La notte del Gran Consiglio che
la storia ricorderà «privatizzato» nella sala
da pranzo di palazzo Berlusconi, non ha cambiato l’Italia
che Berlusconi ha cambiato. Ne è prova questo appello
(purtroppo in ritardo) rivolto dalla prima pagina dell’Unità
alla metà degli italiani che pagano le tasse. Attenti a
non lasciare che sia il governo a gestire quell’otto per
mille destinato a milioni di persone senza speranza: sangue
avvelenato dall’Aids, oppure a chi mette assieme un dollaro
al giorno e a quarant’anni è da buttar via; ai
profughi inchiodati nei deserti del Darfur mentre il nostro
sottosegretario incaricato di fare qualcosa svanisce per «un
impedimento» e il presidente Casini lo giustifica,
rinviando la discussione del problema. Tutto sommato non urgente.
Solo trecentomila disperati sull'orlo del massacro. E poi la
ricostruzione dell’Afghanistan o la lotta a malattie che
l'emarginazione rende micidiali: polio, malaria, tubercolosi.
Diciamo la verità: neri, gialli o marron che insistono nel
voler restare analfabeti e non si lavano la faccia piena di
mosche, hanno la sfortuna di non intenerire le animelle di
Rifondazione Democristiana. Quindi, non interessano.
Nell’Italia ancora
insicura malgrado i miracoli di B., i contribuenti dubbiosi
preferiscono alleggerire la coscienza affidando a mani pubbliche
l’impegno di una bontà a poco prezzo. Qualche
cerotto per tamponare i disastri del consumismo obbligatorio
nelle nostre soffici città. Se non compri il telefonino
ultima visione, l’economia rotola ed è colpa tua.
L’otto per mille resta poca cosa, eppure ci fa sentire
meglio davanti agli spot di chi ringrazia per il piatto di
minestra, scarpe, quaderno o un filo d’acqua, lussi
sconosciuti senza il buon cuore di noi civili.
Non importa se gli spot che
invitano a non dimenticarli sono della Chiesa cattolica mentre i
laici preferiscono far maneggiare i loro soldi allo stato.
Essenziale è che arrivi la goccia salvavita. Ecco
l’appello impensabile tre anni fa, almeno dalle pagine
dell’Unità: cari contribuenti, per le prossime tasse
non fidatevi del governo, soprattutto adesso che il
superpresidente ha preso il posto di Tremonti. Il vostro otto per
mille diventa benzina per i carri da combattimento dell’Ariete,
paga stipendi alle truppe «di pace» che in Iraq
difendono gli appalti. Fino a quando Berlusconi non va via è
preferibile fidarsi solo delle chiese, non importa quali:
cattoliche, valdesi, comunità ebraiche, insomma di chi é
rimasto normale e non traduce la parola solidarietà in
missili o mine antiuomo.
La finanziaria 2004 del fu
Tremonti, destina alla cooperazione 570 milioni di euro mentre
1200 milioni di euro pagano la proroga della missione militare in
Iraq. Siccome metterli assieme era un problema, ottanta di questi
milioni sono stati rubati all’8 per mille col quale il
contribuente si impegna a costruire un rapporto non effimero come
un colpo di bazooka. Ottanta milioni dirottati sui Rambo,
tagliando pane e acqua a chi muore di fame e imbrogliando la
volontà di chi li versa. Cambiano destinazione: vanno a
consolare il ministero della Difesa. Restano 570 milioni,
briciole superstiti delle promesse elargite a piene mani, ma nei
registri della finanziaria che ci piove addosso, la finzione è
presto rivelata: non arriveranno, almeno quest’anno. Il fu
Tremonti ne taglia 250 e, siccome siamo in luglio, vuol dire zero
euro per i prossimi sei mesi dopo aver rimandato da un mese
all’altro, da un anno all’altro le contribuzioni
annunciate e mai pagate. Sottolineo mai. Neanche una lira per due
miliardi di senza niente. Il presidente del Milan aveva sciolto
in lacrime il cinismo dei burocrati di Bruxelles annunciando che
la sua Italia dalle radici cristiane non sopportava la
disattenzione ed alzava all’un per cento del prodotto lordo
il contributo in favore dei disastrati. Cooperazione doverosa per
svergognare la tirchieria Ue. La sua voce non ha tuonato nel
precedente millenio: solo il 16 febbraio, cinque mesi fa. Dopo
poche settimane lo stesso Berlusconi riduce il buon cuore allo
0,24, e nella finanziaria-testamento lasciata da Tremonti è
rimasto lo 0,16 da pagare «appena la situazione economica
lo permetterà». Tasche vuote, anche perché
non c’è stato solo l’11 settembre. Il ministro
Gasparri ha deciso di rimborsare una parte del prezzo dei decoder
a chi ha voglia di abbonarsi alla Tv digitale terrestre, già
preda Mediaset. Lo svago è il diritto che la disperazioni
di sconosciuti lontani non può portarci via. Nessun
politico avrebbe potuto permettersi un voltafaccia in
mondovisione senza il prestigio internazionale di Berlusconi: ha
cambiato l’immagine dell’Italia suscitando
ammirazione sia alla Casa Bianca, sia nella Casa Rossa di Putin,
come sostengono i cantautori Apicella, Bondi, Cicchitto, ordine
alfabetico che non rispecchia l’intensità della
devozione. Il Gran Consiglio in cucina lo ha eletto timoniere
unico. Lui risolverà. Senza Tremonti, tutto può
cambiare e la solidarietà tornare ragionevole: qualcuno
ancora spera. Ma i dubbi restano. Il Fini, Tg2 e moschetto,
volterà le spalle ai carri Ariete per distribuire a futuri
terroristi risorse «indispensabili al mantenimento delle
promesse elettorali»? Generali e mercenari gli
toglierebbero il saluto. Anche i teologi dell’Italia
protagonista armata della pace nel mondo, non riuscirebbe a
sopportarlo. Più complessa la risposta negativa di
Rifondazione Democristiana. Negli anni del tardo scudo crociato,
i cattolici aperti (pericolosamente definiti “di sinistra”)
si sentivano nipoti di La Pira, di Dossetti o figli spirituali di
Aldo Moro; fratelli piccoli di Zaccagnini mentre il De Gasperi
padre della patria restava ecumenicamente sul fondo. Erano
costretti a lottare in un modo o nell’altro contro i furbi
di razza che imperversavano nel partito. Oggi, per ragioni di
età, trentenni-quarantenni che poco sanno delle novità
di cui erano portatori gli idealisti del passato, trovano normali
le manovre sotterranee degli omini di Rifondazione Democristiana,
ancora dispersi eppure decisi a ricominciare dalla concretezza
perduta per colpa di Mani Pulite. Berlusconi è stato il
purgatorio necessario; ecco il momento favorevole al richiamo
della nostalgia, occasione che non può essere distratta
dai lamenti della solidarietà. Chiudiamo la finanziaria
così com’è per continuare le manovre in santa
pace. Del resto nel Sudan non esistono interessi americani in
pericolo e ai nostri Giovanardi cosa ne può fregare. Ma
l’impegno della solidarietà razionalizzata nelle 160
organizzazioni non governative, associazione presieduta da Sergio
Marelli, non riguarda solo l’urgenza o la catastrofe; è
soprattutto l’impegno del creare una cultura attenta alle
sofferenze rivelate o nascoste di chi incontriamo ogni giorno per
strada o che bisogna cercare in fondo al mondo. La solitudine di
chi invecchia nelle città mentre le pensioni diventano
carta straccia. Malati abbandonati negli ospedali, ragazzi
randagi fra mille tentazioni. Una cultura da distribuire nelle
scuole, da vivificare con esempi, da nutrire con giornali che
raccontano com’è diverso il destino di coloro che
hanno sbagliato posto al momento di venire al mondo. Insomma,
trasformare la solidarietà partendo dalla filosofia
pratica la cui missione é cambiare gli egoismi della
società di plastica che Tv e consumismo selvaggio
continuano a gonfiare. Silvia Pochettino, di «Volontari per
lo Sviluppo» ed Eugenio Meandri di «Solidarietà
Internazionale», dirigono un’informazione «impegnata»
come si diceva tempo fa. Non nella politica, ma nella
quotidianità dei meno fortunati. Che poi diventa politica
comunista, come sussurrava tre mesi or sono il ministro Frattini
restio a dare quanto promesso ai portatori di giustizia sociale.
I quali vogliono solo far capire a tutti che non siamo soli con
le nostre modeste certezze. Gli altri ci guardano. La
disattenzione di questo governo ha obbligato le Ong ad una
scelta. Senza i finanziamenti solennemente promessi ad operatori
il cui stipendio riconosciuto è 750 euro al mese, con le
risorse congelate, chiudere ospedali e scuole? Sospendere la
costruzione di impianti idrici, la trasformazione di baracche di
cartone in prefabbricati modestissimi ma che somigliano a case;
insomma, ammettere: ci siamo sbagliati, portate pazienza, prima o
poi torneremo, oppure continuare, indebitandosi ? Da tre anni
vanno avanti bussando altre porte, ma il rosso delle risorse é
sempre più profondo, e con la crisi, e i decoder, e le
amnistie spalmate sulle povere squadre di calcio, la speranza di
venirne fuori ogni anno si allontana. Anche perché il
significato della parola cooperazione è stato allargato
«alle operazioni militari e alla penetrazione commerciale»
dei prodotti italiani nel mondo. Quel poco che resta viene
passato al fondo di sviluppo europeo: chi vuol continuare deve
bussare a Bruxelles. La Roma del cavalier B, se ne lava le mani
mentre una quota consistente delle risorse va persa nei passaggi
delle burocrazie. Paradosso finale: per non sospendere ciò
che da anni stanno costruendo, alcuni volontari anticipano i loro
stipendi finanziando lo stato debitore. Poi l’esempio del
«Mlal» di Verona, volontari laici in America Latina:
hanno saldato i debiti con raccolte popolari anche nelle terre
dove danno una mano a chi ne ha bisogno. E chi ha tragicamente
bisogno versa addirittura gli spiccioli che può. O lavora
gratuitamente per cambiare la vita di tutti. Siamo ridotti così:
gli ultimi aiutano la finanziaria del fu Tremonti e del presente
Berlusconi. Dall’Iraq all’Amazzonia, in Africa e in
Colombia sanno che se non ci si occupa della disperazione della
gente, terrorismo e kamikaze restano l’ultima rabbia. Il
cinismo dei contractors super pagati non possono essere la
speranza.
Maurizio Chierici –
L'UNITA' – 05/07/2004
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