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Negroponte ambasciatore porta pena

Forse Zapatero ha capito come verrà governato l'Iraq dopo il 30 giugno, ed anticipa il ritiro. L'idea che i soldati spagnoli, attraverso filtri formali, dovessero obbedire alla strategia di John Dimitri Negroponte scelto da Bush al posto di Bremer, ha messo in allarme governo e diplomazia spagnola. Negroponte non sarà governatore, solo ambasciatore al quale il nuovo governo iracheno dovrà obbedienza, ma è sempre stato un ambasciatore speciale nella lunga carriera in America Latina, continente che Madrid segue con sensibilità sconosciuta al resto d' Europa. In fondo è un'appendice della sua storia.

La presenza di Negroponte ha sempre impaurito. Nel 1989 quando Bush padre lo manda in Messico spaventato dalla crescita elettorale della sinistra di Cardenas, il presidente Carlos Salinas tenta di respingerlo.

Stampa e Tv messicane non risparmiano gli aggettivi. Jorge Castaneda, intellettuale dal fascino che incanta le nuove generazioni; professore di scienze politiche all'università e provvisoriamente ministro degli esteri; Castaneda, ripete l'allarme a giornali e Tv: “È un guastatore di professione. Dal Vietnam all'Honduras ha sempre risolto problemi fastidiosi per Washington, con mano spietata”.

64 anni, appartiene al gruppo di potere cresciuto attorno a Nixon, Reagan, Bush: lo ha conosciuto nelle rimpatriate dei vecchi allievi di Yale. La sua carriera accompagna e si intreccia con quella di Otto Reich (oggi responsabile per l'emisfero occidentale, scuola Cia di Vermon Walker), Oliver North, la spia che ha sfidato il Congresso rifiutando di rivelare la “guerra sporca” della quale è stato protagonista, ma anche di Colin Powell, soprattutto del generale Westmoreland, il primo a intuirne il genio in Vietnam.

Durante l'agonia del Vietnam, Negroponte era solo un tranquillo americano, ambiguo e sorridente come il protagonista di Graham Green. Diplomatico che si dichiara «innamorato del generale Van Thieu. Parla perfettamente il vietnamita e la sua amicizia con i militari estremi del regime, alimenta le leggende dell'ambasciata. Kissinger lo porta a Parigi alle interminabili trattative di pace. E a Parigi Negroponte gli si rivolta accusandolo di accogliere con eccessiva debolezza le “pretese” di Hanoi.

Durezza che piace: Reagan lo vuole nel suo consiglio di sicurezza accanto a Colin Powell e dopo la vittoria sandinista in Nicaragua, fuga del dittatore Somoza, alleato obbediente ai falchi Usa, per ridare forza alla presenza americana nei paesini dell'istmo, lo nomina ambasciatore in Honduras. È il suo capolavoro. Trasforma la piccola delegazione, piccola perché il paese conta 3 milioni di abitanti, nella più grande ambasciata delle due Americhe: 6 mila funzionari, tanta Cia. Assieme ad Oliver North organizza l'armata dei contras, controrivoluzionari che fanno la guerra al Nicaragua per “ristabilire l'ordine”. Il povero presidente dell'Honduras obbedisce; il generale Alvarez ne diventa il braccio armato. Nasce la brigata 314-m il cui impegno è far sparire le teste calde: torture, fucilazioni di massa documentate dalla denunciata a Washington dalla Commissione per la difesa dei diritti umani. Ma è l'operazione Irangate il momento alto della missione. Ufficialmente gli Usa non intervengono; l'opposizione democratica fa buona guardia al Congresso. Ed ecco che Oliver North mette in moto un girotondo complicato ma straordinario: coinvolge le industrie belliche di Pinochet e i suoi cargo militari. Portano armi a Saddam, tornano con missili e armi raccolte a Beirut da imprecisati mediatori. I quali non vendono solo bazooka: un libro documento di due giornalisti, cileno e argentino - “La sottile linea bianca” - dimostra l'efficienza dell'operazione nella quale non si trascura la droga, cassa dell autofinanziamento. North rifiuta di far sapere cosa fa e come lo fa alla commissione del Congresso: arroganza che lo trasforma in un eroe effimero e subito dimenticato. Negroponte, in quanto diplomatico, non è tenuto a confermare. Al di la degli intrighi concreti, Negroponte inaugura in Honduras uno stile senza reticenze. Esempio: è lui ad annunciare in Tv il risultato delle elezioni di un paese del quale si sente proconsole.

Nel marzo '83, quando Newsweek dà la notizia dell'esercito fantasma (i contras, appunto) accampato lungo la frontiera del Nicaragua, Negroponte organizza una conferenza stampa dove non accetta domande: parla solo lui: “È assolutamente falso che esista una guerriglia intenzionata ad invadere il Nicaragua partendo dall'Honduras”. A chi vuole notizie sull'improvviso ingigantirsi dell'ambasciata e di un contributo “di assistenza” passato da 780mila dollari a più di 125 milioni, risponde agitando la mano. Saluta e se ne va. Separd Lowman, suo assistente, doveva aver studiato vita e comportamenti dell'ambasciatore quando era solo uno dei tanti in Vietnam, si avvicina sorridendo: “Non troverete niente”. Invece, dopo un giorno di viaggio, la colonna dei giornalisti arriva a Cifuentes, provincia di Paraiso, 12 chilometri dal confine col Nicaragua. Campo militare recintato, tute leopard armate di Ak 47, fabbricazione sovietica: mitragliette palestinesi raccolte dagli israeliani a Beirut. Ci accolgono con diffidenza, non fanno vedere gran che se non i depositi di munizioni, la mensa dai lunghissimi tavoli e permettono l'incontro con una pattuglia appena tornata dalla ricognizione in “territorio nemico”. Insomma, il Nicaragua.

Negroponte continua la carriera a Panama prima e dopo l'arresto di Noriega. Viene mandato a Manila: il problema degli eserciti ribelli che sequestrano turisti americani non fa dormire Bush. Finalmente diventa ambasciatore al Consiglio di Sicurezza. Adesso, promosso a Baghdad.

Maurizio Chierici – L'UNITA' – 21/04/2004




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