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Mille giorni di silenzio

Mille giorni sono una vita, lontana da Melanine figlia troppo sola nella tempesta dell'adolescenza. Mille giorni è un'infinità per l'irruenza di una protagonista politica che sepolta nella selva non sa con chi parlare di politica. Ingrid Betancourt era una mitraglia di parole. Non la fermavano convenienze e furbizia. Quando abitava a a Parigi nelle belle case che la figlia di un diplomatico e moglie di un diplomatico è doveroso debba abitare, sospirava pensando ai colori della Colombia. Ma a Bogotà ripeteva con malinconia l'ammirazione per l'altra parte del passaporto che le consente di essere anche francese: non importa se i matrimoni poi si rompono.

Dire di un paese che è ordinato non è proprio un complimento. Ricorda qualcosa di noioso. Eppure da quando sono tornata in Colombia ho voglia di ministri e presidenti noiosi, con amici almeno presentabili...” era il 1995. da un anno sedeva alla camera bassa con un numero di preferenze fra le più alte nel paese. Non per l'attenzione che il censo poteva richiamare: padre diplomatico e poi ministro; madre miss Colombia e poi senatrice. “Sono voti solo miei e degli amici che appoggiano il progetto di dar aria ai cassetti della corruzione. Quasi ogni grande famiglia na ha gli armadi pieni”. Eravamo a Cartagena de Las Indias. Ingrid voleva incontrare Garcia Marquez del quale si considerava amica ma con l'inevitabile rispetto di una ragazza cresciuta sfogliando “Cent'anni di solitudine”. E' stata lei a suggerire allo scrittore di trasmettere al procuratore Valdivieso l'inchiesta nella quale Gabo aveva guidato dieci giovani giornalisti latini alla ricerca dell'assassinio di Stefano Turra, studente italiano che scriveva poesie ma una sera a Cartagena era stato testimone di un peccato della polizia. E la polizia non desiderava fosse raccontato. Valdivieso e Ingrid Betancourt si consideravano una cosa sola: li legava la violenza che aveva stravolto le loro vite quando mani senza nome avevano spento sul palco di un comizio il discorso di Luis Carlos Galàn, candidato alla presidenza con un programma molto semplice: dividere la società civile dalla polvere dei narcos nella quale si era sporcato le mani anche il ministro dell'interno Botero, figlio del pittore. La nuova vita di Ingrid è cominciata quel giorno, sotto il palco.


Sia Valdivieso che Ingrid Betancourt non hanno avuto vita facile. La palazzina della procura generale dello stato era stata isolata al centro di una piazza. Case e piante attorno abbattute per proteggere a vista l'uomo odiato dalle famiglie della malavita. E appena Ingrid è diventata la senatrice più votata del paese, ed ha annunciato che per rovesciare la corruzione doveva scalare la presidenza, le sue ambizioni si sono complicate. Attentati che la sfioravano ad ogni passo. E poi minacce ai due ragazzi. Un giorno deve scappare in Francia per metterli al sicuro. Gli amici francesi hanno cercato di trattenerla. Una donna giovane che viveva il secondo matrimonio con l'entusiasmo di chi ha sempre voglia di ricominciare, perché buttarsi via così? Invece Ingrid è tornata nella sua America per fondare una partito verde – “Ossigeno” – e scuotere non solo i giovani ma donne e uomini dei barrios alti e delle strade umili. Scrive un libro dove esorcizzare la paura: “La rage au coeur” che Sonzogno traduce in Italia con un titolo quasi profetico, “Forse mi uccideranno domani”. Non aveva fiducia di Pastrana, il presidente al quale sperava di succedere. “Più giornalista che politico, più casanova che capo di stato. Simpatico e forse pulito, ma non basta”. E “per tenerlo d'occhio” lo ha seguito a Sain Vincente de Caguan, dove cominciano Amazzonia e il regno della Farc (la più antica guerriglia latina, controlla un sesto del paese) non lontano dalla frontiera col Brasile, indefinita come una spugna. Nell'incontro tra governo e guerriglia, Ingrid si è lanciata come un bulldozer. Nessuna tenerezza per Tiro Fijo, che ha quasi 80 anni e l'aria malata: “La vita dei contadini per i quali hai preso le armi è migliorata o peggiorata? Sono liberi o prigionieri della coca? Non è venuto il momento di parlare, abbassando le armi?”. E si è rivolta al suo presidente per ricordargli che ha perso troppo tempo nelle tv e troppo poco fra la gente.


Tre giorni dopo Pastrana rompe la tregua con la Farc, e tre giorni dopo, saltando i posti di blocco della guardia nacional e dei rangers antiterrorismo, Ingrid e Clara Rojas, amica dell'università, candidata alla vice presidenza del partito dell'utopia, vengono fermate dai miliziani mentre rannicchiate sotto il telone di un camion attraversano la foresta sulla strada di San Vicente. Volevano animare nella capitale della guerriglia la prima manifestazione in difesa dei diritti umani, 23 febbraio 2002. E' sparita così.


I rapitori liberano subito Clara, è un pesce piccolo. Ma Clara non se ne va. E' una storia nella storia delle virtù. Vuol dividere fino in fondo il destino e i sogni dell'amica. Anche per lei sono mille giorni. Dalla loro scomparsa, Sain Vicente è diventato un posto dove i pellegrini dei giornali e delle Tv arrivano nella speranza di incontrare per un attimo le giovanne d'arco che stanno invecchiando fuori dal mondo. Venti chilometri prima il posto di blocco della guerriglia è sbrigativo. Sulla corriera montano tre miliziani, facce contadine. Sale per ultima una ragazza, tuta leopard. Cappello largo. Ne rialza la tesa scoprendo gli occhi stanchi di chi ha meno di vent'anni. Si accomoda accanto all'autista. Venti chilometri senza una parola. Strada vuota, neanche un trattore. La repubblica Farc sembra abbandonata, ma i campi ordinati fanno pensare a contadini provvisoriamente chiusi in casa per la pioggia che non smette. Sotto l'acqua Sain Vicente sembra allegra. Le ragazze escono da scuola con un telo di plastica per coprire i capelli. Indossano magliette colorate. Solo le scarpe ricordano gli obblighi militari. E attorno ai tavoli delle posadas dove i dadi corrono e le voci scoppiano, allegria o delusione, il verde della guerriglia resta il colore di ogni uomo. Ma l'illusione di chi arriva in una capitale non contemplata nelle carte ufficiali, accende speranze impossibili. I giornalisti guardano le finestre di ogni casa, si affacciano nelle porte spalancate: “Saranno qui?”. Alberghi prenotati per un mese da altri viandanti con lo stesso programma. Appena la corriera è arrivata a Sain Vicente, la ragazza seduta di fianco l'autista ha accompagnato i giornalisti “ad accreditarsi”. Foto, timbri, permessi. Come in qualsiasi ufficio di ministero di un paese dalla debole libertà. Motivo del viaggio? Incontrare Ingrid Betancourt. L'altra ragazza che batte i tasti sulla macchina sillabando le parole, quando sfila il foglio dal rullo sorride di compassione: “Firmate”.


La madre, il padre, i figli, il marito di Ingrid , hanno mosso il mondo. La rete cattolica dei preti che vivono nei paesi dove la guerriglia è governo ha tentato ogni mediazione. La Farc vuole uno scambio di prigionieri. Il presidente Uribe, che ha vinto le elezioni con la promessa di mani dure e la distribuzione delle armi alle pattuglie dell'autodifesa contadina: il presidente, non si vuole piegare. Prima o poi la libereranno. Si è ammalata. Mi auguro abbiano un un po' di cuore...Invenzioni che fanno impazzire la famiglia e induriscono i rapporti fra Parigi e Bogotà. Nessun politico che può far davvero qualcosa. Su Ingrid e Clara da un anno arrivano voci. Oppure notizia distribuite da Radio Sequestro: in Colombia esistono media di settore con questo nome. L'ultimo video risale al 6 luglio '03. Ingrid non è cambiata. Meno vaporosa, capelli raccolti nella coda di cavallo. Giacca militare uguale alla ragazza della corriera. Solo gli occhi sembravano tristi. Se l'è presa con Uribe: “La libertà è un diritto che ogni paese democratico deve garantire ai cittadini innocenti”. Fa capire: ho diritto ad essere libera. Chi è nelle mani degli armati ripete le stesse parole, non importa la latitudine: è la storia degli ostaggi che l'Iraq tragicamente ogni sera propone. Ma gli amici che conoscono Ingrid Betancourt hanno colto nel timbro secco di un appello che è anche denuncia, la volontà che i guardiani Farc non riescono ad immaginare: rabbia per l'equità e la giustizia negate; rabbia che non risparmierà anche i carcerieri. Appena tornata a casa. Prima o poi Ingrid e Clara torneranno: nessuna guerriglia può incatenare la speranza del cambiamento per più di mille giorni.


Maurizio Chierici – L'UNITA' – 19/11/2004




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