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Pisagua, il campo degli orrori di Pinochet |
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Il nome spegne ogni sguardo nella malinconia: racconti mormorati, nessuno prova a raccoglierli nelle pagine di un libro. La paura continua. Perché Pisagua è la leggenda che suscita lo stesso sospiro della Caienna o dell'isola del diavolo, una volta, nella Francia di Zola. Auschwitz senza forni: tortura e colpo alla nuca perché le mani dei plotoni tremavano. Quasi sempre era necessario il colpo di grazia. Dalla luna nessuno è mai tornato..., scriveva nel rapporto a Pinochet il generale Carlo Forestier, stratega della Sesta Divisione incaricata nel settembre '73 di vegliare sui prigionieri di Pisagua. Nel rapporto si respira la compiacenza dell'aver organizzato un lager senza speranza. Ha obbedito con la dedizione prussiana di chi non si sottrae al dovere. E l'orgoglio attraversa il tempo nei verbali che oggi sfoglia il giudice. Juan Guzman, il quale lo ha arrestato e poi liberato, pretendendo una cauzione talmente ingombrante da far gridare allo scandalo i giornali della capitale impegnati a sostenere l'amnistia per i ministri del centrosinistra in prigione, (mani lunghe e tangenti) e per i militari che hanno violato i diritti umani. Mentre raccolgo gli appunti a Pisagua, l'espressione violare i diritti umani diventa un suono sbadatamente gentile. Forestier è ufficiale onorato, promosso vice comandante dell'esercito per gli alti servizi resi alla patria.... Fronte di Pisagua, appunto. A Pisagua... si è difeso lo stesso Forestier, primo piano in tv, sdegno di persona offesa, ...Pisagua nessuno prigioniero è stato eliminato. Insomma, non deve essere essere giudicato, né può essere condannato..., insistono i giornali. Anche perché la figlia piccola di Forestier ha sposato il generale Juan Emilio Chevre. E il presidente Lagos, che ha sofferto la prigione fra i ghiacci di Dawson prima di sedersi alla Moneda nella poltrona di Allende; Lagos ha dato l'assenso all'incoronazione di Chevre a comandante in capo dell'esercito cileno. Cosa faranno il generale e i suoi militari se la Corte Suprema condannerà Forestier? Non per un massacro a raffica o per crisi di rabbia o eccitazione di un momento. Forestier era ufficiale metodico. Pianificava ogni missione con la saggezza di un ragioniere che dedica la vita alla pignoleria. Il colonnello Carlos Herrera era solo un tenente quando a Pisagua comandava i plotone di esecuzione. Trent'anni dopo confessa. Il generale Forestier infiammava i soldati con discorsi patriottici. Duravano ore. Dovevano estirpare i terroristi sepolti in prigione. Ne fucilavamo otto o nove la settimana. Non ricorda facce e nomi. Al mattino arrivava l'elenco. I vangatori avevano già scavato le fosse. Disponevano il plotone, ordinavano il fuoco. Gli infermieri raccoglievano i corpi dentro sacchi di plastica. Li rovesciavano nelle buche. Tornavano al comando senza parlare: ci aspettava il caffè. Li rovesciavano con quale nome? Un cimitero immenso risale dal Pacifico fino all'altopiano del deserto di Atacama. Sabbia e conchiglie. Croci con le braccia spezzate. Il vento salato ha ingrigito le epigrafi. Facce che non si riconoscono. Le tombe sembrano culle di legno alla deriva nella sabbia. Nomi che hanno l'aria d'essere sorteggiati a caso. Possibile che in un paesino lontano duemila chilometri da Santiago, duecento chilometri da Irique, ultima città dirimpetto alla frontiera boliviana, vivessero tante donne? E dalla tempra robusta: nessuna moriva prima di 80 anni. Ma quando il procuratore Juan Guzman testardamente chiede di aprire le tombe dopo aver lottato contro i vincoli della burocrazia militare non disposta ad arrendersi, ecco, il medico apre il sacco e mette in fila le ossa rimaste. Scuote la testa. Parla sottovoce al magistrato. Non può essere la signora Monica Aranguy, 83 anni, vedova di Dante Aranguy la cui lapide non si trova. Sono resti di un uomo giovane. Due buchi nella testa. Allora Guzman prega i giornalisti di uscire dal cimitero. E si inginocchia sul mistero di una persona scomparsa 30 anni prima. Mi allontano fin dove una volta doveva esserci il cancello. Resta un pezzo di muro. Qualcuno ha appena scritto con vernice rossa un verso che vorrebbe rifare Neruda: Non cadranno più rapide le foglie d'autunno - Né il sole si alzerà come tuono veloce Se la verità non scopriremo con la stessa rapidità. In un albergo, sotto i portici del patio, sette persone aspettano il ritorno di Guzman. Cerco nelle loro mani macchie di vernice. Riordino gli appunti nello strano albergo. Era il palazzotto del comando. Sotto i tre portici del patio, il corpo di guardia è diventato un bar. Per salire in camera attraverso doppi cancelli che tagliano i corridoi. L'architettura di questi posti non cambia in ogni parte del mondo. La camera è una camera imbiancata, ma chi è venuto prima a passare la notte non ha resistito a grattare la calce. Spunta uj nome, e l'addio retorico di un condannato: Venceremos. Al posto del tavolo dove appoggio i fogli, o l'armadio o il letto di legno nel quale gli incubi mi raggiungeranno, c'erano gabbie e pendevano catene. I ganci lo ricordano. E il foglietto che il bureau consegna assieme alla chiave, racconta come ogni camera fosse divisa in tre gabbie, dodici, quattordici persone legate l'una all'altra, mani e piedi. Non uscivano mai. Dormivano, buttavano giù la brodaglia e facevano il resto sulla paglia. Carlos Herrera, il fucilatore, fa capire a quale logica obbedissero i ritmi delle esecuzioni. Quando il colonnello Ramon Larrain, braccio destro del generale Forestier, annunciava l'arrivo di un cargo di nuovi prigionieri, bisognava fare i conti: vecchi ospiti da eliminare. Ma non si usciva dalle gabbie per finire subito al cimitero. C'era prima il passaggio nei sotterranei della tortura. E i corpi sfiniti prelevati giorni prima, un mattino riapparivano all'improvviso. Passavano nei corridoi voltando appena gli occhi verso le gabbie. Dalle gabbie uscivano altri prigionieri destinati a prendere il loro posto nel sotterraneo. Si precipita a Pisagua da un altopiano che abbaglia: terra impastata di sale. Il vento soffia sabbia sull'asfalto. Dall'alto potrebbe essere una Portofino assediata dal deserto. Un secolo fa i proprietari delle miniere di salnitro avevano deciso di inventare un posto per vacanze milionarie. Ci si poteva arrivare solo con barche così grandi da sopportare l'assalto dell'oceano. Anni di follie che gli indios scesi come anime morte dall'altopiano osservano confusi nell'irrealtà. Sei alberghi, un teatro disegnato da Eiffel, l'ingegnere della torre di Parigi dal quale le grandi famiglie avevano preteso anche la torre dell'orologio. E' sempre lì. Alta dodici metri, batte le ore sopra il frastuono del mare. Sono rimaste poche case e un campeggio davanti al vecchio comando diventato albergo. Tramontato il sogno del salnitro, i 4 mila abitanti di Pisagua sono tornati a Iquique o sulle Ande. Restano duecento pescatori. Ma nel 1947 comincia la nuova storia. A Santiago i Radicali tentano la presidenza con Gabriel Gonzales Videla, voce forte della sinistra del partito. Comunisti e socialisti lo appoggiano. La Falange e i Conservatori Cristiani cercano di fermarlo. Videla ce la fa. Viene invitato a Washington e torna portando una nuova dottrina: la Sicurezza Nazionale. Rompe con la sinistra, si allea a Falange e Conservatori, mette fuori legge il partito comunista. Rapidamente, come gli suggeriscono i consiglieri che si è portato da lontano. Ma le prigioni non bastavano: riesumano Pisagua, ormai abbandonata. A dirigere i lavori che trasformano il grande hotel in comando militare e l'albergo Effeil nella capitaneria di un porto da allargare per l'attracco delle navi cariche di prigionieri imbarcati a Valparaiso, ci pensa un giovane capitano. Efficiente, obbediente: Augusto Pinochet. In quel settembre del golpe, 1973, il generale Pinochet che aveva costruito le baracche per il lager davanti al grand hotel, sa dove seppellire chi dà fastidio. A Pisagua comincia il terzo capitolo della sua storia. Il campanile mi sveglia. Ossa gelate dal freddo dell'inverno australe. Il sole riporta la primavera. A mezzogiorno il caldo soffocherà. Sotto i portici, davanti al bar, c'è un pappagallo. Becca le briciole di ogni prima colazione. Dall'altra parte del patio le persone aspettano l'interrogatorio divise in due gruppi che si tengono lontani: familiari dei desaparecidos e vecchi militari ai quali il giudice chiederà di ricordare dov'era la fossa comune. Non lo sa monsignor Guillermo Murillo, frettolosamente nominato cappellano militare quando era soltanto giovane prete del paese. Andavo incontro ai condannati davanti al cancello del cimitero, pregando. Fino alle fosse già aperte per la sepoltura. Poi mi allontanavo guardandoli da lontano. Avevano facce sfigurate , vestiti insanguinati, ma non imploravano, né piangevano. Aspettavano e basta. Una signora di mezza età si chiama Silvia Manriquez Ulhoa, figlia di Luis Manriquez Wilden, piccolo funzionario della dogana di Iquique: era iscritto al partito socialista. Lo sono venuti a prendere la notte del 17 settembre '73. Lo interroghiamo, torna subito...: ha tranquillizzato mia madre Mario Acuna Riquelmo, poliziotto che ci conosceva. Siamo rimasti soli: una donna e quattro figli, il piccolo aveva un anno e mezzo. Non so come mio padre sia riusciti a fare uscire un biglietto da Pisagua. Eccolo, questo...(mostra la fotocopia di poche righe). Accusa Acuna Riquelmo di averlo denunciato per terrorismo davanti al colonnello Ramon Larrain. Poi il silenzio di un anno quando nel gennaio del '74 un bando del generale Forestier annunciava che ventitré prigionieri di Iquique erano stati rimessi in libertà. Ma mio padre non tornava. E mia madre è andata a Pisagua a cercarlo. Un ufficiale l'ha confortata: riceverà presto una comunicazione ufficiale che le dirà dove si trova. E la lettera del colonnello Larrain è arrivata: Noi gli abbiamo restituito la libertà e ce ne siamo disinteressati. Mi spiace dirlo signora: sa come sono gli uomini. Forse per paura, forse per un'altra donna deve aver attraversato la frontiera della Bolivia o del Perù, non sono in grado di dire.... Poco dopo è venuto un notaio con una dichiarazione di mio padre: a Pisagua aveva venduto la casa ad un colonnello e dichiarava di aver intascato una cifra cento volte inferiore al valore del momento. La firma sembrava falsa, ma notaio e colonnello non hanno ascoltato le proteste. Abbiamo perso anche la casa. Silvia Manriquez va e viene da Pisagua per scoprire se fra i resti senza nome, la prova Dna possa riscrivere la storia della famiglia. E' la speranza di tanti pellegrini che hanno avuto ragione a non arrendersi. A fine maggio Carmen Hertz, avvocato, ha saputo che le ossa tirate fuori dalla sabbia sono quelle del marito, Carlos Berger Guramik. Lo hanno arrestato poco lontano da qui: dirigeva la radio delle miniere. Dopo il golpe aveva disobbedito all'ordine di sospendere le trasmissioni: non ha smesso di dare tutte le notizie che arrivavano da Iquique e da Santiago. Condanna lieve: 64 giorni di prigione. Scrive alla giovane sposa: Il silenzio può aiutare una meditazione che tante parole hanno impedito.... Dal 19 settembre '73 Carmen non ha più notizie. Le ha trovate a Pisagua. Ecco perché Silvia Manriquez continua a sperare. Il sole si specchia sulla polvere di salnitro e brucia gli occhi lungo il ritorno. Guzman ha esplorato le piccole miniere abbandonate che accompagnano la strada per Iquique. Una volta ha portato qualche giornalista straniero per evitare polemiche interne. Il magistrato infila il casco di alluminio: scendiamo lentamente appesi al filo di un paranco, dentro una gabbia improvvisata. Il filo si attorciglia, la gabbia ruota su se stessa. Centoventi metri sotto, lampade a carburo di tre scavatori. Rimuovono i detriti di uno scoppio le cui tracce strisciano le pareti. I militari hanno cercato di cancellare chissà quanti delitti. Gli operai mostrano teli di plastica, vecchie immondizie, camicie strappate. Sembra impossibile, ma era una prigione provvisoria destinata alla tortura. Chi poteva raccogliere i gemiti dei sepolti vivi? Quando il dolore lo sfiniva, bastava un colpo. Poi la dinamite per cancellare il delitto. Come i nazisti di Priebke alle Fosse Ardeatine, gli uomini di Pinochet pensavano di seppellire per sempre la memoria. Invece Guzman continua a scavare. Iquique è in subbuglio. E' appena arrivato Longueira, presidente dell'Udi, partito della destra dura che ha proposto le duplice amnistia senza scuse e spiegazioni: da una parte i militari protagonisti della violenza, dall'altra i politici di oggi nei guai per tangenti. Ventitré familiari di desaparecidos accettano 30,40,50 mila dollari per ritirare le querele. Stanchi di aspettare: vogliono i soldi. Deputati socialisti e altri familiari sbarcano dall'aereo dopo per invitare a resistere alla proposta indecente. Piccoli cortei, tanti cartelli: insulti e parole di una pace pelosa. Pisagua scompare nel deserto. Chi pretende giustizia si raccoglie attorno al monumento (bruttino) davanti alla vecchia scuola di Santa Maria. Il '900 si è aperto col primo massacro di minatori e contadini. Erano scesi dall'altopiano per elemosinare un trattamento umano, insomma non essere considerati bestie: 12 ore al giorno di lavoro pagato niente. Le corporazioni hanno chiesto all'esercito di rimettere ordine: E l'esercito ha attaccato la roccaforte dei rivoltosi, che erano donne, bambini, padri disarmati accampati nella scuola in attesa dell'incontro promesso dai proprietari. 1907, te mila morti. Herman Rivera Letiler, lo scrittore de i treni vanno in purgatorio e La regina Isabel cantava ai rancheros (in Italia li pubblica Guanda) ha ricostruito la tragedia in un romanzo appena uscito in Cile Santa Maria de las flores negras. Da Pisagua a Iquique, ancora sangue. Ma la città è cambiata. Non solo via vai di navi che scaricano auto e merci per la Bolivia. L'inverno mite seduce il turismo. Sul lungomare due modesti grattacieli guardano le onde. Nella penthouse del più elegante, luci accese. Il generale Pinochet è venuto a svernare sfuggendo lo smog e la neve che imbianca le colline di Santiago. Vecchiaia serena di un padre della patria. Patria di chi? Maurizio Chierici L'UNITA' 17/06/2003 |
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