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Oggi mi limito a riportare un'intervista del tazebao "Manifesto" ad un vecchio bolscevico. Uno che s'è divertito a distorcere la storia, come fanno tutti gli scrittori ed i media di sinistra (e, come dice il Libertador, i media sono tutti di sinistra!). È terribile soprattutto l'ultima domanda/risposta. Quindi oggi non scrivo nulla, non vi riporto della guerra santa destro-RAI (e Mediaset, vedi <https://www.ilportoritrovato.net/html/dli928.html> ) contro Codacons, Adusbef e Federconsumatori ("Il programma della Guzzanti porta innegabili benefici, anche economici, alla Rai. La cancellazione determinerebbe un danno per il bilancio della rete di stato e, di conseguenza, un danno doppio per i teleutenti: il primo sotto il profilo del gradimento, privando i telespettatori di un programma che piace, il secondo di natura economica, visto che i teleutenti pagano il canone."), o quella Martino (eroico ministro della difesa: "Dispiace doverlo dire, perchè Bianco è un mio amico ma se è stato lui a fare quelle dichiarazioni - Nota di &rea: rivelazioni su cosa il Sismi pensa della drammatica situazione italiana in Irak - è venuto meno a quello che è un suo preciso obbligo e non avrebbe dovuto esternare ai giornalisti certe cose, che sono coperte da riservatezza") contro Bianco ("Non sono state assolutamente divulgate notizie riservate. L' alto rischio per il nostro contingente in Iraq era stato segnalato già nella Relazione semestrale al Parlamento dei servizi segreti."), o... consideratemi un vero fannullone: vi ripeto quanto sotto senza interpretazioni, certe cose si commentano da sole.
Stay. &rea
INTERVISTA
A MARIO RIGONI STERN
di Iaia Vantaggiato (dal Manifesto)
Un rotolo di fogli conservati in uno zaino, un giaciglio, una baracca: il lager tedesco di Masuria. Qui comincia l'attività letteraria di Mario Rigoni Stern, all'epoca sergente maggiore nel corpo degli alpini e poi sopravvissuto alla drammatica ritirata di Russia dell'esercito italiano consumatasi tra la fine del '42 e l'inizio del `43. A quell'esperienza, Rigoni Stern dedicherà le pagine di uno dei libri più intensi e vibranti del dopoguerra, «Il sergente nella neve» che Elio Vittorini pubblicherà per I Gettoni di Einaudi nel 1953. Di quest'anno è la sua ultima raccolta di scritti - Storie dall'altipiano - curata da Eraldo Affinati per i Meridiani.Con Mario Rigoni Stern proviamo a cercare parole adatte a commentare la strage compiuta ieri a Nassiriya nella quale 17 italiani - undici carabinieri, quattro soldati dell'esercito e due civili - hanno trovato la morte. E, con loro, molti iracheni tra i quali anche numerosi bambini.
Quella di Nassiriya è la strage più grave compiuta contro una missione italiana «cosiddetta di pace» da quando, nel 1961 in Congo, 13 nostri aviatori vennero trucidati.
Lei dice, a ragione, «cosiddetta di pace». Perché ad occasionare questo danno, questa tragedia, sono stati gli americani - l'amministrazione americana, intendo - con quella loro caccia insensata di armi segrete e di distruzione di massa della cui esistenza non sono mai riusciti a fornire, del resto, prova alcuna. E forse ora sarebbe il caso che cominciassero a cavarsela da soli.
Al momento, però, la guerra è piombata anche addosso a noi.
Vede, questa situazione è ormai diventata un vero vespaio. Gli iracheni che si ribellano all'occupazione americana non fanno più distinzione tra americani, inglesi, italiani o quant'altri. E hanno ragione.
Vuol dire che il discorso retorico costruito intorno alla categoria degli «italiani brava gente» non regge più?
A volte abbiamo condotto missioni che veramente hanno giovato alla pace. Ma non è questo il caso. Stiamo attraversando un brutto momento e temo che momenti anche peggiori di questo ci aspettano. Certo resta il dolore. Come sempre quando si vede morire qualcuno.
Non vede, insomma, nessun senso - che so, politico, militare, strategico - che possa, non dico giustificare, ma almeno spiegare questa missione?
Assolutamente no. Il nostro coinvolgimento è stato esclusivamente determinato dal desiderio di Silvio Berlusconi di far bella figura non tanto con gli Stati uniti intesi come popolo o nazione ma con George Bush.
Crede sia arrivato il momento di ritirare le nostre truppe da un fronte che - a dispetto della presunta fine della guerra - sembra essere diventato ancora più caldo?
A questa guerra e al nostro intervento «di pace», io sono sempre stato contrario e contro l'invio delle nostre truppe in Iraq ho anche manifestato. Da questa idea nessuno potrà dissuadermi. Ritirare le nostre truppe dall'Iraq sarebbe, certamente, la soluzionemigliore ma temo che molti la prenderebbero come un atto di vigliaccheria. Più che le singole nazioni, in questo momento dovrebbe intervenire l'Onu. Riprendere a farsi sentire.
Ma è proprio l'Onu che - insieme alla Croce Rossa - sta procedendo a una vera e propria smobilitazione.
Segno più che evidente della brutta piega che hanno preso i fatti. L'Onu dovrebbe riprendere ad imporsi così come l'opinione pubblica - soprattutto europea - dovrebbe cominciare a far sentire la sua voce.
Il cosiddetto dopoguerra in Iraq quanto le ricorda il lontano ma mai dimenticato Vietnam?
Al Vietnam ho pensato da subito. Non si poteva non farlo di fronte all'esplodere delle prime ribellioni, alla messa in atto delle prime azioni partigiane. Perché di resistenza si tratta nonostante il peso di fanatismi e fondamentalismi che su di essa grava ma che tuttavia meriterebbero un discorso a parte.
«In nome della patria». Lei ha vissuto sulla sua pelle il significato di questa espressione. Cosa significa per lei?
Questa
parola ci ha visto morire per il mondo e sempre dalla parte del
torto. Con Hitler, con i nazisti. In Grecia, Russia, Jugoslavia. Dal
10 giugno del `40 le nostre sono state solo guerre di aggressione.
Del resto, chi dice sempre «amore amore amore» non sa
amare. Lo stesso è per la patria. Chi insiste sul concetto di
amore di patria non ama la patria. Io ritengo che Berlusconi non ami
l'Italia ma solo se stesso e, naturalmente, i suoi soldi.
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