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L’Amazzonia è il rimorso segreto che appena evocato suscita apprensione e voglia di fare qualcosa. La storia di Lucio Flavio Pinto, giornalista minacciato, perseguitato e ora sulla soglia del carcere per gli intrighi dei poteri corrotti di Belem, ha suscitato sdegno ma anche un dolore profondo. Dopo il forum di Rio, gli incontri di Porto Alegre, l’impegno degli ecologisti ecco cosa succede. La prima delle 107 lettere arrivate a l’Unità l’ha scritta Luisa Archetti, segreteria Cgil della Lombardia, poche ore dopo l’uscita del giornale. Propone di diffonderla in rete e organizzare appelli di protesta da inviare all’ambasciata brasiliana in Italia, al Cut (grande sindacato dei lavoratori del Brasile) e al presidente Lula. Germana Pisa da Milano fa sapere di aver subito girato l’appello “della mia associazione Megachip, Lombardia, a Giulietto Chiesa dopo averlo inserito nell’home page Megachip perché la lotta di Lucio Flavio Pinto ci riguarda tutti da vicino”. Il tam tam elettronico rilancia la testimonianza de l’Unità attraverso canali diversi. Scrive Maria Luisa Caracciolo: “Ho letto con angoscia cosa succede in Amazzonia: in parte, purtroppo, già lo sapevo. Si dovrebbe avviare un’informazione tramite rete per raccogliere firme, appoggi, farlo diventare un caso mondiale. Invierò l’articolo a più gente possibile”. Ed è anche l’impegno di Francesca Chiara: “Ho un sito, un fan club: vorrei sapere cosa possiamo fare per aiutare Lucio Flavio Pinto”. L’allarme è stato
raccolto dalla Newsletter [email protected],
bollettino elettronico settimanale
seguitissimo in ogni redazione brasiliana. Invita a comunicare
con Lucio Flavio fornendone la e-mail: [email protected]
Lo pubblichiamo perché gran
parte delle lettere arrivate volevano saperlo. Renzo Storti
confessa che “la storia di Pinto mi ha rovinato la
giornata. Gestisco una lista di posta con un migliaio di
iscritti. Come posso dare una mano?”. Fabio Revel che si
definisce piccolo protagonista nelle azioni, sottoscrizioni e
campagne in difesa dell’Amazzonia, è pessimista:
“Anche se il presidente Lula avesse a disposizione
funzionari e ispettori, non riuscirebbe a debellare la spaventosa
piaga della corruzione”. Perché l’Amazzonia
concentra enormi interessi internazionali, difficili da
sradicare. Giuseppe Stoppiglia è un testimone speciale. Dirige Madrugada, rivista dell’Associazione Macondo e conosce Lucio Flavio Pinto. Nel 1997, in occasione della consegna del premio Colombe d’Oro della Pace che Pinto ha ricevuto in Campidoglio, con una visita al Quirinale assieme a Fatos Lubonja, Laura Bucherelli e l’irlandese John Hume, gli altri festeggiati, Giuseppe Stoppiglia lo ha ospitato in un dibattito nell’Istituto dei Fratelli Cristiani attorno a Bassano del Grappa. C’erano Gherardo Colombo e Rosalina Tuyuc, leader indigena che ha preso il posto di Rigoberta Menchu nel cuore dei guatemaltechi. Stoppiglia e Macondo conoscono bene il Brasile dove operano da anni. Ecco la sua lettera agli amici: «In questi momenti difficilissimi ho offerto a Lucio Flavio di poter vivere da me in Italia, alcuni mesi (per sfuggire non dico alla cattura, ma alle umiliazioni) ed aiutarlo anche economicamente nel limite delle mie possibilità e quelle di Macondo. È colto, intelligente, sensibilissimo. È figlio della borghesia amazzonica. Suo padre è stato sindaco di Santarem, grande città a metà strada tra Belem e Manaus. Cosa fare? Preparare una
lettera da far firmare a moltissime persone, lettera da inviare
all’ambasciata brasiliana di Roma e al presidente Lula.
Lucio Flavio è una persona sola, non ha movimenti o poteri
alle spalle, solo degli amici i quali non bastano. Sono stato a
casa sua a Belem diverse volte e ormai per difendersi, e
mantenere la famiglia, è arrivato allo stremo. Se
l’opinione pubblica fosse informata di quanto lui scrive e
cosa succede, la persecuzione nei suoi confronti potrebbe
rallentare. Maurizio Chierici – L'UNITA' – 09/08/2004 |
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