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Pinochet agli arresti domiciliari

I fantasmi hanno raggiunto Pinochet, arrestato per la seconda volta. Sta per compiere 89 anni e la sua casa a Los Condes ridiventa prigione. Era tornato libero “per demenza senile” quattro anni fa.

La commissione medica non lo riteneva in grado di sostenere il trauma del processo sulla Carovana della Morte. Gli alti ufficiali che esibiva come fiore all'occhiello si erano impegnati a spaventare militari e notabili dubbiosi. Su e giù per il Cile, quel settembre '73 dopo il colpo di stato. Mentre a Santiago si torturava, generali e colonnelli fucilavano senza processo, e i corpi delle vittime finivano nelle miniere abbandonate lungo il deserto del sale. Ma il giudice Juan Guzman Tapia non si è arreso alla sconfitta, e lunedì ha decretato la detenzione domiciliare in un'aula di tribunale tesa come un violino. Per un attimo Guzman aveva annunciato di scegliere la pensione dopo la sentenza che lasciava in libertà l'uomo “responsabile di ogni delitto”. Delusione profonda. Ci ha ripensato con la tenacia di un borghese di grande famiglia, conservatore ma non disposto a chiudere gli occhi sul massacro.

Ci ha ripensato perché l'anno scorso il generale si è lasciato andare ad un peccato di arroganza. L'intervista a TeleMarti, Tv anticastrista presidiata dal Dipartimento di Stato Usa, ha ridato coraggio a Guzman. Che é tornato alla carica: Pinochet rispondeva senza emozione, aggrediva “i comunisti” senza inciampi. “Se lo fa in televisione, può ripetersi in tribunale”. Chiede che una commissione medica lo esamini un'altra volta. Tre periti appartengono alle famiglie fino a ieri devote alla famiglia Pinochet. Il quarto dottore è giovane, senza ombre nel passato: “Come ogni anziano ha qualche vuoto di memoria, ma può benissimo difendersi in un'aula giudiziaria”. È il parere al quale Guzman si è aggrappato.

“Questa volta il processo si farà. Può solo morire per evitarlo. Gli anni in cui gli assassini se la cavavano fingendosi matti credo siano finiti”. È la felicità un po' crudele dell'avvocato Eduardo Contreras Mella, il primo a sfidare con una querela il Pinochet ancora capo delle forze armate, anni '90.

Rientrato dall'esilio e diventato portavoce legale delle famiglie dei desaparecidos, Contreras ha sostenuto quaranta denunce. Sue le carte che inchiodano Pinochet nel caso Condor: nove torture e un delitto. Non è stato facile per un avvocato del quale i militari diffidavano. Minacce, attentati. Nel più violento, la moglie ha perso un piede. Come Guzman, non si è scoraggiato ed ha continuato a far luce sulla consulenza strategica degli esperti nordamericani, anni '70: Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Brasile si erano coordinati nella caccia agli “agitatori che minacciavano la sicurezza nazionale dei paesi democratici”. Pinochet capo fila: Videla in Argentina, Stroessner in Paraguay e polizie di Santiago e brasiliane, animavano le squadre della morte. Inseguivano le vittime senza badare a spese. Il generale Prats, fedele ad Allende e capo delle forze armate prima di Pinochet, è stato il primo a cadere: assassinato dai condor con la moglie a Buenos Aires, 1974. Sette giorni fa, la corte d'appello di Santiago decide che Pinochet deve essere processato in quanto responsabile anche di questo delitto. Insomma, dicembre nero dopo gli anni rosa.

La solitudine di Pinochet è profonda. La grandi famiglie che hanno raccolto denaro per permettergli un “esilio dignitoso” durante l'arresto di Londra, sono furibonde. Le notizie che nella grande banca americana sono nascosti 8 milioni di dollari depositati dal generale proprio mentre si disperava in Inghilterra, ha bruciato ogni amicizia. Un militare non fa queste cose, ripetono. “Non sanno che è solo la punta dell'iceberg: chi cerca è sulla traccia di altri 50 milioni di dollari guadagnati nelle operazione Irangate, diretta da Oliver North con John Dimitri Negroponte (oggi ambasciatore Usa a Baghdad), capostazione in Honduras del girotondo dei miliardi. I militari cileni fabbricavano armi e le trasportavano in Medio Oriente per conto di un servizio parallelo di Washington”. Contreras legge ad alta voce i documenti.

Anche i militari hanno mollato sua eccellenza. Ancora non si piegano a chiedere perdono, ma un mese fa, il capo dell'esercito, Juan Emilio Cheyre, ammette per la prima volta “la colpevolezza da parte degli organi dello stato per le esecuzioni di massa, torture generalizzate e prigionieri fatti sparire”. Insomma, siamo stati noi. I conti Usa sono intestati a donna Lucia, la moglie, e ai quattro figli la cui vita era rimasta comoda fino a ieri. Scoperto il vaso di Pandora, rischiano le tasche vuote.

Maurizio Chierici – L'UNITA' – 14/12/2004




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