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DEL
DIRITTO ALLA BUONA ACQUA |
A meno
di tre settimane dal vertice di Johannesburg sullo sviluppo
sostenibile crescono le preoccupazioni per quelli che potranno essere
gli esiti del summit. A dieci anni dal grande vertice della Terra (la
conferenza Onu su ambiente e sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel
1992) abbiamo straordinariamente incrementato le nostre conoscenze
scientifiche sugli effetti che lintervento umano sta causando
ai sistemi naturali. Tutti gli scienziati che a livello mondiale si
occupano delle cosiddette Global Change Sciences, sono estremamente
preoccupati per lo stato di salute dei sistemi naturali e per le loro
capacità di rigenerazione rispetto ai nostri tassi di utilizzo
e di recettività rispetto alle nostre produzioni di rifiuti
solidi, liquidi e gassosi che ormai hanno assunto livelli
insostenibili.
Tutti i numerosi rapporti internazionali che
in questi anni si sono moltiplicati e sono stati prodotti da
prestigiosi istituti di ricerca, accademie scientifiche e grandi
programmi internazionali di ricerca (come lInternational
Geosphere Biosphere Programme, IGBP) hanno esplicitato, con una ricca
messe di dati, le loro preoccupazioni.
Recentemente lo stesso
Programma delle Nazioni Unite per lAmbiente (Unep) ha
pubblicato il suo «Environmental Outlook 2002» in cui
sono riportati i dati sulla «salute» dei sistemi naturali
di fronte ai quali non si può restare inerti. Chi si occupa di
cambiamenti globali ed ha una frequentazione con le foto da satellite
che, in questi dieci anni, sono sempre più perfezionate ed
accurate, può «vedere», si può dire in
tempo reale, tra le tante cose, la trasformazione dovuta
allintervento umano di straordinari ambienti naturali, come le
foreste o può assistere, al distaccarsi di masse di ghiaccio
come la piattaforma «Larsen B» in Antartide con una
superficie equivalente a quella della Val dAosta, dovuta
verosimilmente allincremento della temperatura media in
quellarea.
Purtroppo quello che ci colpisce
profondamente è la totale inadeguatezza della risposta
politica. A fronte di questa migliorata conoscenza la risposta
migliore che viene fornita è linazione, lo scenario
migliore che viene proposto è quello «Bau»
(Business As Usual): fare come se niente fosse.
Johannesburg
potrebbe costituire la grande occasione per promuovere impegni
concreti nella direzione delle energie rinnovabili, della corretta
gestione della risorsa acqua, della tutela della straordinaria
ricchezza di vita sul nostro pianeta che costituisce una sorta di
«rete» senza la quale la nostra stessa sopravvivenza è
messa a rischio, degli impegni precisi ed efficaci per cercare di
sradicare la povertà, condonando i debiti, avviando processi e
progetti di sviluppo sostenibile per le aree agricole, le foreste, le
acque dei paesi poveri, per evitare che gli interessi commerciali
siano sempre al primo posto rispetto agli interessi dellambiente
e della salute degli abitanti della Terra. Ma tutto questo non sta
avvenendo.
Si arriva a Johannesburg con testi preparatori,
negoziati in ben quattro riunioni internazionali lunghe e defatiganti
dalle delegazioni di tutti i governi, molto generici, privi di
impegni concreti, di tempi entro cui raggiungere tali impegni e della
specifica dei mezzi di implementazione degli stessi.
Il mondo
della società civile, delle organizzazioni non governative, è
mobilitato da tempo per avvisare i «potenti» della Terra
che è giunta lepoca dellazione, dellavvio di
unineludibile cambiamento di rotta, che non si può
continuare a credere che il nostro sistema economico e produttivo sia
al di fuori dellecosistema globale come abbiamo fatto sino ad
oggi, pensando che il solo obiettivo delle politiche di tutto il
mondo sia il raggiungimento della crescita del Pil. Johannesburg è
una grande sfida che non può fallire. Le responsabilità
del fallimento sarebbero gravissime per il futuro di noi tutti e il
costo dellinazione sarebbe insopportabile.
A Johannesburg
bisogna andare con la precisa volontà di cominciare a voltare
pagina.
Gianfranco Bologna
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