi inganna, la Dietrich vi compare in un piccolo ruolo. Ma il periodo della grandezza del cinema tedesco è molto breve, le tappe dell'ascesa di Hitler ne scandiscono l'autodistruzione. Murnau, dopo la grande trilogia con Emil Jannings L'ultima risata (1924), Faust (1925), Tartufo (1925) già nel 1927 gira ad Hollywood Aurora. Lo stesso 1930 in cui Emil Jannings ha gridato a Lola Lola il suo disperato chicchirichì, simbolo dell'estrema degradazione dell'intellettuale in un mondo in cui non sa più riconoscersi né rispettarsi, nei grandi studi di Berlino; si concluderà per Marlene, sempre con Josef von Stemberg regista, con Marocco, il primo dei suoi film americani.
La particolarità di Marlene Dietrich sono forse proprio la libertà e la leggerezza con cui sa muoversi nel mondo a metà già globale (ne è una prova proprio l'emigrazione del cinema tedesco e se la stessa cosa si potrebbe dire per l'architettura e Mies van der Rohe negli Stati Uniti) ed a metà rigidamente ideologico che, se ha il suo culmine negli Anni Trenta, contrassegna l'intero arco del Novecento. Marlene non resta ferma, sa cambiare seguendo il flusso del tempo. Basta paragonare due film separati tra di loro da nemmeno dieci anni, che un po' si richiamano nel titolo, ma sono profondamente ed intimamente ed intimamente diversi come L'angelo azzurro, e lo straordinario Angel (1937) di Lubitsch. In Angel Marlene non ha più nulla della ragazzona tedesca consapevole unicamente della propria sensualità, diretta da von Stemberg un po' secondo il cliché dell'opposizione tra una sana sensualità popolare e polverosa astrattezza della cultura scolastica, nel clima di autoflagellazione moralistica degli ultimi anni della Repubblica di Weimar. Si tratta invece di una donna libera e padrona di sé, capace di giudizio e di mediazione: la quale, trovandosi inaspettatamente in casa, ospite del marito (Herbert Marshall) con cui è felicemente sposata, l'amante occasionale di qualche giorno di passione (Melvyn Douglas) gestisce con intelligenza la difficile situazione. Altro che angelo come Melvyn Douglas con conoscendone il nome l'aveva soprannominata, secondo il tipico schema maschile per cui le donne sono solo capaci di seguire le grandi passioni amorose delle quali si fanno volontariamente schiave! Marlene riesce a dare credibilità e simpatia ad una figura che forse entra così per la prima volta nel cinema e nell'immaginario moderno. Quello dell'adultera non votata né alla morte passiva di Effi Briest né al suicidio di Anna Karenina; ma capace di distinguere e con più sottigliezza ed humour del corrispondente adultero di sesso maschile tra le ragioni del piacere e le ragioni complessive della propria vita. Una figura moderna ed antiromantica, che parla la lingua della scelta, della maggiore convenienza, della mediazione, piuttosto che la vecchia lingua del destino, del sangue e della morte. Nei sette anni che separano L'angelo azzurro da Angel Marlene è divenuta pienamente se stessa. Una donna moderna e libera, molto diversa dalla figura condannata al cliché della donna fatale di Lola Lola. Anche i suoi tratti somatici si sono addolciti ed affinati. Soprattutto e questa non sembri una ritrattazione del mio elogio si sono fatti ambigui, perché dove ci sono modernità e libertà c'è anche ambiguità. Voglia di sfumare i confini tra bene e male, tra piacere e dovere, tra abbandono dell'amore e padronanza di sé, di esplorare la sessualità oltre lo schema eterosessuale/omosessualità. Capacità di contestare in questo modo la pigrizia maschile, che è anche la pigrizia del potere, di fronte alle sfumature, all'assenza di confini e di regole alla cui osservanza delegare fiduciosi il nostro comportamento. La Dietrich saprà dare a questa sua versione americana (cui arriva dopo i film ancora europei e romantici che gira con Joseph von Stemberg) grande durata e continuità. Senza alcun imbarazzo nei panni della bad girl, capace di non sentirsi a disagio neppure di fronte alla pretesa del giovane presidente John Kennedy di fare l'amore con lei, forse più con il mito che con la donna. La Dietrich ha qualche dubbio solo sulla posizione. Dovrà essere lei, più anziana, a mettersi sopra, per riguardo ai problemi di schiena di John Kennedy? Questo aneddoto può suggerire qualche forse impropria divagazione morale sul modo con cui sono cambiate, nel Novecento, le relazioni tra sessi soprattutto alla luce del potere.
Perché chiamo moderna l'ambiguità della Dietrich? Perché questa ambiguità libera, o libera ambiguità che dir si voglia, concerne esclusivamente l'ambito dei comportamenti individuali di fronte al propria vita personale. Questa ambiguità non ha invece mai segnato le scelte politiche della Dietrich, in particolare la sua ostilità al nazismo. Dopo che non solo Marlene, ma la Garbo, Fritz Lang, Murnau, etc. emigrano in America, il cinema tedesco dovrà prendere una nuova strada. Segnata prima dal volto di Leni Riefensthal attrice, dai suoi film girati sulle montagne tedesche, in presenza della candida neve, come se fosse possibile divenire tutto spirito e niente corpo. E poi da Leni Riefensthal dietro la macchina da presa, Il trionfo della fede, Il trionfo della volontà. Alla debole volontà invece delle eroine interpretate dalla Dietrich corrispondeva un chiaro e fermo giudizio politico contro il nazismo. Che spinge Marlene a rifiutare i tentativi del governo nazista di riportarla in Germania (evidentemente la Leni delle nevi non bastava a scacciare l'immagine di Lola Lola), e a collaborare attivamente con gli alleati, nelle forme che erano possibili ad un'attrice: spettacoli, propaganda, nel corso della Seconda Guerra Mondiale- Grazie, Marlene, per aver distrutto certi vecchi schemi dello spettacolo creandone di nuovi, e soprattutto per aver tenuto fermo che, nel grande turbinio di mutamenti che caratterizza il nostro tempo democrazia ed antifascismo restano valori fissi.
Renato Nicolini - L'UNITA' 27/12/2001
|
MOTORI
DI RICERCA | UFFICIO
INFORMAZIONI | LA
POSTA | CHAT
| SMS
gratis | LINK
TO LINK!
|
LA CAPITANERIA DEL PORTO | Mailing
List | Forum | Newsletter | Il
libro degli ospiti | ARCHIVIO
| LA
POESIA DEL FARO