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DON
MILANI |
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Barbiana
" cattedra della Povertà"
Nel
dicembre del 1954 Don Milani viene nominato priore della
chiesa di S.Andrea a Barbiana, una piccolissima parrocchia sul monte
Giovi, nel territorio del comune di Vicchio del Mugello. La chiesa
del '300 e la canonica, situate a 475 metri di altitudine sopra il
vasto paesaggio della valle della Sieve, erano, e lo sono ancora,
circondate da poche case e dal minuscolo cimitero.
Racconta
Gina Carotti, amica e popolana: " Barbiana era una parrocchia di
montagna con pochi abitanti, sprovvista di luce e di acqua. Di sera e
nel mese di dicembre che faceva buio presto, era piuttosto triste ".
Era una località irraggiungibile da automezzi perché
non vi era ancora la strada ed era abitata solo da cento contadini
che resistevano all'esodo verso la città. Da tempo, il vecchio
parroco don Mugnaini aveva annunciato la chiusura.
Per la
curia fiorentina, isolare don Lorenzo Milani era la giusta punizione
da dare a un sacerdote che non amava le processioni, le feste, che
privilegiava i più poveri e più umili e che aveva
creato una scuola dove erano ammessi gli operai comunisti. Un uomo
che vede nel consumismo, e nelle sue attrattive alienanti, la causa
dell'allontanamento del povero dalla Chiesa e dai valori cristiani.
In questo modo il vescovo pensò di riconciliarsi con i
cattolici benpensanti e anticomunisti di Calenzano che erano andati
da lui a lamentarsi. Morto don Pugi, il vecchio parroco, bisognava
mandarlo via da San Donato.
E fu così che don Lorenzo
Milani giunse a Barbiana quel lunedì del 6 dicembre 1954: "
un'esperienza così intima e sofferta che non è tutta
traducibile in parole, qualcosa che parla alla coscienza prima ancora
che all'intelligenza " (Gaetano Arfè').
Quei 7
chilometri tagliavano fuori dal mondo! Le lettere bisognava andarle a
prendere a Vicchio. Ancora oggi, la stanza e il pergolato, nella
quale e sotto il quale si svolgevano le lezioni, restano ancora là.
A testimonianza di questo prete. Posto dalla Provvidenza in un angolo
sperduto. L'unico che potesse accoglierlo.
Il giorno dopo il
suo arrivo, aveva raggruppato i ragazzi delle famiglie attorno a sé
e in una scuola. Li liberò subito dalla passività e li
rese responsabili. In questa scelta si fonderannono la pedagogia e la
pastorale, il prete e la scuola.
Nel 1965 è portato in
tribunale, accusato per apologia di reato, per la "lettera ai
cappellani militari" in congedo. La sua autodifesa, la "lettera
ai giudici", sono tra le pagine più belle della sua
letteratura. L'impatto con la cultura contadina e l'analfabetismo di
noi montanari maturerà e radicalizzerà in lui la
necessità di dare più centralità alla scuola. Ed
è proprio qui, nell'isolamento più totale, che emerge
la figura del maestro.
Dopo l'esperienza a san Donato capisce
che non si può amare, concretamente, che un numero limitato di
creature. Per pochi ragazzi, semianalfabeti, figli di pecorai e
contadini oppure orfani, apre una scuola che inizia all'8 del mattino
e termina a buio. Una scuola che non conosce vacanze e che rifiuta le
metodologie e le tecniche d'insegnamento nozionistico e
trasmissivo.
" Lettera a una professoressa " è
il risultato di un anno di attività a Barbiana, con un maestro
ormai nel pieno della sua maturità. Il maestro Milani
trasforma il giornale in materia scolastica. Trasforma, in ricerca e
produzione di materiale didattico, il lavoro d'équipe, da lui
diretto, svolto con i ragazzi, gli abitanti e i numerosi visitatori.
Una grande rivoluzione culturale, didattica e pedagogica che rifiuta
l'indifferenza, la passività negativa e motiva fortemente
l'allievo. Un libro, che pur essendo all'interno della premessa di
quel grande movimento trasformativo quale fu il '68 italiano, andava
oltre e avrà validità fino a che esisteranno sacche di
povertà e selezione. Un libro che crede nell'evolversi della
storia e obbliga l'educatore a usare un metodo formativo aderendo al
mondo dell'allievo. il maestro " dà al ragazzo tutto
quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge
qualcosa e così l'umanità va avanti ".
Don
Lorenzo Milani fu un educatore esigentissimo. L'esperienza di
Barbiana, non è ripetibile, infatti più che una scuola,
lui aveva creato una comunità. Francuccio direbbe: una
famiglia. Povero tra i poveri, tenne gli occhi sgranati su una
realtà, all'interno della quale, visse con coerenza feroce.
Tutti i suoi scritti, nel periodo in cui abitò Barbiana,
nacquero per motivi pedagogici.
Nel dicembre del '60 si manifestano i sintomi del linfogranuloma e della leucemia.
Muore in casa della madre il 24 giugno 1967 all'età di 44 anni.
Sta in www.barbiana.it/biografia.html
Per approfondimenti: www.barbiana.it
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