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Gli smemorati amici di Pinochet

In Sudamerica a volte diventa un aggettivo. Lo usano con disprezzo i politici, Tv e giornali per fare l'esempio di qualcosa che non va. Caos istituzionali, magistrati schiacciati dai governi, pressapochismo: soprattutto corruzione. Nella provocazione di “8 e mezzo”, primi pensieri ragionati delle serate televisive, Giuliano Ferrara ha decorato Pinochet con una medaglia che l'Italia invidia. La sua dittatura è stata terribile eppure quando si è arreso alla democrazia bisogna riconoscere che il Cile aveva cambiato faccia: era diventato un paese dall'economia che funziona. C'è chi sta benissimo e chi benino, a differenza dell'altro Sudamerica che ha l'aria di un continente alla deriva, dove i conti non tornano e la disperazione si rappresenta nelle strade.

Per non cambiare l'aggettivo ingiusto diciamo che l'analisi è un po' sudamericana.

E' vero che i conti di oggi non sono un disastro. Normali difficoltà da indurre in tentazione. Ed è normale pensare in segreto che il metodo Pinochet potrebbe dare all'Italia gli stessi risultati. Ci si può provare tenendo conto di una divisione obbligatoria per il successo della manovra: cittadini privilegiati, divisi dagli altri. Vediamo come.

Nel 1980 un ministro si affaccia in televisione per annunciare che le pensioni cambiano: l'ha deciso il governo. Gli anni di anzianità diventano un optional. Spariscono gli interventi statali mentre il conteggio deve rispettare rigidamente solo l'ammontare di ciò che si è versato dal primo giorno di lavoro al giorno di riposo. Nascono i fondi pensione. Chi non li sottoscrive non ha diritto a niente dopo sei mesi di ammortizzatori sociali. Un disastro per i signori di una certa età sfiniti dall'inflazione e da stipendi inferiori al salario minimo: il 40 per cento della popolazione viveva così. E perde anche quel poco. Il governo Allende stava promuovendo una riforma per modernizzare la previdenza garantendo pensioni dignitose. Ma arriva Pinochet e le pensioni spariscono. Metodo violento, senz'altro efficace per risanare i conti pubblici. Resta solo il fastidio della gente che sottovoce si lamenta.

Dieci anni più tardi, dopo il referendum che detronizza il generale, metà popolazione era sull'orlo della povertà, eppure la loro vita di stenti sembrava un paradiso a quel 20 per cento di cileni precipitati sotto il segno della sopravvivenza. Nessuno ne parlava. La pax militare regnava senza incidenti. Un governo con rete sofisticata di tre polizie segrete, impedisce ogni sussulto. Si poteva tacere o scappare. Non solo per dissidenza politica ma per aver smarrito la dignità che fame e miseria rubavano alla gente.

Bisogna dire che i “Chicago's boys” sono stati fortunati. Col regime in divisa, il Cile è diventata la cavia ideale che ogni Tremonti sospira. Nessuno osava fiatare alla proposta di provvedimenti che rendevano più libera e protetta “il 30 per cento della popolazione trainante” Gli altri dovevano portare pazienza. Prima o poi la crescita del benessere li avrebbe raggiunti.

Il guaio è che nel 1989, malgrado stipendi limati sotto l'inflazione, liberismo e le sperimentazioni senza sfumature della prima globalizzazione, il Pil (prodotto interno lordo) era precipitato al 3,5, perdendo 3 punti rispetto al Pil di dieci anni prima.

Per uno statista che difendeva il potere con le carovane delle morte e i prigionieri da far sparire nello stadio, svuotare le 52 Casse di previdenza alle quali i lavoratori dipendenti affidavano da quasi un secolo il loro futuro, non era un'operazione cruenta. L'ha conclusa con la rapidità dello stratega. Ma senza quel trionfo che i suoi teorici annunciavano. E un milione avevano scelto di emigrare. Fuga gigantesca su 13 milioni di abitanti. Non solo per respirare libertà e sfuggire le persecuzioni; soprattutto alla ricerca di una vita appena possibile. Insomma, mangiare e non dormire nelle baracche. Storia di ogni profugo.

L'impegno silenzioso del presidente democristiano Aylyn, pur compresso da Pinochet che si era tagliato una Costituzione su misura garantita dalle forze armate delle quali restava comandante; l'impegno di Aylyn è stato il recupero della dignità economica di milioni di cileni. Impresa disperata che tredici anni di democrazia non hanno ancora concluso. Un po' per crisi internazionali, soprattutto per quel 30 per cento di privilegiati disegnati dai “Chicago's boys”: hanno ingigantito il potere ed è ancora complicato strappare concessioni decenti. Le privatizzazioni più appetibili sono finite nelle mani della grande borghesia fedele al grande vecchio, o ai generali della Casa Militar. Fabbriche di armi, banche, joint ventures con investitori stranieri ai quali si garantiva “assoluta tranquillità sindacale”. Non spiegando come. Ne sono arrivati tanti. Il fallimento del liberismo argentino il quale affida i suoi egoismi alle forme della democrazia, fa capire che liberismo e globalizzazione funzionano quando una sola mano forte ed armata impone le regole: dal cancellare le pensioni alla privatizzazione (un pò grottesca) di fiumi e leghi. Come se in Italia un generale in pensione diventasse proprietario del Po. E poi lo rivendesse agli spagnoli ormai quasi in monopolio nella produzione cilena di energia elettrica e distribuzione di acqua potabile alle città.

Ma la democrazia, che il socialdemocratico Lagos rafforza, sta ridando speranza a piccoli e medi imprenditori. Il liberismo selvaggio applicato come un bisturi li aveva costretti al fallimento. Alla fine degli anni '70 Santiago sembrava la città dei balocchi: tutti i “made” del mondo, dalle scarpe ai tessuti, sfolgoravano nelle vetrine. Bisognava cercare col lanternino i prodotti cileni. Gli stessi pinochetisti che avevano battuto le pentole contro Allende, guardavano perplessi.

Nel 1984, ad Alexandra, Virginia, poco lontano da Washington, in una foresta residenziale addomesticata da centinaia di villette con inquilini dipendenti dal Dipartimento di Stato o servizi segreti, ho incontrato Leon Villarin. Guidava il sindacato dei trasporti che per mesi ha paralizzato il Cile, bloccando la distribuzione di generi alimentari e di ogni produzione. Un anticipo del Venezuela di oggi, anche se la pasta di Chavez è diversa da quella di Allende. Come raccontano i documenti declassificati dal presidente Clinton, Villarin era entrato in contatto con la Cia mentre Allende stava per vincere le elezioni. Quando ci siamo parlati era solo un vecchio signore senza pensieri. Si godeva la pensione nel bosco della Virginia, premio per aver messo in ginocchio il Paese come aveva previsto la strategia di Vernon Walker, responsabile Cia per l'America Latina. L'ultimo messaggio portato da firmare a Villarin dall'ingegner Hernandez (assistente di Walker e sposato con Angela Westmoreland, figlia del generale del Vietnam) chiedeva a nome di un gruppo di lavoratori “così importanti per l'economia” che “esercito, aviazione e marina intervenissero per salvare il Cile dal caos economico”. Appello raccolto come da copione. Intanto Villarin partiva per il “buen retiro” di Washington. Ma nel giardino della sua piccola casa, un dubbio lo inquietava: “Avevano promesso un tipo di sviluppo che avrebbe modernizzato il Paese aprendo a tutti, tutte le possibilità. Non è andata così. Mio figlio ed un nipote hanno dovuto chiudere bottega. La crisi è peggiorata. Sto facendo le carte per farli emigrare”.

E' vero che le tragedie dei popoli lontani o di milioni di senza nome si ricordano solo se i colori sono forti. La loro quotidianità disperata non fa notizia, ma la strategia dei generali (ancora economicamente potenti: banche, industrie siderurgiche, agenzie di servizi) resta la stessa: cancellare la memoria. Per salvare il ricordo dell'Olocausto ci siamo dovuti mobilitare contro la disattenzione. Anche in Cile, e ovunque, la memoria dà fastidio a chi ha ed è cresciuto nella fortuna e rifiuta di rivangare le violenze che non si è impegnato ad evitare. A Santiago hanno provato a cancellare la memoria di tre generazioni partendo dalla scuola. Testo dell'Università Cattolica, la più importante del paese, “Nueva historia del Chile”: dedica 8 righe su 575 pagine al colpo di stato che costringe Allende al suicidio, 7 righe annunciano l'impegno della giunta militare: “Restaurare la cilenità bruciata, la giustizia e le istituzioni per porre fine al caos politico ed economico del totalitarismo marxista-leninista, pericolo mortale per la libertà. Bisognava salvare l'anima della nazione”. E per salvarla Pinochet fa le cose che sappiamo: regna da solo, leggi d'emergenza che negano libertà individuali e aggiungono al coprifuoco armato un coprifuoco morale. Altre venti pagine del testo raccontano le meraviglie del miracolo economico dovuto al liberismo.

Ancor più semplificata la versione per le scuole dell'obbligo: “Historia de Chile” di Walterio Millar: 67 edizioni in 17 anni. Tre quarti di una paginetta che finisce così: “Il presidente Allende non ha potuto concludere il mandato perché il suo governo ha provocato caos economico, disoccupazione, mercato nero e code sempre più lunghe davanti ai negozi vuoti. Per evitare una sanguinosa guerra civile e restituire al Cile pace e serenità, Forze Armate e Carabinieri hanno assunto il comando supremo”.

Col Pinochet dichiarato incapace di intendere e volere, la presidenza Lagos può finalmente educare i ragazzi in modo corretto. Invecchiano anche gli altri generali e i processi li inseguono. Si stanno riscrivendo i libri. Fino a due anni fa era ancora complicato. Realtà difficile da leggere da lontano.

Anche la democratizzazione dell'informazione procede a passi lenti. Nel Mercurio, grande quotidiano, Corriere della Sera cileno, nessuno può ancora firmare gli articoli. Come aveva stabilito Pinochet, la responsabilità delle notizie deve essere controllata da un collettivo di fiducia. Cronisti ed esperti portano le novità raccolte. Una commissione di estensori, con dentro un ex militare, le scrivono. Dalla politica allo sport. Forse è stata questa reticenza o i testi di scuola che ancora regnano a Santiago a confondere gli esperti di “8 e mezzo”. Vero che il Cile batte l'Argentina due a zero, ma una squadra ha giocato con l'elmetto e la maggioranza degli spettatori non ha potuto godere la partita.

Maurizio Chierici – l'UNITA' – 03/02/2003




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